Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/come-la-banca-centrale-europea-ha)
La crisi del debito francese ci ricorda che il gradualismo non funziona mai, che lo statalismo finisce sempre in rovina e che i Paesi che puntano su più stato e tasse più alte finiscono sempre nella stagnazione, nel rischio di default e nei disordini sociali.
Il rapporto debito pubblico/PIL della Francia supera il 114%. Tuttavia le passività pensionistiche future e non finanziate raggiungono il 400% del PIL, secondo Eurostat. Il deficit fiscale annunciato per quest'anno è del 5,4%, ma il consenso di mercato mantiene un'aspettativa del 5,8%. Il rischio di default creditizio a cinque anni è aumentato del 20% in dodici mesi. Il rendimento del debito francese a due anni supera quello di Spagna, Italia e Grecia, e il suo premio di rischio rispetto alla Germania ha raggiunto gli 80 punti base, 20 in più rispetto a quello della Spagna.
Il problema nell'area Euro è che tutti applaudono quando uno stato gonfia il PIL con ingenti spese pubbliche e posti di lavoro nel settore pubblico, oltre all'immigrazione, mascherando persistenti squilibri fiscali e un calo della crescita della produttività. Inoltre gli analisti keynesiani ignorano l'effetto crowding out sul settore privato e l'impatto dannoso di imposte elevate sulla sostenibilità dei conti pubblici a lungo termine.
Sono abbastanza vecchio da ricordare quando i media generalisti celebravano la Grecia come motore della crescita dell'Eurozona, quando stava gonfiando il PIL con ingenti spese pubbliche e posti di lavoro nel settore pubblico. La Grecia fu salutata come “foriera di un'elevata crescita economica” e “avanscoperta della ripresa dell'Eurozona” in base alle pubblicazioni dell'FMI e della Commissione Europea nel 2005 e nel 2006. Titoli e resoconti politici riconoscevano i risultati economici della Grecia come esempio di forte leadership all'interno dell'Eurozona. Sappiamo tutti cosa accadde poi nel 2008.
Non possiamo dimenticare che la Banca Centrale Europea ha avuto un ruolo determinante nel creare incentivi perversi per i politici, spingendoli a mantenere e aumentare gli elevati livelli di spesa pubblica e gli squilibri fiscali.
Nell'ultimo decennio la Banca Centrale Europea ha implementato un insieme di misure di portata senza precedenti, tra cui ripetuti tagli dei tassi, tassi nominali negativi, il controverso strumento anti-frammentazione e la monetizzazione del debito pubblico, tutti strumenti concepiti per salvaguardare la stabilità dell'Eurozona. Nonostante tutta la retorica di stabilità e indipendenza, queste misure hanno creato potenti incentivi all'incoscienza fiscale, erodendo le fondamenta stesse della credibilità monetaria europea e gettando le basi delle attuali crisi del debito sovrano, tra cui la debacle del debito francese.
I tassi d'interesse di riferimento della BCE, un tempo ancorati a disciplinare sia l'indebitamento sovrano che quello privato, sono crollati da oltre il 4% nel 2008 a livelli negativi, rimanendo in tale territorio per anni. Inoltre i programmi di acquisto di asset della BCE, ampliati con iniziative come il Programma di acquisto di emergenza pandemica (PEPP) e le Transazioni monetarie definitive (OMT), hanno saturato i mercati obbligazionari con liquidità e generato un enorme effetto crowding out che penalizza il credito a famiglie e imprese e maschera i problemi di solvibilità di chi emette debito pubblico.
Lo strumento anti-frammentazione, concepito per contenere lo “spread” tra i titoli di stato dei Paesi continentali e quelli periferici, spinge la questione oltre: promettendo un intervento illimitato, la BCE rassicura i mercati che sosterrà il debito sovrano praticamente a qualsiasi prezzo, diluendo la disciplina che i premi al rischio un tempo imponevano ai governi prodighi. Di fatto, potrebbe essere considerato uno strumento pro-sperpero, poiché avvantaggia i Paesi con scarso rispetto delle norme di bilancio e penalizza quelli che tengono sotto controllo debito e deficit.
Sebbene questi interventi calmino i mercati nel breve termine, alimentano una mentalità di indifferenza per le finanze pubbliche, inducendo gli stati ad aumentare costantemente la spesa pubblica. Pertanto molti governi, come quello spagnolo, si vantano dei bassi tassi d'interesse e della diffusione del debito nonostante i crescenti squilibri e il peggioramento dei conti pubblici. Lo strumento anti-frammentazione e i tassi nominali negativi distruggono il meccanismo di mercato che dovrebbe fungere da monito contro una politica fiscale sconsiderata. Gli stati membri, certi di finanziamenti a basso costo e del sostegno infinito della BCE, hanno scarsi incentivi a riformare bilanci gonfiati o a contenere i deficit, soprattutto quando ciò risulta costoso a livello elettorale. La persistente minaccia, sventolata dai politici tedeschi, che le azioni della BCE stavano sovvenzionando il “parassitismo fiscale” negli stati membri con un indebitamento elevato, sta diventando realtà.
Il caso più drammatico è la Francia. Il debito pubblico francese ha superato il 114% del PIL nel 2025, in parte a causa di persistenti e ingenti deficit coperti dalla BCE. I tentativi di consolidamento fiscale sono sempre stati timidi e quindi non sono riusciti a raggiungere una disciplina duratura, con il supporto della BCE sempre sullo sfondo come misura di sicurezza. Il risultato è un crescente premio per il rischio sovrano: i titoli di stato francesi, per la prima volta nella storia moderna dell'euro, ora rendono più dei titoli spagnoli, greci e italiani con rating comparabile, a dimostrazione del disagio del mercato nei confronti della traiettoria del debito francese, anche nell'era dei sostegni della BCE. Il fatto che questo aumento degli spread avvenga nel bel mezzo di un ampio piano di stimolo (Next Generation EU) e di tagli dei tassi è ancora più allarmante.
Il cosiddetto strumento anti-frammentazione, concepito come strumento di contenimento della crisi, è intrinsecamente un meccanismo di “responsabilità solidale senza controllo congiunto”. Vincola i membri prudenti dell'euro alle scelte fiscali dei partner meno disciplinati, socializzando il rischio ma nazionalizzando i benefici. Con questa facilitazione, i mercati non possono più discriminare il grano dalla pula in modo efficiente; l'ansia sulla sostenibilità del debito, che un tempo stimolava le riforme necessarie, viene soppressa anziché risolta. Inoltre è come una mutualizzazione del debito senza obblighi reali.
La filosofia del “costi quel che costi”, tanto elogiata dai leader della BCE, è ormai un’arma a doppio taglio: ha sostituito la responsabilità con la dipendenza e ha incoraggiato il lassismo fiscale.
Gli acquisti da parte delle banche centrali e la riduzione dei rendimenti in territorio nominale negativo rappresentano, per definizione, il caso peggiore di monetizzazione del debito. La BCE è un'entità in perdita perché acquista obbligazioni anche quando sono eccessivamente costose. Le perdite accumulate dalla BCE sui suoi programmi di acquisto di asset sono stimate a €800 miliardi, ampiamente superiori al suo capitale, secondo l'IERF.
Queste linee di politica mascherano problemi di solvibilità ed eliminano il deterrente definitivo alla spesa pubblica: il costo del denaro stesso. Il risultato a lungo termine è un contesto in cui i governi dell'area Euro, consapevoli che i finanziamenti pubblici sono garantiti a costi bassi anche in periodi difficili, accumulano debiti sempre più ingenti, rendendo l'area vulnerabile anche a lievi shock di fiducia, inflazione, o governance. Questa situazione potrebbe danneggiare l'euro in futuro se la Germania cadesse nella stessa trappola della Francia, uno scenario che sembra probabile alla luce degli ultimi annunci di politica monetaria.
Leggendo i giornali francesi, questo incentivo perverso è molto evidente. Invece di parlare di un percorso di spesa insostenibile, molti chiedono maggiori acquisti e stimoli da parte delle banche centrali. Inoltre altri chiedono l'accelerazione dell'euro digitale per attuare misure monetarie ancora più aggressive.
L'attuale crisi del debito francese è una conseguenza diretta di queste linee di politica. La spesa pubblica francese ha costantemente superato la crescita economica, eppure la promessa di un sostegno perenne da parte della BCE ha ritardato qualsiasi resa dei conti. Ora, con l'aumento dei premi al rischio e i mercati che mettono alla prova la determinazione della BCE, l'Eurozona si trova ad affrontare le amare conseguenze di un'era politica caratterizzata da azzardo morale e da una disciplina fiscale assente.
Sebbene l'attivismo della BCE possa garantire una stabilità temporanea, il suo costo a lungo termine è chiaro: aumento del debito, indebolimento del settore privato, svalutazione della valuta ed erosione degli incentivi per una responsabilità fiscale. A meno che l'Europa non riconsideri la sua dipendenza dagli stimoli eterni delle banche centrali e non ripristini i meccanismi di disciplina di mercato, l'attuale crisi francese potrebbe essere solo una delle tante tempeste fiscali future. Il successo dell'euro come valuta di riserva si basava sul pilastro della prudenza e della responsabilità fiscale. La mancanza di disciplina fiscale comporta sempre un rischio per la valuta.
Le banche centrali non possono stampare solvibilità e la mancanza di riforme strutturali e le eccessive politiche di allentamento monetario finiranno per distruggere l'euro.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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