venerdì 30 novembre 2018

Le credenze irrazionali sono quelle che stanno guidando i mercati





di Alasdair Macleod


Per comprendere le conseguenze del ciclo del credito, dobbiamo respingere le teorie opinabili ed esaminare le prove razionalmente. Questo articolo valuta il destino del dollaro durante la prossima crisi del credito, un argomento di crescente attualità. Conclude poi che l'attuale fase finale del ciclo del credito ha importanti analogie con il 1927, quando la FED allentò la politica monetaria a seguito della prova di una lieve recessione.

I mercati finanziari contemporanei sono intrinsecamente emotivi, principalmente perché sono inondati di valute fiat. Investitori e speculatori non sarebbero mai stati così incuranti in presenza di un sound money come lo sono col denaro fiat infinitamente elastico. Invece sono pronti a giocarci, in parte perché sanno che restare fermi garantisce una perdita di potere d'acquisto e in parte perché l'aumento dei prezzi degli asset, che in realtà è il riflesso di una valuta in calo, rende la vendita di valuta in cambio di asset una proposta allettante. Inoltre il credito per la speculazione è disponibile attraverso futures ed opzioni.

Anche i mercati finanziari sono irrazionali a causa dell'economia moderna, essendo diventati un sistema basato sulle credenze. Se tutte le banche centrali perseguono determinate credenze economiche, in quanto investitori probabilmente lo farete anche voi, altrimenti non stareste al passo con un mondo che segue le tendenze. Funziona fino a quando non funziona più. I banchieri centrali perseguono politiche che sono un miscuglio di neo-keynesismo e monetarismo, con una premessa assoluta che i mercati non regolamentati sono la fonte di tutti i nostri problemi economici e sistemici. Ma c'è un elemento nella politica monetaria che non cambia, ed è una convinzione che tutto possa essere curato mediante l'inflazione monetaria.

Questa condanna della politica monetaria è eccessiva? Beh, di recente Mark Carney, Governatore della Banca d'Inghilterra, è stato autorizzato dal Tesoro britannico ad emettere altri £1.2 miliardi, che secondo la stampa permetteranno alla Banca d'Inghilterra di creare ulteriori prestiti per un totale di oltre £750 miliardi. Bel lavoro: creare un po' di sterline con pochi colpi su una tastiera e moltiplicarle di 625 volte solo perché si suppone illusoriamente che il capitale della banca centrale sia reale. Qual è lo scopo? Bandire tutti i rischi che provengono dal settore privato, ovviamente.

È possibile giustificare politiche monetarie di questo tipo solo supponendo che siano la cosa giusta da fare. Ma questo ci dice qualcosa di importante: la deflazione, comunque la vogliate definire, non è il problema.



La deflazione è mal definita

Commentatori ed analisti sembrano essere d'accordo sul fatto che la deflazione sia il più grande rischio che ci troviamo di fronte oggi, e ogni volta che una statistica non è all'altezza delle aspettative del mercato, l'ombra della deflazione torna ad infestare le preoccupazioni generali. Stiamo diventando nervosamente consapevoli dell'accumulo di debito e del rischio che i consumatori e le imprese si trovino sull'orlo dell'ennesima crisi del credito.

Nel 1933 l'economista Irving Fisher disse: nel momento in cui i prestiti iniziano a peggiorare, le banche liquidano le garanzie, facendo così scendere i prezzi degli asset e portando a bancarotte diffuse. Secondo Fisher, un ciclo di liquidazione del debito ed il calo dei prezzi degli asset interagiscono convergendo verso un crollo, sopprimendo la domanda con conseguente calo dei prezzi delle materie prime e delle merci invendute. Quasi tutti sono terrorizzati da questo rischio, dimenticando che è qualcosa che può accadere solo col sound money, perché quest'ultimo conserva il suo potere d'acquisto. Negli anni '30 il dollaro era convertibile in oro, fino a quando Roosevelt rese illegale la proprietà dell'oro per i cittadini statunitensi e svalutò il dollaro. Oggi il panorama monetario è molto diverso: l'oro è stato bandito dal sistema monetario fiat e le valute scoperte emesse dagli stati non hanno niente dietro il loro valore di facciata.

Pertanto la deflazione è un modo inappropriato di descrivere una qualsiasi condizione economica quando le banche centrali sono pronte a pompare moneta fiat illimitata nelle loro economie al primo segno di difficoltà. La deflazione è diventata la descrizione generale di quasi tutte le forme di fallimento economico. Invece dovremmo capire che il fallimento economico, al di là delle guerre e delle piaghe, è sempre associato all'inflazione monetaria e all'indebolimento del potere d'acquisto di una valuta.

Prendete in considerazione gli effetti economici di una politica monetaria inflazionistica, come quella della banca centrale argentina. Il governo presiede un'economia in cui l'inflazione dei prezzi è ufficialmente pari al 26%, ma si stima che i prezzi stiano salendo di tre volte rispetto a tale percentuale, in base alle stime della parità del potere d'acquisto.

L'economia dell'Argentina sta crescendo al 2%, secondo un recente rapporto dell'OCSE. Ma realisticamente, l'economia argentina si contrae pesantemente quando si tiene conto della perdita reale del potere d'acquisto della valuta, in cui i numeri del PIL sono misurati. Dunque, dall'OCSE abbiamo un commento neo-keynesiano che rivendica una crescita economica marginale, quando la realtà può essere descritta come fortemente deflazionistica, perché la crescita del PIL reale aggiustata all'inflazione è fortemente negativa.

Ma non è deflazione. L'Argentina soffre di una grave inflazione dei prezzi, conseguenza della politica monetaria allentata. La situazione inflazionistica negli Stati Uniti e altrove non è diversa, solo meno intensa. Come gli argentini, gli Stati Uniti attraverso le statistiche ufficiali sottostimano l'inflazione, in questo caso solo al 2.8%, e anche questo fatto viene ignorato dalla FED. Un tasso più realistico di salita dei prezzi, secondo Shadowstats.com, supera attualmente il 10%. Ciò significa che il tasso reale dei fondi federali aggiustato ad un'approssimazione dell'inflazione dei prezzi effettiva si trova a -8%, che secondo ogni definizione ragionevole non è deflazionistico.

Nonostante la realtà monetaria, la comunità finanziaria, con gli occhi puntati solo sull'eccedenza del debito, persiste nel pensare che la deflazione, non l'inflazione, sia il rischio maggiore. Questa conclusione può essere solo il risultato di definizioni economiche imprecise, che consentono all'istituzione monetaria "suprema" di ingannare sé stessa insieme a tutti noi proferendo che le sue politiche monetarie inflazionistiche siano valide.



Flussi transfrontalieri

I deflazionisti sembrano credere, in accordo con la teoria della deflazione del debito di Irving Fisher, che il debito in una crisi del credito sarà liquidato, creando domanda di valuta. Questo approccio semplicistico ignora il fatto che durante un'inflazione, che porta necessariamente a tassi d'interesse nominali molto più elevati, anche la liquidazione del debito è un fattore sempre presente. La descrizione di Fisher su come le imprese e le banche falliscono in una recessione economica, è selettiva ed è stata utilizzata per giustificare l'intervento monetario per impedire a mutuatari e banche di pagare per i propri errori. Si passa dalla sopravvivenza del più adatto alla sopravvivenza del più influente, derubando i risparmiatori a beneficio di coloro dissoluti.

Non c'è giustificazione economica per questa visione unilaterale della deflazione del debito, ma dobbiamo conviverci. Possiamo essere sicuri che, in caso di crisi generale del credito, la FED emetterà moneta sufficiente a stabilizzare l'economia nazionale. Questa è la politica ufficiale ed il motivo per cui la FED è stata creata ed esiste. Le difficoltà per gli obblighi esteri denominati in dollari sono qualcosa da considerare in separata sede. Tuttavia possiamo presumere che le principali banche centrali estenderanno accordi di swap tra di loro per supportare i propri sistemi finanziari, ovunque l'esposizione in valuta estera rappresenti un fattore di rischio. Ma questo lascia ancora degli squilibri che potrebbero perturbare i tassi di cambio.

Esiste un'ipotesi secondo cui la liquidazione delle posizioni transfrontaliere porterà alla domanda netta di dollari, spingendola in su rispetto a quella per altre valute. Secondo questa logica, la superiorità del dollaro come valuta di riserva garantirà che le vendite di valuta estera derivanti da una crisi del credito comporteranno l'acquisto di dollari.

Dopotutto questi entusiasti del dollaro ci dicono che suddetta tesi è corroborata dal Dilemma di Triffin. Secondo il professor Triffin, i dollari necessari per la liquidità nel commercio internazionale sono forniti dai deficit commerciali degli Stati Uniti. E se gli Stati Uniti entrano in recessione, la contrazione economica limiterà l'offerta di dollari, costringendo il tasso di cambio a salire. Abbiamo bisogno di approfondire questa tesi per contestarne la validità.

Il professor Triffin ha previsto la fine del sistema di Bretton Woods nel suo libro, Gold and the Dollar Crisis: The Future of Convertibility, pubblicato nel 1960. In esso sosteneva che l'alluvione di dollari che finì all'estero dopo la seconda guerra mondiale (piano Marshall, Corea, ecc.) avrebbe portato allo scontro tra dollaro e gold standard. Ciò avvenne lungo una serie di eventi: dalle difficoltà nel mercato dell'oro di Londra verso la fine degli anni '60, alle ulteriori spese oltreoceano per la guerra del Vietnam, fino alla sospensione dell'accordo di Bretton Woods da parte del presidente Nixon nel 1971.

Triffin sosteneva nel suo libro che il dollaro poteva rimanere ancorato all'oro solo se ci sarebbero stati surplus commerciali per invertire la tendenza ed assorbire i dollari in eccesso, che altrimenti sarebbero stati convertiti in metallo giallo. Questo, per un interventista, era poco pratico ed esponeva il Dilemma: una valuta di riserva mondiale richiedeva che l'emittente avesse deficit interni per fornire la liquidità necessaria affinché fungesse da valuta di riserva. Eppure una tale politica conteneva al suo interno i semi della sua stessa distruzione.

La relazione tra il deficit commerciale e la liquidità della valuta di riserva ha portato Triffin a sostenere un'alternativa. Era essenzialmente la stessa posizione di Keynes quando raccomandò la creazione del bancor, piuttosto che usare il dollaro come valuta di riserva nel sistema di Bretton Woods.

La rilevanza odierna si trova nel fatto, come ha sottolineato Triffin, che le politiche economiche e monetarie interne a sostegno della liquidità internazionale finiranno per indebolire la stessa valuta di riserva. Ciò viene convenientemente dimenticato da coloro che sostengono che il Dilemma di Triffin assicurerà che la domanda per il dollaro continui e che gli Stati Uniti possano sempre avere deficit commerciali senza indebolire il dollaro.



Ci sono troppi dollari

Per valutare l'effetto di una crisi del credito sul dollaro, dobbiamo quindi valutare quanto è esteso il dollaro in termini di diffusione internazionale. I dati più recenti del Tesoro USA riportano la proprietà straniera di titoli statunitensi e la proprietà statunitense di titoli esteri. Mettendo da parte le differenze temporali, dal 2006 gli investimenti in dollari in mani straniere ammontano a $8,520 miliardi in più rispetto alla proprietà statunitense di investimenti esteri non in dollari, un aumento del 275% sin dal 2008. Questo è illustrato nel seguente grafico.


Non possiamo dire con certezza se tutto questo rappresenti qualcosa di vicino al punto di svolta di Triffin, dove la quantità di dollari in mani straniere indebolirà la valuta, ma secondo la Banca Mondiale il PIL mondiale è aumentato solo del 20% circa sin dal 2008, suggerendo che ci sono troppi dollari in mani straniere in base all'attività economica rispetto a dieci anni fa.

Stando così le cose, il dollaro potrebbe crollare sulle borse estere durante una crisi del credito, qualora dovessero aumentare le pressioni di liquidazione degli investimenti e venissero avviate coperture sulla valuta. È importante sottolineare che potrebbe anche essere il risultato auspicato per la FED, che è saldamente legata all'idea che il calo dei prezzi a livello di vendite al dettaglio debba essere evitato a tutti i costi, e una valuta più bassa potrebbe essere utilizzata insieme ai tassi a zero, o addirittura negativi, per aiutare a sostenere i prezzi interni. In queste circostanze l'oro e le criptovalute saranno viste dagli investitori come un rifugio sicuro contro le politiche monetarie inflazionistiche, il cui scopo principale sarà quello di contenere la liquidazione del debito e proteggere le banche commerciali.

Tuttavia questo non è l'intero quadro rispetto ai tassi di cambio.

È la natura delle valute fiat: i loro valori siano intrinsecamente incerti, ognuno dei quali riflette valori puramente soggettivi negli scambi esteri. Ci possono essere pochi dubbi sul fatto che l'attuale equilibrio, ad esempio, tra il peso argentino e il dollaro USA sarebbe perturbato in una crisi del credito globale (con il peso indebolito). Non possiamo essere così certi dei tassi di cambio, per esempio, tra l'euro e il dollaro. Né possiamo essere così sicuri di come possa mutare la politica cinese nei confronti degli investimenti in dollari, o addirittura la posizione di altri fondi sovrani. Tutto quello che possiamo dire è che il mondo al di fuori dell'America è sovraesposto ai dollari, proprio com'era alla fine degli anni '60, quando il rimedio era venderli in cambio d'oro.



I mercati azionari sono collegati all'economia solo in modo indiretto

Ecco un'altra credenza fasulla: ciò che accade nei mercati finanziari anticipa le prospettive economiche. In realtà, le prospettive economiche sono solo uno dei numerosi fattori che alimentano i valori degli asset. In un ambiente con un sound money, non vi sarebbe alcun rischio sistemico, ma solo rischi d'investimento singoli. Non ci sarebbero deficit commerciali, perché non ci sarebbe espansione monetaria scoperta per finanziarli. I cambiamenti nel potere d'acquisto del denaro, quando si tratta dell'oro, tendono ad aumentare nel tempo. Tuttavia le variazioni di prezzo generalmente si auto-correggono, regolate dall'arbitraggio dell'oro tra le diverse comunità. Il denaro scoperto, vale a dire le valute fiat, presentano rischi sistemici, manipolazione dei prezzi, falsità statistiche e ogni altra forma di disonestà monetaria immaginabile. L'idea che esista oggi un legame puro tra i valori degli asset e le prospettive economiche è quindi senza senso.

Tenendo presente questo avvertimento, procederemo a sondare il dove potremmo trovarci nell'attuale ciclo del credito. Il nostro quadro porta ad aspettarci un inaspettato aumento dell'inflazione dei prezzi, prima che l'economia non finanziaria cominci infine a surriscaldarsi. Quando ciò accadrà, i tassi d'interesse aumenteranno ancora di più innescando la crisi del credito.

Un collegamento chiave è il flusso di denaro dalle attività finanziarie a quelle non finanziarie. Le banche riducono le loro esposizioni obbligazionarie a favore di prestiti per la produzione e per il capitale circolante. Il denaro che esce dalle attività finanziarie indebolisce i valori di suddette e migliora i valori delle risorse produttive. Tuttavia, negli ultimi cicli del credito, questa relazione chiara è diventata sempre più sfocata. La distruzione dei risparmi e la loro sostituzione con il debito dei consumatori ha sostanzialmente modificato le caratteristiche delle fasi finali del ciclo del credito, oltre a creare un accumulo di debito non produttivo nel settore delle imprese. E non ultimi, gli interventi distorsivi dello stato come descritto nel primo paragrafo di questa sottosezione.

Pertanto determinare dove ci troviamo nel ciclo del credito sta diventando un esercizio sempre più soggettivo. I mercati azionari sembrano aver raggiunto il picco e potrebbero entrare in una nuova fase ribassista. Sempre più spesso gli investitori temono che l'aumento molto modesto dei tassi d'interesse visto finora stia rallentando troppo l'economia statunitense, che secondo Jerome Powell, il presidente della FED, sta attualmente crescendo grazie a maggiori investimenti industriali.

Tuttavia gli investitori sono diventati molto sensibili agli alti livelli di debito dei consumatori, delle imprese e dello stato, i quali non possono sopportare il peso di tassi d'interesse più elevati. Inoltre le conseguenze negative delle politiche commerciali del presidente Trump stanno diventando evidenti. Alcuni produttori statunitensi stanno ora parlando di ridurre gli investimenti e di dirottarli all'estero, per sfuggire alle sanzioni sui manufatti degli Stati Uniti e rimanere competitivi sui mercati esteri. Jerome Powell ha fatto leggermente marcia indietro sulla sua visione ottimista, ammettendo il potenziale rallentamento degli investimenti delle imprese a causa dei dazi.

I dazi stanno diventando sempre più un problema per i mercati, ma per ora sono un problema politico piuttosto che economico. Le uniche statistiche problematiche sono quelle dell'offerta di moneta, e queste suggeriscono che un rallentamento sia reale. I commentatori sottolineano che la crescita di M2 sta scemando, crescendo solo al 4.3% l'anno. Inoltre anche la crescita dei prestiti alle imprese americane sta rallentando. Tuttavia la produzione di beni rispetto ai servizi è diminuita, forse riducendo l'importanza di questo indicatore, poiché i servizi generalmente richiedono meno investimenti di capitale. Inoltre, con $2,600 miliardi di profitti all'estero che vengono rimpatriati in seguito ai condoni fiscali del presidente Trump, non abbiamo idea di quanto venga investito nella produzione negli Stati Uniti, perché non si riflette nelle statistiche sui prestiti bancari.

Oggi le incertezze sulle politiche del presidente Trump potrebbero causare un rallentamento degli investimenti delle imprese, come ha osservato di recente Jerome Powell. Inoltre il recente rally del dollaro sarà giudicato moderatamente deflazionistico. È probabile che questo risultato fornisca un certo sollievo alla FED, almeno temporaneamente, riguardo eventuali preoccupazioni sul costo di tassi d'interesse più alti per i debitori. Qualunque cosa suggerisca un rallentamento dell'economia, e quindi che ulteriori aumenti dei tassi d'interesse possano essere rinviati, dovrebbe essere accolta favorevolmente dai policymaker. Tuttavia, con l'inflazione dei prezzi già in aumento, la pressione per rialzare i tassi d'interesse sarà temporaneamente rinviata.
Pertanto potrebbe esserci ancora un altro, ultimo respiro, al rialzo per le azioni prima che si verifichi il crash. L'indicatore chiave è il rally dei prezzi dei titoli del Tesoro degli Stati Uniti, che fino a quando rimarrà intatto, dovrebbe sostenere le preoccupazioni di una deflazione del debito.

La distruzione iniziale della ricchezza dopo il picco dei mercati azionari potrebbe poi coincidere ed intensificare la crisi del credito. Ma quelli che pensano che sarà un evento deflazionistico non hanno prestato attenzione all'evoluzione della politica monetaria dai tempi di Paul Volker, l'ultimo presidente della FED con il coraggio di rialzare i tassi d'interesse per tenere sotto controllo l'inflazione dei prezzi. Né comprendono che la deflazione in realtà non esiste, e sono fuorviati da statistiche ufficiali e definizioni economiche imprecise.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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