mercoledì 21 novembre 2018

Sul filo del rasoio





di Alasdair Macleod


I lettori abituali di questo blog dovrebbero essere consapevoli che il ciclo dell'attività economica è alimentato dalla politica monetaria e che i periodici boom e bust sono il risultato della stessa politica monetaria. Il legame tra la soppressione dei tassi d'interesse nelle prime fasi del ciclo del credito, la creazione di investimenti improduttivi e il conseguente indebitamento sono stati riassunti nell'illustrazione del Triangolo di Hayek, che ho trattato in un precedente articolo.

Sin dai tempi di Hayek la politica monetaria, in particolare in America, si è evoluta dall'incoraggiare allo scoraggiare i risparmi mediante la soppressione dei tassi d'interesse, in modo da stimolare i consumi attraverso l'espansione dei finanziamenti al consumo. I consumatori americani vivono oltre i loro mezzi e hanno praticamente esaurito tutti i loro risparmi. Tuttavia, date le variazioni nel costo del credito al consumo (tra lo 0% dei prestiti auto e il 20% delle carte di credito e degli scoperti), i consumatori sono generalmente insensibili alle variazioni dei tassi d'interesse.

Pertanto, nonostante l'aumento della finanza al consumo, possiamo ancora considerare il Triangolo di Hayek come la forza trainante del ciclo del credito e gli eccessi insostenibili del debito creati sopprimendo i tassi d'interesse, il motivo per cui la politica monetaria conduce sempre ad una crisi economica. Il grafico qui sotto mostra che potremmo essere vicini ad un altro punto di svolta, per cui gli aumenti del tasso dei fondi della FED (FFR) potrebbero provocare una nuova crisi economica.


I precedenti picchi nel FFR hanno coinciso con l'inizio delle recessioni economiche, perché hanno esposto modelli imprenditoriali insostenibili. Sulla base della semplice estrapolazione, l'area tra le due linee tratteggiate, che si uniscono approssimativamente lungo questi picchi, è il punto in cui si prevede che il ciclo FFR attuale raggiunga il picco. Attualmente si attesta a circa il 3.25% e la FED prevede che il FFR raggiungerà una media del 3.1% nel 2019. Il grafico ci dice che la FED sta giocando col fuoco e ulteriori rialzi non faranno altro che garantire una crisi del credito.

La ragione per cui i picchi successivi dei tassi d'interesse hanno avuto un andamento discendente è legata al crescente livello di debito e prestiti, come indicato dalla linea rossa sul grafico. Oltre ad un temporaneo rallentamento durante l'ultima crisi del credito, il debito è aumentato ad ogni ciclo. Invece di crisi creditizie che eliminano gli investimenti improduttivi, è chiaro che la FED abbia impedito la liquidazione del debito, come minimo, negli ultimi quarant'anni. L'accumulo di debito sin dagli anni '80 è all'origine del motivo del calo dei tassi d'interesse nel corso del tempo.

Un aumento dei tassi d'interesse di un quarto di punto, se si riflette sul costo del servizio di tutti i debiti, sarebbe un onere per i debitori pari a circa $167 miliardi e l'aumento dal livello zero ha finora rappresentato un costo aggiuntivo di oltre cinquecento miliardi di dollari. Ma è più accurato considerare la maggior parte del debito accumulato come "non immediatamente rilevante", perché è in obbligazioni ad interesse fisso, compresi i titoli del Tesoro USA, e prestiti a medio termine simili. Inoltre laddove si applicano tassi d'interesse variabili, quasi tutte le grandi società dispongono di ufficiali di tesoreria che utilizzano derivati, come gli interest rate swap, per proteggersi dalle variazioni dei tassi d'interesse.

La parte importante è l'effetto delle modifiche al tasso d'interesse che si applica al capitale circolante, imposto in maniera grossolana sul costo dello scoperto di un'azienda. I costi degli interessi sul capitale circolante determinano a loro volta i ritorni marginali della produzione e quindi determinano la redditività complessiva di un'impresa.

Anche se un'azienda non ha bisogno di prendere in prestito, il costo del capitale circolante è una misura a cui un'azienda deve prestare attenzione. Se i rendimenti sul capitale non eliminano gli ostacoli basati sui tassi d'interesse attuali, un'azienda potrebbe fare meglio a usare il suo denaro altrove. Le banche centrali lo capiscono e il loro Santo Graal è quello di raggiungere un tasso a cui c'è equilibrio e l'economia può quindi crescere ad un ritmo sostenibile. Vediamo tutto questo riflesso nella politica monetaria, in base alla quale il FFR viene spostato a piccoli passi e l'effetto sull'economia viene valutato dopo ogni rialzo. Questo punto è stato confermato da Jay Powell nella sua conferenza stampa più recente.



La FED è la causa dei problemi che poi deve risolvere

Lo svantaggio dell'intervento statale in qualsiasi campo è che emergono conseguenze inaspettate, mentre gli attori economici si adeguano alle opportunità venute a crearsi. La soppressione dei tassi d'interesse, al di sotto del loro valore naturale basato sulle preferenze temporali, rappresenta un trasferimento di benefici dai risparmiatori ai mutuatari; quindi le imprese, incoraggiate da costi di indebitamento soppressi, accendono nuovi prestiti per espandere la produzione. Questa è, naturalmente, l'intenzione alla base della politica monetaria all'inizio del ciclo del credito. Ma quando si sviluppa la domanda extra di beni capitali (i beni usati per produrre beni finali e servizi al consumo), i prezzi delle materie prime e di altri prodotti intermedi cominciano a salire sulla scia dell'espansione del credito, e sono i prezzi in aumento che costringono una banca centrale a porre fine alla soppressione dei tassi d'interesse. Devono far salire i tassi d'interesse ad un livello sufficiente da sostenere la valuta e contenere le conseguenze sui prezzi da parte dell'inflazione monetaria precedente. La politica monetaria che mira ad un tasso neutro deve essere accantonata.

Questo è un problema che nasce dall'interventismo centrale. Se bisogna intervenire per correggere gli effetti inflazionistici degli interventi precedenti, le banche centrali farebbero meglio a controllare più da vicino i prezzi delle materie prime e i prezzi della produzione anziché fare affidamento principalmente sui prezzi al consumo, perché i prezzi al consumo sono gli ultimi ad essere influenzati dall'espansione monetaria, tranne dove lo stimolo è incanalato direttamente attraverso il prestito al consumo. In altre parole, il monitoraggio dei prezzi dovrebbe essere più flessibile di quello previsto dagli attuali mandati riguardo l'inflazione.

Invece la FED vuole seguire un approccio più obiettivo ed eliminare il maggior numero di congetture possibili. Poi cade nella trappola econometrica di credere che esista una cosa come una base scientifica di un livello generale dei prezzi. Ma un indice del tutto artificiale dei prezzi può essere costruito per dare qualsiasi risposta si desideri, in particolare attraverso l'applicazione dell'edonica. Questo è un termine di fantasia per supporre che se il prezzo di un prodotto aumenta, bisogna sgonfiarlo in base ad un valore che comprenda tutti i miglioramenti. Questo è il motivo per cui secondo la statistica un'automobile oggi costa quanto una di circa trent'anni fa, quando in realtà costa quasi il doppio. Poi c'è la sostituzione del prodotto, in cui le ponderazioni dell'indice vengono regolate ipotizzando che prezzi più alti per un articolo incoraggino alcuni consumatori ad optare per un'alternativa più economica: ad esempio, meno bistecche e più petti di pollo più economici. L'evidenza dell'inflazione dei prezzi viene quindi soppressa solo di pochi punti percentuali.

Pertanto gli indici dei prezzi al consumo vengono ora utilizzati per annullare gli effetti sui prezzi dell'inflazione monetaria invece di registrarli. Questa è la ragione principale per cui i banchieri centrali sono inconsapevoli delle conseguenze delle precedenti soppressioni dei tassi d'interesse.

Paradossalmente il miglior risultato per una banca centrale è di non raggiungere mai il risveglio economico, che in teoria dovrebbe essere l'obiettivo dichiarato della politica monetaria, perché farlo porta semplicemente a tassi d'interesse più alti e alla fine del ciclo del credito. Ciò significa che, consciamente o inconsciamente, le commissioni monetarie sono alla ricerca di notizie che ritardino la necessità di rialzare i tassi. Quindi quello che abbiamo è una politica monetaria basata su statistiche fuorvianti che quasi garantiscono che i policymaker agiscano come le famose tre scimmiette, finché non è troppo tardi.



Le conseguenze dell'epifania parziale di Powell

La cecità per quanto riguarda lo stadio del ciclo in cui ci troviamo è certamente vera per BCE, BoJ e BoE, così come per la maggior parte delle altre banche centrali che sopprimono i tassi d'interesse. Era vero anche per la FED, fino a poco tempo fa. Il presidente Powell ora ci dice che gli investimenti delle imprese stanno aumentando e l'economia americana sta andando avanti come un treno. Si aspetta ulteriori rialzi dei tassi d'interesse. Ha ragione sul dove ci troviamo nel ciclo del credito, ma erroneamente pensa che sia un ciclo economico che richiederà un tasso d'interesse neutrale per essere tenuto sotto controllo.

Nell'attuale sistema bancario centrale, Powell è ora un outsider ed i banchieri centrali all'estero che stanno ancora sopprimendo i tassi d'interesse sono pericolosamente in errore. È inevitabile una correzione economica dolorosa. Le tensioni a livello di valute ed i tassi d' interesse più alti sembrano destinati ad indebolire i mercati obbligazionari e azionari, cosa che culminerà con la prossima crisi globale del credito.

Abbiamo ora spiegato perché la politica monetaria conduce periodicamente ad una crisi del credito che fa fallire quelle imprese che sono redditizie solo fino a quando i tassi d'interesse sono soppressi. Questa è stata una caratteristica dell'economia degli Stati Uniti durante l'attuale ciclo del credito per dieci anni fino ad oggi, poiché il FFR è stato aggressivamente ridotto dopo il picco del 5.25% nel 2006-2007. Dall'introduzione di tassi quasi a zero nel 2008, una convinzione diffusa ha fatto sì che i tassi d'interesse non aumentassero di nuovo in misura significativa. Di conseguenza possiamo essere certi che le distorsioni dovute alla soppressione dei tassi d'interesse si siano accumulate fino ad un punto che in passato non era visibile.

Questo compiacimento è il motivo per cui un aumento del FFR nella zona di pericolo dovrebbe avvertirci che la fase di crisi del ciclo del credito si avvicina. Ma le uniche attività direttamente interessate dal FFR sono le banche commerciali. Nel mondo reale ciò che conta sono i tassi d'interesse reali pagati dalle imprese sul capitale circolante. Tale tasso è fissato dalle banche commerciali, le quali tengono conto dei rischi di prestito per le singole imprese, nonché i loro costi di finanziamento. Il tasso minimo per una società è quindi significativamente superiore a quello del FFR. Il nostro secondo grafico mostra il livello del prime lending rate delle banche commerciali.


Supponendo che la linea tratteggiata preveda l'altezza del tasso per innescare una crisi del credito, questo grafico suggerisce che un prime rate al 6% o più innescherà la prossima crisi del credito, rispetto ad un tasso attuale del 5%. Il merito di questo secondo grafico è che si applica alle imprese, mentre il grafico FFR no, ma il messaggio è lo stesso.

Potremmo vedere un aumento del prime rate al 6% nei prossimi mesi. La dichiarazione più recente del FOMC prevede un FFR al 3.1% l'anno prossimo, il che implica un prime rate ben oltre il 6%. C'è piena occupazione, non solo negli Stati Uniti ma anche in altre importanti economie. I prezzi delle materie prime, in particolare l'energia, sono in aumento e il CPI-U pesantemente sedato è al 2.5%, già superiore al tasso target del 2%. È in questo contesto che il presidente Trump sta aumentando le spese del governo riducendo le tasse. Anche per gli economisti keynesiani la combinazione di stimoli monetari e fiscali potrebbe essere eccessiva e potrebbe già essere all'origine della loro temuta domanda in eccesso. Prezzi più alti e quindi tassi d'interesse più alti.

Tuttavia sembra improbabile che il percorso verso tassi d'interesse più elevati sia diretto. In un ciclo del credito definito in modo classico, la sua fase matura vedrà probabilmente uno spostamento del capitale monetario dalle attività finanziarie a quelle commerciali, da Wall Street a Main Street. Abbiamo visto che sta già prendendo piede, come dimostrano i crescenti rendimenti obbligazionari, ma la quantità di denaro che scorre in obbligazioni continua a ritmo sostenuto, in particolare da fonti straniere.

La prova marcata di un cambiamento nel destino del capitale è probabile che proverrà dai mercati azionari, i quali dovrebbero scendere quando i flussi di denaro verranno deviati nell'economia reale. Ma le banche hanno le riserve per finanziare sia la speculazione sui mercati finanziari sia l'aumento della produzione, almeno in una certa misura. Inoltre gran parte dell'espansione del credito bancario è rivolta ai consumatori, finanziando la loro domanda di beni. Anziché un notevole lasso di tempo tra il picco dei mercati azionari ed un eventuale picco di produzione, i due eventi potrebbero quasi essere legati insieme, con azioni che calano di prezzo appena prima della crisi del credito stesso.



La storia si ripete?

L'avvicinarsi del picco del ciclo dei tassi d'interesse potrebbe contribuire direttamente al collasso dell'attività economica attraverso la distruzione della ricchezza nei mercati azionari, nonché attraverso l'esposizione di investimenti inadeguati nella produzione. Una crisi del credito con queste caratteristiche ha molto in comune con il periodo 1929-32.

Il crash di Wall Street nel 1929 arrivò alla fine di un periodo di espansione del credito altrettanto esteso, il quale prolungò l'ultima fase pre-crisi del ciclo del credito proprio come è avvenuto oggi. I rialzi dei prezzi al consumo vennero attenuati attraverso l'introduzione di linee di produzione industriale per nuovi beni. Oggi sono stati frenati dall'espansione della produzione in giurisdizioni più economiche. Ci sono pochi dubbi sull'esistenza di somiglianze tra quel periodo e le condizioni odierne, non ultimo l'ottimismo nei confronti delle prospettive non inflazionistiche.

Ci sono anche differenze significative, la più importante è che novant'anni fa la globalizzazione era generalmente limitata al mercato delle materie prime e alcune esportazioni di beni capitali estremamente limitate. Oggi la globalizzazione si estende lungo tutta la catena di produzione, dalle materie prime alla vendita al dettaglio, e abbraccia anche il coordinamento della politica monetaria da parte delle banche centrali. Ciò significa che una crisi a Wall Street, che distruggerà la ricchezza in America, si diffonderà rapidamente a tutte le altre principali economie. Il ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale è un ulteriore fattore che lega tutte le nazioni agli stessi cicli del credito e della produzione.

La prossima crisi del credito in America potrebbe anche iniziare altrove, in particolare nell'Eurozona. La BCE sta ancora sopprimendo i tassi d'interesse in territorio negativo e acquistando titoli di stato durante quella che è la fase finale del ciclo del credito nell'Eurozona, rendendo potenzialmente inevitabili e violenti gli aggiustamenti dei tassi d'interesse. La situazione in Giappone è simile, ma i produttori giapponesi sono ora aziende globali con sede solo in Giappone e sono molto influenzati dal dollaro e dalle altre principali valute.

Tutte le banche centrali stanno seguendo l'ipotesi che non vi siano crisi creditizie all'orizzonte. Questa arroganza è stata vividamente dimostrata da Janet Yellen che un anno fa ci ha detto di non credere che ci sarà un'altra crisi finanziaria, grazie soprattutto alle riforme nel sistema bancario dopo il crash del 2007-09. Quel crash fu una sorpresa per le banche centrali, come ogni crash precedente. Persino Benjamin Strong alla fine degli anni '20 credeva che la Federal Reserve aveva ormai domato i cicli economici del secolo precedente, sebbene fosse morto prima di essere smentito dal Crollo del 1929.

L'arroganza di Strong è la stessa sfoggiata dalla Yellen l'anno scorso. Le banche centrali non hanno imparato nulla sul ciclo del credito in quasi un secolo. Altrimenti avrebbero promosso una politica passiva e supportato un sound money, assicurandosi che le banche commerciali avrebbero limitato l'espansione del credito. Avrebbero lasciato che gli investimenti improduttivi venissero eliminati, non accumulati per scatenare una nuova crisi.

Oggi una crisi del credito sarà più catastrofica di quella di dieci anni fa. E quando arriverà, la risposta sarà sempre la stessa, tranne che le quantità coinvolte saranno molto maggiori. Le banche saranno salvate dalla FED stampando per loro nuovi capitali senza limiti, a condizione che non li precludano ai loro clienti. Nel contempo la FED si accollerà i crediti inesigibili delle banche. Il debito pubblico aumenterà, riflettendo l'aumento delle passività sociali e il calo delle entrate fiscali. Tutto il denaro richiesto verrà creato dal nulla.

La grande crisi finanziaria del 2007/08 sarà eclissata. In poche parole, questa volta la quantità di denaro richiesta porterà probabilmente alla distruzione del "full faith and credit" nelle valute fiat stesse, che fino ad ora è stato ampiamente indiscusso da parte della popolazione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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