mercoledì 15 febbraio 2023

La guerra dei 77 anni: l'Ucraina non è stata costruita per durare – Parte #4

 

 

di David Stockman

L'attuale disastro in Ucraina è iniziato con il colpo di stato a Maidan nel febbraio 2014, sponsorizzato da Washington. Tra le altre cose, si trattava di una "vendetta" progettata per punire la Russia per essere stata così audace da ostacolare il cambio di regime neocon in Siria; e soprattutto per offuscare Putin per aver convinto Assad a rinunciare alle sue armi chimiche, rimuovendo così ogni pretesto per l'intervento militare di Washington.

L'allora presidente ucraino e amico della Russia, Vicktor Janukovych, aveva abbandonato alla fine del 2013 un accordo di affiliazione all'UE e un piano di stabilizzazione del FMI a favore di un accordo più allettante con Mosca. Sotto il cosiddetto stato di diritto, tale cambio d'idea difficilmente si potrebbe configurare al di fuori del regno delle prerogative sovrane.

Ma non per Washington, nossignore, imbufalita per lo scacco matto in Siria. Di conseguenza gli agenti neoconservatori dell'apparato di sicurezza nazionale di Obama, guidati dall'orrenda Victoria Nuland, insistettero affinché l'accordo russo non potesse andare in porto e che l'adesione dell'Ucraina alla NATO dovesse essere accelerata.

Così facendo, dimostrarono un'immensa ignoranza riguardo la storia di 800 anni nei vari territori che erano stati messi insieme a formare lo stato artificiale dell'Ucraina, vassalli e appendici sia della Grande Russia che di vari regni e imperi dell'Europa orientale.

In parole povere, smossero un tale vespaio che avrebbe reso le disavventure di Washington in Medio Oriente un'inezia al confronto. Ma il Partito della Guerra non si sarebbe fermato, incoraggiato a credere che la sua vasta armata militare convenzionale e la portata delle sue sanzioni economiche mondiali avrebbero potuto mettere in ginocchio anche Putin.

In questo contesto, si può davvero dire che a volte poche parole valgono più di mille immagini, almeno quando si tratta dell'Ucraina. Eccone alcune:

Il leader ucraino ha detto che il suo Paese non era disposto a cedere il territorio fin dall'inizio. “Se fossimo stati disposti a rinunciare al nostro territorio, non ci sarebbe stata la guerra”, ha detto Zelensky.

Avete capito bene!

Davvero vale la pena combattere la guerra di sanzioni di Washington contro la Russia, la quale sta distruggendo il sistema mondiale di pagamenti e scambi basati sul dollaro e innescando una calamità inflazionistica mondiale, per difendere ogni centimetro di una mappa abbozzata e situata alle porte della Russia? Per non parlare poi del rischio di una guerra nucleare!

Infatti, come vedremo di seguito, l'attuale mappa territoriale ucraina esiste solo grazie all'opera di Lenin, Stalin e Krusciov. Ecco come e quando questi brutali tiranni hanno attaccato ogni pezzo dell'odierna mappa ucraina (in viola, azzurro e rosso, rispettivamente) ai territori acquisiti o sequestrati dagli zar russi nel 1654-1917 (giallo).

Né dovrebbe rimanere alcun mistero sulla provenienza di questi pezzi e parti. Quando all'inizio degli anni '20 i tiranni dell'Impero Sovietico crearono un'entità amministrativa che furono lieti di chiamare Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, stavano rimescolando blocchi di territorio e popoli che erano stati per lo più governati dalla Russia zarista durante i suoi ultimi secoli.

Infatti, prima dell'arrivo dei comunisti in Russia, non era mai esistito un Paese che somigliasse anche solo vagamente ai confini ucraini di oggi.

Al contrario, gran parte dei territori che compongono l'attuale Ucraina sono stati uniti alla madre Russia per la maggior parte degli ultimi tre secoli: durante l'epoca imperiale ciò avveniva attraverso la protezione e il patrocinio dei vassalli; e durante il brutale dominio dei comunisti sovietici, tra il 1922 e il 1991, avvenne tramite il comando totalitario.

Ma rimuovete il vile lavoro di Lenin, Stalin e Krusciov durante quest'ultimo intervallo di tempo e non esisterebbe nulla come la mappa odierna, né Washington avrebbe potuto iniziare una guerra economica mondiale e innescare l'impennata dei prezzi dell'energia, del cibo e delle materie prime. Questo perché i quattro territori recentemente "annessi" da parte della Russia sarebbero già stati parte integrante della Russia!

Ecco mappe sequenziali che raccontano la storia e che fanno carne trita del feticcio della "santità dei confini" sventolato da Washington. Infatti il territorio approssimativo delle quattro regioni annesse – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia – più la Crimea sono evidenti nell'area gialla di questa mappa di 220 anni fa (circa 1800).

Collettivamente, erano conosciuti come Novorossiya, o "Nuova Russia", ed erano stati acquisiti dai governanti russi, tra cui Caterina la Grande tra il 1734 e il 1791.

Com'è evidente dagli anni segnati in rosso sulla mappa, l'Impero russo aveva gradualmente acquisito il controllo dell'area, firmando trattati di pace con l'etmanato cosacco (1734) e con l'impero ottomano alla conclusione delle varie guerre russo-turche del XVIII secolo.

In seguito a questa spinta espansiva, che includeva massicci investimenti russi e l'immigrazione di grandi popolazioni russe nella regione, la Russia istituì il Governatorato di Novorossiysk nel 1764. Quest'ultimo doveva originariamente prendere il nome dall'imperatrice Caterina, ma decretò che dovesse chiamarsi invece "Nuova Russia".

Completando l'assemblaggio della Nuova Russia, Caterina liquidò con la forza il Sich zaporizhiano (l'attuale Zaporizhzhia) nel 1775 e annesse il suo territorio alla Novorossiya, eliminando così il dominio indipendente dei cosacchi ucraini. Successivamente, nel 1783, acquisì anche la Crimea dai turchi, che ovviamente fu aggiunta alla Novorossiya.

Durante questo periodo formativo, il famigerato sovrano ombra sotto Caterina, il principe Grigori Potempkin, diresse la radicale colonizzazione e russificazione di quella terre. Infatti l'imperatrice russa gli aveva concesso i poteri di un sovrano assoluto sull'area dal 1774 in poi.

Lo spirito e l'importanza della Nuova Russia in quel momento è colto dallo storico Willard Sunderland:

La vecchia steppa era asiatica e apolide; quella attuale era determinata dallo stato e rivendicata per la civiltà europeo-russa. Il mondo di confronto era quello degli imperi occidentali. Di conseguenza era chiaro che l'impero russo meritava la propria Nuova Russia, così come esisteva la Nuova Spagna, la Nuova Francia e la Nuova Inghilterra. L'adozione del nome di Nuova Russia era infatti la dichiarazione più potente immaginabile del raggiungimento della maggiore età, a livello di nazione, da parte della Russia.

Infatti il passare del tempo solidificò ancora più saldamente il confine della Novorossiya. Un secolo dopo l'area giallo chiaro di questa mappa del 1897 dava un messaggio inequivocabile: nel tardo impero russo non c'erano dubbi sulla paternità delle terre adiacenti al Mar d'Azov e al Mar Nero, facevano parte della "Nuova Russia" vecchia di 125 anni.

Dopo la follia della prima guerra mondiale e della rivoluzione bolscevica, i confini di gran parte dell'Europa centrale e orientale furono drasticamente ridisegnati. Ad esempio, alla cosiddetta Conferenza di pace di Versailles nel 1919, nuovi Paesi furono creati da zero (Cecoslovacchia) e Paesi morti da tempo (Polonia) furono rianimati sia nelle loro terre antiche che in quelle dei loro ex-vicini.

Un'altra di queste creazioni del dopoguerra fu la Jugoslavia. Il regno fu formato nel dicembre 1918, con la famiglia reale serba, i Karadjordjevic, che divennero i monarchi del nuovo Paese, ufficialmente chiamato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni fino al 1929, quando poi divenne Jugoslavia. Nel 1946 era stato incorporato nel Patto di Varsavia sovietico, con i confini e le parti costitutive mostrati di seguito.

Inutile dire che tutte queste creazioni e confini nel 1919 hanno cessato di esistere da tempo. Dopo un decennio di guerre civili e massacri di civili negli anni '90, la Jugoslavia si è divisa in sette nazioni indipendenti. E non solo: i confini apparentemente non sacrosanti della Jugoslavia sono stati fatti a pezzi dalle bombe della NATO, dagli armamenti, dagli aiuti economici e politici e dalle operazioni segrete!

E poi, dopo aver strappato le vecchie mappe come un semplice "pezzo di carta", la NATO ha fatto proprie le nuove entità nazionali, con la maggioranza entrata a far parte dell'Alleanza del Trattato del Nord Atlantico – un organo vestigiale progettato per contenere le guerre nei Balcani e soffocare l'Unione Sovietica, nessuna delle quali condizioni esiste più.

Allo stesso modo, gli attuali confini della Polonia furono spostati molto più a ovest su insistenza di Stalin a Yalta. Di conseguenza la rinata nazione della "Polonia", creata da Woodrow Wilson a Versailles per corteggiare il crescente voto polacco nel Midwest, assunse una conformazione sulle mappe completamente nuova.

Vale a dire, la Polonia era stata smembrata e cancellata dalle potenze europee negli anni Novanta del Settecento; era stata ravvivata dalle ignoranti richieste di Wilson a Versailles spostandone i confini in profondità nei territori storici tedeschi, cosa che fornì il carburante politico per il revanscismo di Hitler; e poi drasticamente ridisegnata a Yalta, dove il cinico Churchill e il malvagio Stalin superarono in astuzia il senile Roosevelt.

Pertanto l'area delineata in blu scuro era la Polonia di Wilson, ma l'enorme fascia in rosa divenne parte della Russia a Yalta, mentre le aree marroni, tra cui la città libera di Danzica (Danzica) e il Corridoio di Danzica alla sua destra, furono cancellate dai resti della Germania di Hitler.

La stessa storia vale per la Cecoslovacchia. Le sue tre nazioni costituenti furono messe insieme a Versailles dai resti dell'Impero austriaco, ma alla fine si separarono dopo la fine del dominio del comunismo nel 1991. Oggi lo stato ceco e la Slovacchia convivono pacificamente fianco a fianco e il mondo è non sta affatto peggio.

Si dà il caso, tuttavia, che esiste una mappa della regione post-prima guerra mondiale disegnata politicamente che non è stata annullata. Per ragioni note solo ai neoconservatori di Washington e al Partito della Guerra, i confini moderni dell'Ucraina – messi insieme da Lenin, Stalin e Krusciov dopo il 1918 – sono apparentemente l'eccezione alla regola.

Infatti sono considerati così sacrosanti da giustificare il martellamento dell'economia mondiale con una distruttiva Guerra delle Sanzioni, fino al punto di rischiare un acceso confronto militare tra le due maggiori potenze nucleari del mondo.

Naturalmente se il suddetto trio comunista del XX secolo fosse stato benefattore dell'umanità, forse il loro lavoro di creazione di mappe avrebbe potuto essere giustificato. In base a questa ipotesi, avrebbero presumibilmente unito popoli con storia etnica, linguistica, religiosa e politico-culturale simile in un sistema politico e uno stato naturale coeso; una nazione che vale la pena perpetuare, difendere e forse anche morire per essa.

Ahimè, era vero il contrario. Dal 1922 al 1991 l'Ucraina moderna è stata tenuta insieme dal monopolio della violenza dei suoi governanti totalitari. E quando persero temporaneamente il controllo durante le battaglie della seconda guerra mondiale, l'entità amministrativa chiamata Ucraina andò in pezzi.

Cioè, i nazionalisti ucraini locali si unirono alla Wehrmacht di Hitler nelle sue depredazioni contro ebrei, polacchi, rom e russi quando per la prima volta attraversò il Paese dall'ovest diretta a Stalingrado; e poi, a loro volta, le popolazioni russe del Donbass e del sud condussero una campagna con l'Armata Rossa durante il suo ritorno vendicativo dall'est dopo aver vinto la sanguinosa battaglia che cambiò il corso della seconda guerra mondiale.

Non sorprende quindi che dal momento in cui uscì dal giogo comunista, quando l'Unione Sovietica finì nella pattumiera della storia nel 1991, l'Ucraina sia stata inghiottita da una guerra politica e civile. Le elezioni che si svolgevano, risultavano in un 50/50 a livello nazionale ma riflettevano voti di 80/20 all'interno delle regioni. Cioè, i candidati nazionalisti ucraini tendevano a ottenere margini di voto dell'80% + nelle aree centro-ovest, mentre i candidati simpatizzanti per la Russia ottenevano simili pluralità nell'area est/sud.

È emerso questo modello perché una volta terminato il pugno di ferro del dominio totalitario nel 1991, si è manifestato il conflitto profondo e storicamente radicato tra il nazionalismo, la lingua e la politica ucraini nelle regioni centrali e occidentali del Paese e la lingua russa e le affinità storiche religiose e politiche nel Donbass e nel sud del Paese. La cosiddetta democrazia è sopravvissuta a malapena fino al febbraio 2014, quando una delle "rivoluzioni colorate" di Washington ha infine avuto successo – momento in cui la suddetta Washington ha fomentato e finanziato un colpo di stato a guida nazionalista che ha posto fine al tenue equilibrio post-comunista.

Per quanto riguarda l'effetto shock del colpo di stato di Maidan sul governo ucraino e sulla politica estera rispetto alla Russia, le mappe qui sotto vi dicono tutto quello che dovete sapere. La prima è delle elezioni presidenziali del 2004, vinte dal candidato nazionalista Yushenko sul filo-russo Yanukovich.

La seconda mappa è delle elezioni del 2010, la quale mostra la stessa netta divisione regionale, ma questa volta il candidato filo-russo risultò vittorioso.

Le parti blu scuro della mappa all'estremo oriente (Donbass) indicavano un voto dell'80%, o superiore, per Viktor Janukovich nelle elezioni del 2010. Al contrario, le aree rosa scuro nell'ovest avevano votato per l'80%, o più, per la nazionalista ucraina Yulie Tymoshenko. La polarizzazione dell'elettorato ucraino era così estrema da far sembrare l'attuale divario tra stati rossi e stati blu in America un'inezia al confronto.

Guarda caso, la somma degli sbilanciamenti pro-Janukovych a est e sud (Donbass e Crimea) aveva totalizzato 12,48 milioni di voti e il 48,95% del totale, mentre la somma degli sbilanciamenti estremi rosa al centro e ovest (le terre della vecchia Galizia orientale e della Polonia) ammontavano a 11,59 milioni di voti e al 45,47% del totale.

In altre parole, è difficile immaginare un elettorato più nettamente diviso su base regionale/etnica/linguistica. Eppure era uno che produceva ancora un margine di vittoria sufficientemente netto (3,6 punti percentuali) per Janukovich, tanto da essere accettato con riluttanza da tutte le parti. Ciò è diventato particolarmente chiaro quando la Tymoshenko, che era il primo ministro in carica, si ritirò poche settimane dopo il ballottaggio nel febbraio 2010.

A quel punto, ovviamente, la Russia non aveva alcun problema con il governo di Kiev perché essenzialmente il partito di Janukovich era basato sulle parti filo-russe (aree blu) dell'elettorato ucraino.

Negli anni successivi, l'Ucraina tentò di migliorare la propria situazione eseguendo una sorta di gara d'appalto tra l'Unione Europea e la Russia in relazione agli aiuti e agli accordi commerciali.

Infatti l'Ucraina era diventata un pozzo nero di corruzione finanziaria in cui una manciata di oligarchi aveva derubato il Paese. Nel 2014 il suo PIL reale era sceso a $568 miliardi ($ 2017), il che equivaleva a una contrazione del 37% anche rispetto alla logora economia comunista del 1990.

Di conseguenza l'amministrazione Janukovich filo-russa avviò, nel marzo 2012, le trattative per il suddetto accordo di associazione con l'Unione Europea e che doveva fornire vantaggi commerciali e un pacchetto di aiuti da parte dell'FMI.

Tuttavia i leader dell'UE insistettero sul fatto che nessun accordo poteva essere ratificato a meno che l'Ucraina non avesse diradato le preoccupazioni per un "grave deterioramento della democrazia e dello stato di diritto", compresa l'incarcerazione di Yulia Tymoshenko nel 2011. Per rispondere a queste preoccupazioni, infatti, il presidente Janukovich esortò il parlamento ad adottare leggi in modo che l'Ucraina soddisfasse i criteri dell'UE.

Ma fu il prestito da $4 miliardi dell'FMI che si è rivelata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Secondo l'allora primo ministro Mykola Azarov “le condizioni estremamente dure” del prestito dell'FMI (presentato nel novembre 2013) includevano forti tagli di bilancio e un aumento del 40% delle bollette del gas. Quelle erano condizioni troppo estreme affinché la maggior parte delle fazioni all'interno del sistema politico ucraino le accettasse.

Di conseguenza le richieste dell'FMI furono il motivo della brusca decisione del governo ucraino di sospendere i preparativi per l'accordo di associazione all'UE. Invece, nell'autunno del 2013, Kiev passò rapidamente a un accordo con la Russia, la quale era disposta a offrire prestiti per $15 miliardi senza le dure condizioni preliminari dell'FMI. Inoltre Mosca offrì all'Ucraina uno sconto sui grandi acquisti di gas dalla Russia.

Il resto è storia, per così dire. Come accennato in precedenza, i neocon di Washington non erano disposti ad accettare il voltagabbana di Kiev verso la Russia.

Così entrarono in azione portando tutti gli strumenti dell'Impero: la CIA, il Dipartimento di Stato, il NED, le ONG e gli oligarchi ucraini per far fallire l'accordo russo e rimuovere Janukovich dall'incarico.

In una successiva intervista con un giornalista statunitense, l'oligarca miliardario ucraino e leader dell'opposizione, Petro Porochenko (divenuto poi presidente), disse che il piano era quello di sovvertire la costituzione della nazione e insediare un governo anti-russo non eletto che avrebbe stracciato l'accordo con Mosca:

Fin dall'inizio sono stato uno degli organizzatori della rivolta a Maidan. Il mio canale televisivo, Channel 5, ha svolto un ruolo estremamente importante. [...]. L'11 dicembre, quando abbiamo ricevuto la visita dell'assistente del segretario di Stato americano, Victoria Nuland, e la diplomatica dell'UE, Catherine Ashton, a Kiev, è iniziato l'assalto a Maidan.

Non si dovrebbe mai dimenticare, quindi, che il colpo di stato che ha rovesciato il governo costituzionalmente eletto a Kiev è stato un'impresa da $5 miliardi decisa a Washington. Non si sarebbe mai concretizzatosenza le mani pesanti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti insieme alle altre braccia dell'Impero sopra menzionate.

Inutile dire che l'annullamento delle elezioni di un Paese – sostenuto dalla potenza militare della NATO e dai miliardi del consorzio Washington/UE/FMI – è un'ingerenza da colonialisti.

Infatti, come disse all'epoca l'ex-presidente Obama alla CNN, Washington stava solo facendo affari con la sua “nazione indispensabile”. Aveva incoraggiato l'ennesima “fioritura della democrazia” e a tal fine aveva “[...] mediato un accordo per la transizione del potere in Ucraina”.

Mediato un accordo un corno!

Questa è stata una palese e imperdonabile violazione del cosiddetto "diritto internazionale", perché serviva gli obiettivi dei neocon di Washington e perorava la volontà egemonica dell'ormai obsoleto apparato di politica estera degli Stati Uniti (per non parlare del reclutamento di un nuovo cliente per la vendita di armi).

Non importa se il sostegno politico e finanziario di Washington alla rivolta di Maidan, e quindi il riconoscimento quasi istantaneo del colpo di stato risultante, sia stato un assalto frontale alla sovranità di una nazione.

Il defunto e spregevole senatore John McCain si è persino recato a Kiev per mostrare solidarietà agli attivisti della piazza di Maidan. McCain cenò con i leader dell'opposizione, inclusi membri del partito di estrema destra Svoboda, e in seguito apparve sul palco in piazza Maidan durante una manifestazione di massa.

Lì era fianco a fianco con il leader di Svoboda, Oleh Tyahnybok, il quale non faceva mistero delle sue convinzioni filo-naziste.

Ma le azioni di McCain sono state un modello di moderazione diplomatica rispetto alla condotta di Victoria Nuland, l'assistente segretario di stato per gli affari europei ed eurasiatici, che, tra l'altro, è tornata nella stessa posizione nell'amministrazione Biden, perorando le stesse linee di politica belliche neocon.

Con l'aggravarsi della crisi politica in Ucraina, la Nuland e i suoi subordinati sono diventati più sfacciati nel favorire i manifestanti anti-Yanukovich. La Nuland disse, in un discorso alla Fondazione USA-Ucraina nel dicembre 2013, di essersi recata in Ucraina tre volte nelle settimane successive all'inizio delle manifestazioni. Visitando Maidan il 5 dicembre, distribuì biscotti ai manifestanti ed espresse sostegno alla loro causa.

La condotta di Washington non solo costituiva un'ingerenza, ma rasentava il ventriloquismo. Ad un certo punto, l'ambasciatore statunitense Pyatt menzionò la complessa dinamica tra i tre principali leader dell'opposizione ultranazionalista: Arseniy Yatsenyuk, Oleh Tyahnybok e Vitali Klitschko

Sia Pyatt che la Nuland volevano tenere Tyahnybok e Klitschko fuori da un governo ad interim. Nel primo caso si preoccupavano dei suoi legami estremisti; nel secondo sembrava che volessero che aspettasse e facesse un'offerta per una carica a lungo termine (questo ex-campione di boxe sarebbe poi diventato l'attuale sindaco di Kiev).

La Nuland affermò che:

Non credo che Klitsch dovrebbe entrare nel governo. Non credo sia necessario. Ciò di cui Yatseniuk ha bisogno sono Klitsch e Tyanhybok all'esterno.

I due diplomatici erano anche pronti a intensificare il già ampio coinvolgimento degli Stati Uniti nelle turbolenze politiche dell'Ucraina coinvolgendo il "pezzo grosso".

Pyatt dichiarò senza mezzi termini che:

vogliamo provare a convincere qualcuno con una personalità internazionale a venire qui e aiutarci a gestire questa cosa [la transizione politica].

La Nuland aveva chiaramente in mente il vicepresidente Joe Biden per quel ruolo. Notando che il consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente era in contatto diretto con lei, raccontò di avergli detto:

probabilmente domani e per far aderire i dettagli. Quindi Biden è disposto.

Victoria Nuland non si era limitata a dire ad alcuni agenti sotto copertura di acquistare pubblicità sui social media ucraini, come la Russia venne accusata di aver fatto durante le elezioni statunitensi del 2016. Scelse direttamente il successore di Yanokovich e l'intero gabinetto!

E lo sappiamo da una telefonata hackerata tra la Nuland e l'ambasciatore degli Stati Uniti a Kiev. Discutendo su chi avrebbe dovuto guidare il governo insediato da Washington, la Nuland disse chi sarebbe stato il prossimo primo ministro e con chi avrebbe dovuto parlare per un consiglio.

Nuland: Penso che Yats (Arseniy Yatseniuk) sia il tipo che ha l'esperienza economica, l'esperienza di governo. [...] quello di cui ha bisogno sono Klitsch e Tyahnybok all'esterno. Devo parlare con loro quattro volte a settimana.

Alla fine, i leader del colpo di stato seguirono alla lettera il consiglio della Nuland, insediando "Yats" come nuovo primo ministro. Ma riempì anche quattro posti di gabinetto su undici di rabbiosi neonazisti anti-russi.

Infatti al centro del colpo di stato c'erano organizzazioni ucraine chiamate Svoboda (partito nazionalsocialista dell'Ucraina) e Right Sector. Il loro eroe nazionale era un certo Stepan Bandera, un collaboratore di Hitler che guidò l'eliminazione di migliaia di polacchi, ebrei e altre minoranze mentre la Wehrmacht nazista, come accennato in precedenza, si faceva strada attraverso l'Ucraina verso Stalingrado nei primi anni '40.

Infatti ad un altro fondatore e leader di Svoboda, Andriy Parubiy, venne assegnato un portafoglio che comprendeva il Ministero della Difesa, le Forze Armate, le Forze dell'Ordine, la Sicurezza Nazionale e l'Intelligence. Non sorprende che il Cremlino fosse allarmato da questi sviluppi e che le popolazioni di lingua russa della Crimea e del Donbass (le aree blu nella mappa elettorale sopra) temessero una pulizia etnica guidata dal nuovo governo nazionalista ucraino a Kiev.

Infatti il primo atto legislativo del nuovo governo fu l'abolizione, il 23 febbraio 2014, della legge Kivalov-Kolesnichenko del 2012 che rendeva il russo lingua ufficiale. Come fece notare un commentatore, fu un po' come se i golpisti avessero deciso che il francese e l'italiano non sarebbero più state lingue ufficiali in Svizzera.

Il divieto della lingua russa causò una tempesta nella popolazione di lingua russa e provocò una feroce repressione contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Lugansk e Donetsk) iniziata nel febbraio 2014 e che portò a una militarizzazione della situazione e ad alcuni famigerati massacri (primi fra tutti quelli di Odessa e Mariupol).

Entro la fine dell'estate 2014, la Crimea tornò alla Madre Russia dopo un travolgente plebiscito e le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk divennero oggetto di una feroce guerra civile condotta da Kiev.

Come abbiamo spiegato altrove, Sebastopoli in Crimea era stato il porto di partenza della flotta navale russa sotto zar e commissari. Dopo 171 anni come parte integrante della madrepatria russa, divenne tecnicamente parte dell'Ucraina per ordine di Krusciov nel 1954.

Il fatto è che solo il 10% della popolazione della Crimea parla ucraino e fu il colpo di stato per le strade di Kiev da parte di nazionalisti ucraini e proto-fascisti estremisti anti-russi che causò il panico tra i russofoni in Crimea e l'allarmismo di Mosca sullo stato della sua storica base navale, per la quale aveva ancora un contratto di locazione fino al 2040.

Così, durante un referendum nel marzo 2014, l'83% degli elettori in Crimea si presentò al voto e il 97% approvò l'annullamento dell'editto sovietico del 1954. Non c'è assolutamente alcuna prova che gli elettori della Crimea che votarono per recidere la loro affiliazione con l'Ucraina fossero stati minacciati o costretti da Mosca.

Infatti ciò che realmente temevano erano gli editti contro la lingua e la cultura russa emanati da Kiev. Ed esattamente la stessa cosa valeva per le popolazioni prevalentemente di lingua russa nel Donbass.

Quindi, nel contesto di un'incessante e inutile espansione della NATO fino ai confini del rimpicciolito stato russo, Washington non solo sponsorizzò e finanziò il rovesciamento del governo costituzionalmente eletto dell'Ucraina nel febbraio 2014, ma una volta scoppiata la devastante guerra civile bloccò implacabilmente per otto anni consecutivi l'ovvia alternativa allo spargimento di sangue che invece causò 14.000 vittime civili e militari ben prima dell'attuale guerra.

Vale a dire, l'Ucraina avrebbe potuto essere spartita, con autonomia per le province del Donbass di lingua russa – o addirittura l'adesione allo stato russo da cui queste comunità avevano essenzialmente avuto origine.

Quindi la spaventosa verità della questione è questa: aggiungendo la beffa al danno dopo il suo colpo di stato sciocco e sconsiderato nel febbraio 2014, Washington ora insiste che i nipoti e le nipoti dell'esercito di Stalin nel Donbas debbano essere governati dai nipoti e dalle nipoti dei collaboratori di Hitler a Kiev, che gli piaccia o no.

Eppure quell'abisso storico è esattamente dove ha avuto origine l'attuale guerra civile.

Ed è anche il motivo per cui la divisione di un sistema politico artificiale messo insieme dai dittatori comunisti del XX secolo è l'unica via d'uscita.


IL FATTORE NATO

L'attuale direttore della CIA, William J. Burns, ha riconosciuto l'eventuale crollo dell'Ucraina nel 2008, quando era ambasciatore degli Stati Uniti in Russia. Dopo che le aspirazioni della NATO sull'Ucraina furono annunciate alla Conferenza sulla sicurezza di Bucarest di quell'anno, Burns scrisse un cablogramma segreto (successivamente pubblicato da Wikileaks) intitolato: “No vuol dire no: le linee rosse della Russia riguardo l'allargamento della NATO”.

La missiva a Washington conteneva un severo avvertimento di guai all'orizzonte:

Le aspirazioni della NATO sull'Ucraina e sulla Georgia non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma generano serie preoccupazioni circa le conseguenze per la stabilità nella regione. La Russia non solo percepisce l'accerchiamento e gli sforzi per minare la sua influenza nella regione, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che potrebbero compromettere seriamente gli interessi della sicurezza russi.

Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni in Ucraina sull'adesione alla NATO, con gran parte della comunità etnico-russa contraria, possano portare a una grande spaccatura che coinvolgerebbe violenza o, nel peggiore dei casi, una guerra civile. In tale eventualità la Russia dovrebbe decidere se intervenire; una decisione che non vuole affrontare.

Avete capito bene!

Per più di due decenni la politica di espansione della NATO è stata un pugnale puntato al cuore di un sistema politico ucraino intrinsecamente diviso, una divisione che era stata soppressa da 69 anni di brutale dominio comunista, ma che è esplosa dopo la caduta dell'Unione Sovietica nel 1991.

Quindi, come previsto da Burns, in risposta al colpo di stato del 2014, gli ucraini di lingua russa nella regione orientale del Donbass si sono ribellati contro il governo golpista di Kiev, denunciandolo come un regime fantoccio e illegittimo, pieno di neo-nazisti anti-russi.

Gli attivisti per l'indipendenza dichiararono la creazione di due nuovi stati autonomi, le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. A sua volta il nuovo governo ucraino anti-russo a Kiev, con abbondante sostegno militare e armi occidentali, avviò una guerra brutale contro queste repubbliche separatiste, un assalto che è continuato fino all'invasione russa dello scorso 24 febbraio.

Più di 14.000 ucraini furono uccisi e altre centinaia di migliaia furono sfollati, il tutto prima che iniziasse l'invasione russa.

Inoltre il modo in cui le due nuove repubbliche separatiste si armarono per combattere contro le forze di Kiev ci dice tutto quello che c'è da sapere sulle profonde divisioni nel sistema politico ucraino – crepe che furono immediatamente portate in superficie dal colpo di stato a Maidan.

Secondo Jacques Baud, un consigliere della NATO in Ucraina in quel periodo, i combattenti delle Repubbliche separatiste ottennero le loro armi principalmente dalle unità ucraine che disertarono, non dalla Russia!

Gente, quando intere unità militari disertano con le loro armi e con i mezzi per combattere, non avete a che fare con piccole differenze di opinione tra la popolazione di una nazione; è un segno di conflitto profondo e probabilmente inconciliabile. Come Baud aggiunse anche:

Nel 2014 io (ero) alla NATO, responsabile della lotta contro la proliferazione delle armi leggere, e noi (stavamo) cercando di rilevare le consegne di armi russe ai ribelli per vedere se Mosca (fosse) coinvolta.

I ribelli sono armati grazie alle defezioni di unità ucraine di lingua russa che passano dalla parte dei ribelli. Con il progredire dei fallimenti ucraini, l'intero battaglione di carri armati, artiglieria o antiaerei ha ingrossato i ranghi degli autonomisti. Questo è ciò che (ha spinto) gli ucraini a impegnarsi per gli accordi di Minsk.

Subito dopo aver firmato gli accordi di Minsk nel settembre 2014, l'allora presidente ucraino e oligarca corrotto, Petro Poroshenko, avviò una vasta operazione antiterroristica contro il Donbass. Mal consigliati dagli ufficiali della NATO, gli ucraini subirono una schiacciante sconfitta a Debaltsevo, la quale li costrinse a firmare nuovi accordi di Minsk nel febbraio 2015.

Si dà il caso che questi ultimi non prevedessero né la separazione né l'indipendenza delle Repubbliche, ma la loro autonomia nell'ambito dell'Ucraina. Cioè, lo status definitivo delle repubbliche doveva essere negoziato tra Kiev e i rappresentanti delle repubbliche, per una soluzione interna alla crisi riguardante la divisione politica dell'Ucraina.

Ma a causa degli ordini di Washington tutto questo non doveva concretizzarsi. Invece il governo post-golpe di Kiev condusse per otto anni una brutale guerra civile contro il Donbass. Gli ucraini di lingua russa avevano una paura mortale di essere governati da elementi neonazisti che permeavano il governo di Kiev, le forze militari e di sicurezza (SBU).

Infatti, anche se si era candidato in veste di pacifista, Zelensky stracciò gli accordi di Minsk subito dopo che si insediò nel 2019. Gli accordi di Minsk avevano dettagliato come Kiev avrebbe potuto reintegrare le sue regioni separatiste offrendo loro un'amnistia generale, maggiore autonomia e rappresentanza nel governo.

Ma Zelensky e altri alti funzionari, dopo che la loro stessa vita venne minacciata dalle milizie Azov incorporate nell'esercito ucraino, dissero che gli accordi di Minsk non potevano essere attuati. Invece affermarono di poter procedere con i loro obblighi previsti dagli accordi solo dopo aver ripreso il controllo delle aree controllate dai ribelli.

Inutile dire che, per quanto riguardava le repubbliche separatiste, il disarmo prima e i negoziati poi furono un assurdo fallimento. Infatti, dopo l'autunno del 2019, il governo Zelensky intensificò la furiosa guerra civile,

A tal fine fece sì che l'ascensione alla NATO fosse aggiunta alla sua costituzione, approvando inoltre un ordine esecutivo in cui si prometteva di recuperare la Crimea. Tuttavia, come abbiamo spesso spiegato, quel territorio e sito della base navale più strategica della Russia non erano mai stati parte dell'Ucraina fino al 1954, quando Krusciov lo donò ai brutali governanti comunisti di Kiev per il loro aiuto nell'assicurargli la successione dopo la morte di Stalin.

Inoltre, una volta che Zelensky intensificò la guerra civile, l'idea che l'Ucraina avesse ancora qualcosa a che fare con una democrazia funzionante perse ogni significato. Il governo di Zelensky arrestò i principali politici dell'opposizione, chiuse tutti i media dell'opposizione combinando più canali televisivi in ​​​​un'unica rete di propaganda governativa e, come abbiamo visto prima, bandì persino l'uso della lingua russa.

Molto tempo prima che la Russia invadesse il 24 febbraio 2022, una sanguinosa guerra civile infuriava nell'innaturale sistema politico chiamato Ucraina. Quest'ultima non era stata costruita per durare date le sue profonde divisioni etniche e soprattutto l'eredità della suddetta sanguinosa storia durante la seconda guerra mondiale, quando il Paese fu aspramente diviso tra le popolazioni fedeli alla Wehrmacht di Hitler e quelle allineate con l'Armata Rossa di Stalin. Come accadde anche dopo la guerra civile americana, l'animosità è durata decenni.

Quindi, ancora una volta, come disse Jacques Baud, questa è una guerra civile: non ci sono mai state grandi truppe russe nel Donbass prima del 24 febbraio 2022. Anche la mappa dell'intelligence statunitense pubblicata dal Washington Post il 3 dicembre 2021 non mostra le truppe russe nel Donbass.

Infatti, già nell'ottobre 2015, Vasyl Hrytsak, direttore del servizio di sicurezza ucraino (SBU), confessò che solo 56 combattenti russi erano stati individuati nel Donbass. Non era nemmeno paragonabile a quello degli svizzeri che andavano a combattere in Bosnia durante i fine settimana negli anni '90, o ai mercenari francesi che oggi combattono in Ucraina.

L'esercito ucraino era allora in uno stato deplorevole. Nell'ottobre 2018, dopo quattro anni di guerra, il procuratore capo militare dell'Ucraina, Antoly Matios, affermò che l'Ucraina aveva perso 2.700 uomini nel Donbass, ma non a causa delle perdite in combattimento. Invece fece riferimento a perdite di cui 891 per malattia, 318 per incidenti stradali, 177 per altri incidenti, 175 per avvelenamento (alcol, droghe), 172 per uso incauto delle armi, 101 per violazione delle norme di sicurezza, 228 per omicidio e 615 per suicidio!

Infatti, come ogni altra cosa in Ucraina, l'esercito era gravemente minato dalla corruzione dei suoi componenti. Secondo un rapporto del Ministero dell'Interno del Regno Unito, quando i riservisti vennero convocati nel marzo-aprile 2014, il 70% non si presentò alla prima sessione, l'80% non si presentò alla seconda, il 90% non si presentò alla terza e il 95% non si presentò alla quarta.

Per compensare la mancanza di soldati, il governo ucraino fece ricorso a milizie paramilitari. Erano essenzialmente costituiti da mercenari stranieri. A partire dal 2020 costituivano circa il 40% delle forze ucraine e contavano circa 102.000 uomini secondo un'indagine approfondita della Reuters. Vale a dire, gran parte di ciò che costituiva la forza militare ucraina alla vigilia delle invasioni russe era armata, finanziata e addestrata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Francia.

Queste milizie, nate dai gruppi di estrema destra che guidarono la rivoluzione a Maidan nel 2014, sono composte da individui fanatici e brutali. Il più noto di questi è il reggimento Azov, il cui emblema ricorda quello della 2a divisione SS Das Reich Panzer. Quest'ultima è oggetto di venerazione nazionalista in Ucraina per aver liberato Kharkov dai sovietici nel 1943.

Niente di tutto questo è un segreto, anche se è stato bandito dalla narrativa mainstream. Così l'Occidente sostiene e continua ad armare le milizie che dal 2014 si sono rese colpevoli di crimini contro le popolazioni civili del Donbass, tra stupri, torture e massacri.

Inoltre l'integrazione di queste forze paramilitari nella Guardia Nazionale non è stata affatto accompagnata da una "denazificazione", come spesso si sostiene. Tra i tanti esempi, quello delle insegne del Reggimento Azov.

Infine, alla vigilia dell'invasione, il governo di Kiev si muoveva per intensificare drasticamente la guerra civile e la sua brutale campagna contro le repubbliche separatiste. A partire dal 16 febbraio – una settimana prima dell'invasione – i bombardamenti dell'artiglieria ucraina sulle popolazioni civili del Donbass aumentavano drammaticamente, come dimostrano i rapporti quotidiani degli osservatori dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).

Naturalmente, né i media, né l'Unione Europea, né la NATO, né alcun governo occidentale hanno reagito o sono intervenuti neanche verbalmente.

Allo stesso tempo, venivano segnalati anche atti di sabotaggio nel Donbass. Il 18 gennaio i combattenti del Donbass intercettavano sabotatori equipaggiati con equipaggiamento occidentale e che parlavano polacco cercando di creare incidenti chimici a Gorlivka.

I bombardamenti dell'artiglieria ucraina sulle popolazioni del Donbass hanno continuato ad intensificarsi come mostrato di seguito – così il 23 febbraio le due Repubbliche hanno chiesto aiuto militare alla Russia. Il giorno successivo Vladimir Putin ha invocato l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che prevede l'assistenza militare reciproca nel quadro di un'alleanza difensiva.

A quel punto la guerra civile ucraina è diventata internazionale e la nazione artificiale che non era "costruita per durare" è stata accompagnata al suo fine vita.

Infatti la verità della questione è che la Washington imperiale sta ora raccogliendo la tempesta dopo che per decenni ha seminato vento con la sua interferenza nella politica interna e nel processo di governance dei Paesi di tutto il mondo – e le sanguinose conseguenze del colpo di stato in Ucraina sono solo l'ultimo esempio in merito.

Contrariamente alla magniloquenza, allo sciovinismo e al moralismo che scaturisce da Washington e dai media generalisti, l'America non aveva assolutamente alcun interesse per la sicurezza nazionale – fino a oggi – nel battibecco tra Putin e il colpo di stato a Kiev nel febbraio 2014.

Come abbiamo detto, l'Ucraina non è stata costruita per durare. Nonostante tutte queste schiaccianti realtà, Zelensky continua a chiedere in modo stizzoso e arrogante che Washington e l'occidente si lancino nel baratro di una Terza Guerra Mondiale (ad esempio una No Fly Zone) per difendere ogni centimetro dell'Ucraina.

Dopotutto, se secondo la bocca dei potagonisti ucraini stessi di questa guerra non ci sarebbe stato alcun conflitto se l'Ucraina fosse stata disposta a rinunciare agli storici territori russi della Crimea e del Donbass in primo luogo, allora perché Washington non sta spingendo verso i negoziati affinché si trovi un accordo proprio su questi punti?

A dire il vero, non è interessata a porre fine alla guerra in Ucraina o a salvare una nazione che non può e non deve essere salvata.

Al contrario, Washington e i suoi accoliti nei media generalisti sono diventati così pazzi per l'isteria anti-Putin che non saranno saziati fino a quando la stessa Russia non sarà abbattuta – anche se ciò minaccia di far crollare l'intero sistema mondiale del commercio e dei pagamenti basato sul dollaro da cui dipende la tenue prosperità americana.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2023/01/la-guerra-dei-77-anni-e-perche-ancora.html

👉 Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2023/02/la-guerra-dei-77-anni-e-perche-il.html

👉 Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2023/02/la-guerra-dei-77-anni-e-perche-la-prima.html


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