venerdì 12 maggio 2023

La bolla del credito si sta sgonfiando

 

 

di Alasdair Macleod

Il tema di questo articolo è la deflazione del debito. Quanto è probabile che la flessione dell'offerta di denaro continui e, in caso affermativo, perché? E quali sono le conseguenze?

Le principali banche centrali hanno fatto sempre più ricorso alla manipolazione dei tassi d'interesse come principale mezzo di gestione della domanda; eppure la storia mostra poca correlazione tra i tassi d'interesse manipolati e la crescita del credito, la quale è rappresentata dalle statistiche monetarie più ampie.

Si può solo concludere che le banche centrali hanno finalmente perso il controllo sui tassi d'interesse e che ora sono guidati dalla contrazione del credito delle banche commerciali. Il grande sgonfiamento della bolla del credito, che durava da quattro decenni, è alimentato da una crescente paura del rischio di prestito tra i banchieri, esacerbata dai recenti fallimenti di alcune banche importanti. Per i banchieri non è più il momento dell'avidità, ma della paura e della riduzione dei loro debiti.

Questo articolo attinge all'esperienza degli anni '70 per l'evidenza empirica e ne approfondisce le ragioni. Mostra come le dinamiche alla base della crisi del Regno Unito, che portarono all'emissione di bond inglesi con cedole superiori al 15%, furono più lievi di quelle affrontate oggi dagli Stati Uniti e da altre nazioni.

Può solo tradursi in trappole del debito nelle finanze pubbliche e in un passaggio dalla creazione di credito da parte delle banche commerciali alle banche centrali. La svalutazione della forma di credito più importante non farà che esacerbare i problemi per i finanziamenti pubblici, aumentando i costi del welfare, facendo crollare le entrate fiscali e aumentando i costi di prestito.


Introduzione

Non c'è prova più chiara di un cambiamento fondamentale nella tendenza dei tassi d'interesse a lungo termine del rendimento del decennale statunitense, il quale ha violato la sua tendenza al ribasso a lungo termine come mostrato nel grafico qui sotto.

Anche se è un errore porre troppa enfasi sulle relazioni meccaniche, ci sono buone ragioni per cui questa interruzione di tendenza rappresenta un indicatore molto importante. Pone fine alla tendenza al ribasso dei tassi d'interesse, favorita dalle linee di politica della FED. Col tempo gli storici potrebbero registrare le straordinarie illusioni dei pianificatori monetari centrali che hanno portato a una trappola del debito che sta distruggendo le valute fiat, a meno che la storia non sarò scritta dagli stessi pianificatori monetari centrali.

Ciò è del tutto possibile, ma esiste una descrizione più accurata del fallimento delle lorro linee di politica. Le varie mosse degli statistici per nascondere le prove dell'aumento dei prezzi si sono concluse quando le banche centrali hanno soppresso i tassi d'interesse fino o al di sotto dello zero. Non solo il metodo statistico ha creato l'illusione che l'inflazione come definita ufficialmente non fosse un problema, ma ha incoraggiato i pianificatori monetari centrali a sopprimere i tassi d'interesse in modo più aggressivo per ottenere un IPC apparentemente piatto e raggiungere l'obiettivo del 2%. Con la pandemia come giustificazione, la FED ha soppresso i tassi d'interesse fino a zero e ha proceduto col quantitative easing a livelli senza precedenti nel tentativo di sopprimere tutti i rendimenti obbligazionari. E prima ancora in Giappone, nell'Eurozona e in Svizzera sono stati introdotti tassi d'interesse negativi, del tutto illogici.

Se la FED si fosse attenuta alla sua linea di politica di aggiustamento del tasso di riferimento con l'inflazione dei prezzi al consumo, avrebbe iniziato ad aumentarli nell'aprile 2021, quando il tasso d'inflazione IPC è balzato dall'1,7% di solo due mesi prima al 4,1%. Ma tale aggiustamento non è stato effettuato fino al marzo successivo, quando la FED ha aumentato l'intervallo obiettivo di appena un quarto di punto percentuale, allo 0,25-0,50%, momento in cui l'IPC stava salendo all'8,5% rispetto a un anno prima.

La storia ufficiale, secondo cui l'inflazione era transitoria, era priva di fondamento. Ma sono state le sanzioni contro una Russia che si sono ritorte contro l'alleanza NATO e hanno messo in allerta tutti riguardo un crollo dei valori del credito nelle principali valute occidentali. Di conseguenza i prezzi dell'energia, delle materie prime, dei prodotti alimentari e alla produzione, che erano già in aumento, sono improvvisamente aumentati. Le banche centrali erano sconcertate e hanno dato la colpa alla guerra, sostenendo che la Russia sarebbe stata sconfitta o la sua economia sarebbe crollata sotto le sanzioni. L'inflazione era ancora considerata transitoria.

Ufficialmente rimane transitoria, solo che ci vuole un po' più di quanto inizialmente pensato per tornare al 2%. Ogni previsione ufficiale per l'inflazione dei prezzi presuppone che sia così. Il grafico principale di questo articolo, della nuova tendenza al rialzo dei rendimenti obbligazionari, dice il contrario; e più tempo ci vorrà affinché l'inflazione venga contenuta, più la popolazione crederà che probabilmente diventerà permanente e agirà di conseguenza.

Il discorso pronunciato dal Governatore della Banca d'Inghilterra alla London School of Economics il 27 marzo è indicativo del pensiero di gruppo ufficiale. Una ricerca per parola nelle sue sedici pagine mostra un solo riferimento al credito e nessuno all'offerta di denaro (M0, 1, 2, 3 o 4), 31 ai tassi d'interesse e 13 a tasso bancario. C'erano 27 riferimenti a r*, che rappresenta l'ipotetico tasso d'interesse che sosterrebbe la domanda in linea con l'offerta. I nuovi modelli keynesiani sono stati menzionati una volta e il monetarismo, o il termine monetarista, per niente.

Piuttosto che guadare al linguaggio delle banche centrali, queste ricerche di parole chiave sono un'utile guida per quanto riguarda il pensiero di gruppo ufficiale. E data l'assenza di riferimenti all'offerta di denaro e al credito, questo discorso sulla politica monetaria non riguardava affatto quest'ultima, nonostante sia stata citata 46 volte. Dai riferimenti, il discorso del Governatore sembra essere stato scritto per lui da diciassette economisti interni, una commissione unita da unico pensiero di gruppo.

Questa non è un'evidenza esclusiva solo alla Banca d'Inghilterra, anche i verbali del FOMC mancano di riferimenti al credito e al denaro rispetto alla politica monetaria. Ciononostante ci sono sempre più riferimenti ai tassi d'interesse.


Credenze errate sul ruolo dei tassi d'interesse

I banchieri centrali e l'intera comunità degli investitori ritengono che il rapporto tra prezzi e denaro sia governato esclusivamente dai tassi d'interesse. In altre parole, per contenere l'inflazione, che l'establishment definisce aumento dell'indice dei prezzi al consumo, la gestione dei tassi d'interesse è lo strumento principale, forse l'unico. Ma contrariamente al discorso del Governatore di cui sopra, ci sono poche o nessuna prova empirica a sostegno di questa tesi. Probabilmente l'unica eccezione si è verificata nei primi anni '80, quando il presidente della FED, Paul Volcker, rialzò il tasso di riferimento fino al 19,5%, ma di questo parlerò dopo.

Le prove empiriche da sole non sono sufficienti: è necessaria una spiegazione adeguata. La storia di Volcker ignora la relazione tra tassi d'interesse e credito, il carburante che alimenta sia la produzione che la domanda dei consumatori ed è la preoccupazione centrale dei monetaristi. La relazione è mostrata nel grafico seguente.

Le aspettative di prezzi in continuo aumento che erano montate sin dal 1977 furono soppresse all'inizio degli anni '80, ma il credito misurato da M3 continuò a espandersi senza sosta. L'unica conclusione che possiamo trarre da questo grafico è che, indipendentemente dalle tendenze dei tassi d'interesse, l'offerta di denaro salì a prescindere.

Tuttavia l'aumento dei tassi d'interesse ridusse le aspettative riguardo l'aumento dei prezzi, le quali minacciavano di minare la fiducia nella valuta. Ma a parte questa azione estrema, come mezzo per controllare l'espansione del credito, la linea di politica riguardo i tassi d'interesse fu un fallimento, anche se all'epoca non venne compreso, dato che l'attenzione, come lo è oggi, era tutta concentrata sulle conseguenze per i prezzi.

Ora stiamo finalmente assistendo a una contrazione del credito bancario per la prima volta sin dalla Grande Depressione. Si è tentati di attribuire l'attuale contrazione dell'offerta di deanro al forte aumento del tasso di riferimento ufficiale, ma il legame è solo indiretto e ha poco o nulla a che fare con la perdita di potere d'acquisto da parte del dollaro, o, in altre parole, con l'aumento dei prezzi.

Invece la contrazione del credito bancario è dovuta alla cautela dei banchieri commerciali nei confronti dell'attività di prestito. Come abbiamo visto con il fallimento della Silicon Valley Bank, alcune banche hanno investito in obbligazioni a medio e lungo termine quando il costo dei finanziamenti era significativamente inferiore ai rendimenti cedolari delle obbligazioni. L'aumento dei tassi d'interesse ha quindi fatto salire il costo dei finanziamenti più in alto rispetto alle cedole obbligazionarie e ha portato a perdite di capitale. Inoltre lo stesso fato si è scagliato sulle banche centrali, ma su scala molto più grande. Mentre SVB poteva andare in bancarotta, si presume che le banche centrali siano immuni da un tale esito, perché possono facilmente espandere i propri bilanci per fornire liquidità.

Ma ora dobbiamo esaminare la vera relazione tra credito e tassi d'interesse: sono i cambiamenti nel credito bancario totale ad influenzare i tassi d'interesse. Se le banche riducono il livello del credito rispetto alla domanda, allora i tassi d'interesse devono riflettere la carenza di credito e possono solo salire. Sono le azioni collettive delle banche commerciali che ora stanno facendo salire i tassi d'interesse e non la linea di politica delle banche centrali.

Questo ci porta a una conclusione preoccupante: attualmente ci troviamo in una crisi bancaria mondiale, innescata in una certa misura dalla contrazione del credito bancario. A meno che la coorte bancaria non abbandoni la sua cautela sull'attività di prestito, i tassi d'interesse sono destinati a salire ulteriormente, indipendentemente dalle politiche e dai desideri di chi imposta i tassi nelle banche centrali. E non importa solo la cautela dei banchieri nei confronti dei prestiti ai settori finanziari e non finanziari, c'è anche quella riguardante i loro "fratelli" più deboli.

Affinché il sistema bancario funzioni, è necessario correggere gli squilibri di bilancio derivanti dai flussi di depositi,a nel momento in cui la comunità bancaria sospetta che ci sia una corsa agli sportelli nei confronti di una di loro, quella banca viene tagliata fuori dal canale dei finanziamenti.

Il metodo convenzionale per affrontare l'incapacità di una banca di finanziarsi nei mercati all'ingrosso prevede che la banca centrale intervenga per compensare le carenze di depositi. Per una banca ricorrere a questo finanziamento non è solo imbarazzante, ma conferma il suo status di paria. Northern Rock dovette affrontare una corsa agli sportelli nel settembre 2007. La Banca d'Inghilterra intervenne, ma nonostante il suo sostegno, Northern Rock non si riprese mai e nel febbraio successivo venne nazionalizzata.

Indubbiamente oggi ci sono altre banche di tutte le dimensioni in difficoltà, sia nei mercati bancari nazionali che internazionali. È una conseguenza della fine della bolla del credito e dà un'idea delle attuali relazioni intrabancarie.

Immaginate di gestire una banca. In questa atmosfera creditizia sempre più febbrile, sarete ben consapevole del rischio di controparte. Ridurreste la vostra esposizione nei mercati all'ingrosso su tutta la linea; redigereste un elenco di banche a cui non concedereste prestiti; esaminereste le vostre esposizioni di controparte in derivati; smaltireste tutte le obbligazioni negoziabili con scadenze superiori a un anno; rivedreste i valori delle garanzie sui prestiti.

Vi assicurereste che i vostri tassi di deposito siano impostati per trattenere i depositi, ma non li aumentereste a tal punto da creare sospetti d'insolvenza. E anche per quanto riguarderebbe i rapporti commerciali consolidati, cercherereste di aumentare i vostri tassi di prestito. Sperereste che proteggendo i margini di prestito promuoverete una reputazione di gestione sana e prudente. Il mantenimento della reputazione sui mercati e tra i depositanti è fondamentale, ma, soprattutto, adottereste misure per ridurre il rapporto tra attivi e patrimonio netto a livelli più prudenti.

Allertata da SVB e Credit Suisse, ogni banca si adopererà per soddisfare obiettivi simili. La contrazione del credito continuerà ovunque, con la possibile eccezione dei mercati bancari slegati dai mercati finanziari occidentali, come Russia e Cina.

Nell'Eurozona anche un modesto aumento dei tassi d'interesse porterà quasi certamente a una sostanziale contrazione del suo mercato dei pronti contro termine, spesso sostenuto da garanzie poco sicure. Attraverso i bilanci delle banche ciò si rifletterà in una contrazione del credito bancario in un sistema pieno di crediti inesigibili nascosti e in cui le banche G-SIB hanno rapporti attivi/patrimonio totale di oltre venti volte. La BCE è a tutti gli effetti in trappola. Inoltre con la BCE e le banche centrali nazionali quasi tutte in deficit di bilancio, i banchieri americani e di altro tipo eviteranno nuovi impegni e rischi di controparte con l'Eurozona.

Gli Stati Uniti hanno la loro crisi, essendo fortemente dipendenti dai mercati finanziari, sui quali la FED ha fatto affidamento per mantenere intatta la fiducia economica. Se il valore delle obbligazioni continua a calare, le finanze pubbliche si destabilizzeranno e le società zombi, sovraccariche di debiti improduttivi, falliranno, portando potenzialmente a livelli di disoccupazione dell'era della Grande Depressione.

In breve, siamo passati dagli anni Volcker a oggi in cui la situazione debitoria è più grave di quanto non sia mai stata in passato. La soluzione per cui le banche centrali possano stampare denaro senza far crollare le loro valute non è più un'opzione. Per comprenderne il motivo, bisogna capire la risposta alla domanda posta sopra sulla non correlazione tra i tassi d'interesse e le quantità di denaro e credito. Solo allora si potrà vedere la portata degli errori alimentati dalle politiche monetarie contemporanee.


I tassi d'interesse riflettono il tempo, non il costo

Se c'è una ragione per cui lo stato fallirà sempre nelle sue politiche monetarie, è l'incapacità della mente burocratica d'incorporare il tempo nel suo processo decisionale. Nell'economia di mercato, che è poco più di un nome per le azioni collettive degli individui che effettuano transazioni e delle loro imprese, il tempo è cruciale. Un produttore incorpora il tempo nei suoi calcoli di profitto e un consumatore incorpora il tempo nei suoi bisogni e desideri, sia che voglia qualcosa immediatamente o sia disposto a posticipare il suo acquisto. E poiché il denaro è il collegamento tra guadagni, spese, risparmi e investimenti, il tempo è essenziale anche per il denaro. È questo fatto inconfutabile che porta a preferire il denaro da possedere prima piuttosto che dopo; e se un attore di mercato deve separarsene temporaneamente per poi vederselo restituito, si aspetterà un risarcimento per la perdita della sua utilità.

Fondamentalmente questo è ciò che rappresenta il livello generale dei tassi d'interesse nell'economia di mercato. È il fattore della preferenza temporale, stabilito tra gli esseri umani che effettuano transazioni, che valorizza il possesso in futuro di meno rispetto al possesso presente; esso è alla base del tasso d'interesse che le banche devono pagare sui depositi per pareggiare i propri conti; esso è fondamentale per i calcoli di un uomo d'affari, affinché possa stabilire il tasso d'interesse accettabile per un prestito.

Alla pura preferenza temporale dobbiamo aggiungere il rischio di controparte, in modo che quando le banche sono ritenute rischiose salirà il differenziale nella preferenza temporale. E quando gli esseri umani che effettuano transazioni anticipano un calo del potere d'acquisto prima che il denaro dovuto venga restituito, questo è un altro fattore che i depositanti devono tenere in considerazione.

L'obiettivo comune del sistema bancario centrale per un'inflazione dei prezzi al 2% implica che la compensazione degli interessi includa la preferenza temporale e il deprezzamento monetario. Un tasso sui depositi, quindi, dovrebbe essere compreso tra il 3% e il 5%. Arriviamo a questa cifra sapendo che durante il gold standard del diciannovesimo secolo, il tasso sui depositi era sceso al 3% senza inflazione dei prezzi.

Pertanto, con il livello generale dei prezzi attualmente in aumento di circa il 6%, i depositanti dovrebbero aspettarsi tassi sui depositi a un anno di circa il 7% o l'8%, al netto delle detrazioni fiscali. Possiamo quindi capire perché la FED è motivata a ridurre l'inflazione dei prezzi all'obiettivo del 2% e perché, quindi, l'acquisto di titoli del Tesoro USA a un rendimento attuale del 3,6% viene considerato ragionevole dagli investitori compiacenti.

Ma a parte i bond del Tesoro statunitensi a breve scadenza considerati come un rifugio sicuro, niente potrebbe essere più lontano dalla verità. La tendenza dei tassi di interesse a lungo termine è chiaramente al rialzo poiché il credito continua a contrarsi portandosi dietro i rendimenti obbligazionari e i mercati del debito diventeranno probabilmente sempre più volatili. Abbiamo sperimentato una situazione simile cinquant'anni fa, cosa che merita di essere esaminata.


Il finanziamento del debito negli anni '70

Con il credito bancario ora in contrazione, è solo una questione di tempo prima che il governo degli Stati Uniti si accorga che i suoi costi di finanziamento saliranno ancora di più. Ciò non solo influirà sulle prospettive dei suoi piani di spesa, ma esiste il rischio di periodi d'interruzione dei finanziamenti stessi. Affidarsi al suo collaudato processo d'asta potrebbe non essere più sensato: dopotutto, il successo di questo espediente avveniva in un contesto di tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari generalmente in calo, garantendo una domanda continua da parte di fondi pensione, compagnie assicurative e governi esteri.

A tal proposito, vale la pena rivisitare il precedente degli anni '70. Gli anni '70 furono l'ultima volta che si verificò una crisi dei finanziamenti a causa dell'aumento dei tassi d'interesse. Ma non fu il governo degli Stati Uniti a soffrire più di tanto, perché aveva un deficit di bilancio relativamente piccolo rispetto alle dimensioni della sua economia in quel momento (il più grande è stato di $74 milioni nel 1976 rispetto ai $3.131.917 milioni nel 2020, oltre 42.000 volte il disavanzo del 1976).

Fu il Regno Unito ad avere problemi, ma su scala relativa molto più piccola di oggi. Periodicamente la Banca d'Inghilterra, agendo per conto del Tesoro del Regno Unito, non era in grado di finanziare il suo deficit di bilancio, il quale raggiunse il picco del 6,9% del PIL nel 1975/76, costringendo l'allora Cancelliere (Denis Healey) a prendere in prestito $3.900 milioni dall'FMI per coprire l'intero disavanzo. In seguito a questo episodio, le restrizioni dell'FMI sulla spesa pubblica limitarono il deficit di bilancio del Regno Unito a circa il 5% negli anni successivi e il tasso d'inflazione dei prezzi, che aveva raggiunto il picco del 25% nel 1975, scese all'8,4% nel 1978. Inoltre alla fine del 1973 ci fu una crisi immobiliare e bancaria su una scala mai vista prima nel Regno Unito e durante il mercato ribassista delle azioni, tra il maggio 1972 e la fine del 1974, l'indice azionario FT 30 scese di oltre il 70%.

Per fare un confronto, il rapporto tra deficit e PIL degli Stati Uniti nel 2020 era dell'11,6% e del 10,3% nel 2021, quasi il doppio di quello del Regno Unito al culmine della crisi. Con politiche socialiste simili che hanno portato a una crisi della sterlina quarantacinque anni fa, i pericoli per il dollaro, che sono potenzialmente superiori, devono ancora materializzarsi. E l'FMI non può venire in soccorso degli Stati Uniti come fece per il Regno Unito nel 1976.

La Banca d'Inghilterra non aveva gli strumenti per nascondere la reale portata dell'inflazione monetaria. Intenzionalmente o no, in una certa misura oggi gli statistici ufficiali e le banche centrali possono manipolare i numeri sulla stampa finanziaria, ma questo non cambia nulla se non ingannare i mercati ancora per un po'.

Nella Gran Bretagna degli anni '70 la causa iniziale di una serie di crisi dei finanziamenti fu che la Banca d'Inghilterra, sotto la pressione dei politici, non accettò le richieste del mercato di tassi d'interesse più elevati. Ciò inviò un messaggio negativo ai detentori esteri di sterline, indebolendo il tasso di cambio, innescando la vendita estera di Gilt e aumentando i timori di un'ulteriore inflazione dei prezzi importati.

Nel frattempo la spesa pubblica continuò a ritmo sostenuto (come descritto sopra), spingendo in circolazione valuta extra senza che fosse assorbita dall'emissione di debito finanziata da risparmi genuini. E poiché la sterlina s'indebolì e le cifre dell'offerta di denaro si deteriorarono a un ritmo crescente, sarebbero stati necessari tassi d'interesse ancora più elevati per convincere le istituzioni d'investimento a sottoscrivere nuove emissioni di Gilt. Questi episodi vennero soprannominati scioperi degli acquirenti.

Più lungo è il ritardo nell'accettare la realtà, maggiore diventa il divario tra le aspettative del mercato e la posizione delle autorità. Solo come ultima risorsa i politici e i keynesiani del Tesoro del Regno Unito avrebbero gettato la spugna. La Banca d'Inghilterra aveva quindi l'autorità di finanziare a sua discrezione e implementò quella che nel mercato dei Gilt divenne nota come la strategia del Gran Vecchio Duca di York, o come recita la filastrocca: “Aveva diecimila uomini e li fece marciare su e giù dalla collina”. La Banca d'Inghilterra avrebbe rialzato i tassi d'interesse fino alla cima della collina per togliere dal mercato tutte le aspettative di tassi più alti, quindi avrebbe emesso titoli Gilt per assorbire la liquidità degli investimenti repressa prima di consentire e incoraggiare i tassi a scendere di nuovo. Fu così che vennero emessi in diverse occasioni il 15% Treasury bond nel 1985, il 15¼% Treasury bond nel 1996 e il 15½% Treasury bond nel 1998.

In cima alla collina dei tassi d'interesse e in seguito all'annuncio dei termini dei nuovi Gilt, e dopo aver indebolito le vendite da parte degli investitori esteri, la sterlina si sarebbe ripresa. La crisi passò e le cifre dell'offerta di denaro si corressero da sole. Paul Volcker fece qualcosa di simile nel giugno 1981, quando rialzò il tasso di riferimento statunitense al 19,1%, tranne per il fatto che l'obiettivo era meno sui finanziamenti e più sull'abbattimento delle aspettative sull'inflazione dei prezzi.

Sebbene siano ignorate, ci sono preoccupanti somiglianze tra l'esperienza del Regno Unito a metà degli anni Settanta e la posizione odierna della FED. Il deficit di bilancio degli Stati Uniti è e rimane di gran lunga superiore a quello che costrinse il Regno Unito a ricorrere all'FMI: l'11,6% del PIL e oltre 42.000 volte il deficit statunitense nel 1976. Con l'economia USA fortemente indebitata e destinata a essere ulteriormente indeoblita dall'aumento dei tassi d'interesse, non si materializzeranno affatto le prospettive di ripresa previste dal Congressional Budget Office, ma ci sarà un ulteriore deterioramento che a sua volta richiederà un finanziamento inflazionistico continuo e accelerato.

E nessuno sta ancora contemplando cedole obbligazionarie al 15% viste nei Gilt britannici durante le condizioni simili degli anni '70.


La risposta all'aumento dei tassi d'interesse

Ora è stato dimostrato che è la contrazione del credito a far salire i tassi d'interesse, non le linee di politica del sistema bancario centrale. Essendoci abituati alla continua espansione del credito legato alle valute fiat – in altre parole non ancorato in valore a nulla di materiale – dovremo imparare ad adeguarci alle condizioni di una contrazione del credito.

Monetaristi e neo-keynesiani sosterrebbero che la contrazione del credito porterà al calo dei prezzi e alla deflazione. Non sembrano apprezzare le conseguenze di consumatori disoccupati che non producono beni e servizi. Semmai il calo della produttività significa che è probabile che l'offerta diminuisca a un ritmo più rapido dell'occupazione, portando a carenze di prodotti invece che a prezzi più bassi. Ciò era evidente nel Regno Unito a metà degli anni settanta, quando un'elevata disoccupazione accompagnò la stagnazione economica, la cosiddetta stagflazione.

Inoltre c'è poco o nessun margine di manovra sia nei modelli keynesiani che in quelli monetaristi per la risposta umana: non consentono di modificare i livelli di fiducia di coloro che usano una valuta fiat. Invece le raccomandazioni dei monetaristi sono in linea con quelle dei neo-keynesiani, e cioè reflazionare per prevenire una recessione, o peggio ancora, una depressione.

Mettendo da parte gli errori nell'analisi economica mainstream, è quasi certo che le banche centrali faranno del loro meglio per fermare la contrazione l'offerta di denaro. E mentre strombazzano la loro indipendenza dai rispettivi stati, hanno il dovere primario di mantenerli finanziati.

Le ripercussioni dell'aumento dei tassi d'interesse porteranno indubbiamente a maggiori disavanzi di bilancio: le entrate fiscali diminuiranno e i costi del welfare aumenteranno. E nella misura in cui le valute fiat perderanno il loro valore, ci saranno oneri aggiuntivi dall'indicizzazione dei costi del welfare e dalle obbligazioni indicizzate.


I pericoli dell'aumento dei tassi d'interesse

Passiamo ora alle conseguenze dell'aumento dei tassi d'interesse sui finanziamenti pubblici. Sembrano esserci pochi dubbi sul fatto che, man mano che i tassi d'interesse saliranno e con essi i costi di finanziamento del debito, gli stati saranno incapaci di sfuggire alla trappola del debito.

Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, il debito pubblico nelle economie avanzate lo scorso settembre era pari al 103,3% del PIL. Negli Stati Uniti era al 112,6%, nel Regno Unito al 100,8% e nell'area Euro al 93,1%; in Italia era al 147,2%, in Grecia al 178,8% e in Giappone al 228,3%.

Nel 2010 Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff hanno concluso che con un rapporto tra debito pubblico e PIL superiore al 90% diventa estremamente difficile per una nazione sopportare il peso del proprio debito. Per molti Paesi tale confine è stato attraversato non molto tempo dopo. Ora che la tendenza a lungo termine del calo dei tassi d'interesse è stata drasticamente invertita, il ragionamento di Reinhart e Rogoff sta per essere messo alla prova.

Non è ancora ampiamente compreso che la contrazione del credito bancario sta costringendo a salire i tassi sui prestiti e che essi non sono più sotto il controllo della politica monetaria. La FED sembra percepirlo, perché ha spostato la sua attenzione dal tentativo di controllare i tassi a breve termine alla soppressione dei rendimenti obbligazionari per le scadenze più lunghe attraverso il suo Bank Term Funding Programme. Quest'ultimo consente alle banche di presentare il debito del Tesoro USA e delle agenzie governative come garanzia per un prestito di un anno. Sebbene il costo del prestito sia legato a tassi più elevati rispetto alle cedole sul debito esistente, consente a una banca di acquistare tale debito con uno sconto significativo. A fronte del costo di finanziamento il profitto è sostanziale, a meno che i rendimenti dei bond statali e del debito delle agenzie governative non siano ridotti da questo arbitraggio.

Una banca che beneficia dell'accordo si limita a reinvestire i prestiti in bond del Tesoro USA a breve termine e altri bond che attualmente hanno un rendimento simile al costo del finanziamento. Dal punto di vista del Tesoro degli Stati Uniti, l'interesse sul nuovo debito viene sostanzialmente ridotto e il suo profilo di scadenza può essere esteso. Dal punto di vista della FED, la crisi del mark-to-market che ha fatto crollare la Silicon Valley Bank è scongiurata, ma il BTFP è poco più di una tattica per comprare tempo.

Le banche che allocano prezioso spazio di bilancio a questa attività sostituiranno i depositanti come fonte di finanziamento con la valuta. In conformità con le regole di finanziamento di Basilea 3, è sempre più probabile che i depositanti più grandi vengano respinti. Pertanto mentre la FED è impegnata a truccare il mercato obbligazionario, la domanda del mercato sarà per la sostituzione dei depositi: i grandi depositi che migrano in bond del Tesoro e asset simili.

Questo fa parte di un processo in base al quale la contrattazione del credito delle banche commerciali sarà sostituita dall'espansione del credito del sistema bancario centrale. Tutto il credito, sia tra individui che tra individui e le loro banche, fa riferimento a quello del sistema bancario centrale con il quale è scambiabile sotto forma di banconote. È l'espansione del credito del sistema bancario centrale che ha l'impatto maggiore sulle valutazioni monetarie in termini di beni e servizi.


Sommario e conclusione

Sembra incredibile che il legame tra le variazioni delle quantità di denaro/credito, esemplificate dalle statistiche monetarie basate sui depositi, e i tassi d'interesse venga totalmente ignorato da stati, autorità monetarie e investitori. E nessuno sembra aspettarsi molto di più di un aumento di pochi punti base dei tassi d'interesse prima che successivamente tornino a scendere.

Inoltre l'aumento dei prezzi misurato dall'IPC ha colto di sorpresa l'establishment politico. Né dovremmo sorprenderci che la situazione attuale continui a essere analizzata attraverso una lente neo-keynesiana, quando sappiamo che sono gli errori keynesiani che ci hanno portato alla crisi attuale. La crisi ora riguarda le trappole del debito non solo per il governo degli Stati Uniti, ma per i governi di quasi tutte le altre principali giurisdizioni.

La convinzione keynesiana che l'interventismo economico e monetario sia superiore al libero mercato è destinata a essere screditata dalla realtà, che finora è stata solo soppressa. Ha portato i risparmiatori a dover accettare rendimenti negativi sui loro investimenti obbligazionari, ma non può durare a lungo. Quando diventa chiaro che l'inflazione dei prezzi è solo un indicatore per la svalutazione della valuta, e che questa svalutazione può solo continuare, i tassi profondamente negativi non saranno più disponibili per sovvenzionare la spesa pubblica.

La portata di una crisi dei tassi d'interesse e del mercato obbligazionario sembra essere gravemente sottovalutata. L'improvvisa comparsa di un'inflazione incontrollata dei prezzi lo scorso anno ha portato a tentativi di confronto tra la situazione attuale e quella degli anni '70, ma finora ci sono poche prove che questi confronti vengano presi abbastanza sul serio.

Se lo fossero, gli analisti concluderebbero che gli eventi in comune con gli anni '70, che hanno portato a rendimenti obbligazionari nominali elevati e cedole per i Gilt britannici superiori al 15%, sono potenzialmente molto più destabilizzanti oggi di quanto non fossero allora. Stando così le cose, il mondo si trova sull'orlo di un sostanziale ribasso del mercato degli asset finanziari, alimentato dai prezzi delle obbligazioni mondiali che si stanno normalizzando a riflesso del deterioramento delle finanze pubbliche. Tutti i valori degli asset finanziari saranno compromessi da tale adeguamento.

È sempre più difficile vedere una via d'uscita da queste difficoltà e la speranza keynesiana che la crescita economica risolva il problema del debito è semplicemente ingenua. Nel 2010 Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff hanno concluso che con un rapporto tra debito pubblico e PIL superiore al 90% diventa estremamente difficile per una nazione affrontare il problema del suo debito. Con le economie avanzate che hanno un rapporto medio debito/PIL significativamente superiore al 90%, ci sono trappole del debito quasi ovunque e pronte a scattare.

Nelle economie altamente indebitate può esserci un solo risultato: una volta che uno cade in crisi, gli altri lo seguiranno. Il costo in termini di accelerazione della svalutazione monetaria porterà anche alla distruzione della fiducia della popolazione nelle proprie valute. Si può solo concludere che l'adattamento alla realtà da parte dei mercati sarà probabilmente più violento di quanto visto negli anni '70.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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