lunedì 26 ottobre 2020

L'iperinflazione è già qui

 

 

di Alasdair Macleod

Definizione: l'iperinflazione è la condizione in base alla quale le autorità monetarie accelerano l'espansione della quantità di moneta al punto in cui risulta impossibile per loro riprenderne il controllo.

Finisce quando la valuta fiat è infine priva di valore. È una crisi in evoluzione, non solo un evento culminante.

Questo articolo definisce l'iperinflazione in termini semplici, chiarendo che la maggior parte, se non tutti gli stati, hanno già fatto imboccare alle loro valute fiat la via verso la distruzione mediante l'iperinflazione. Le prove stanno ora diventando chiare.

Il fenomeno è alimentato dall'eccesso di spesa pubblica rispetto alle entrate fiscali, che è già fuori controllo negli Stati Uniti e altrove. Il primo round di coronavirus è servito solo a rendere più evidente il problema a chi aveva già capito che la fase espansiva del ciclo del credito stava volgendo al termine, e unendosi alle conseguenze economiche della guerra dei dazi tra Cina e USA, siamo condannati a ripetere le condizioni che portarono al crollo di Wall Street nel 1929-1932.

Per gli storici economici queste dovrebbero essere affermazioni ovvie. Il fatto è che la base imponibile, quantificata dal PIL, misurata dal tasso reale di perdita del potere d'acquisto del dollaro e confermata dal tasso accelerato di aumento della moneta in senso lato negli ultimi dieci anni, è diminuita drasticamente in termini reali mentre gli impegni di spesa pubblica sono saliti.

In questo articolo viene proposta un'analisi per il dollaro, ma le stesse dinamiche iperinflazionistiche interessano quasi tutte le altre valute fiat.


Introduzione

Negli ultimi dieci anni ho condotto due crociate per attirare l'attenzione su questioni che credo siano di interesse pubblico. Dal 2011 ho scritto una serie di articoli sulla politica cinese riguardo l'oro, la quale ha accumulato oro fisico sin dal 1983. Il meme che l'oro si stava spostando da ovest a est è stato ampiamente compreso e adesso è quasi un cliché. La seconda crociata è stata quella di informare il pubblico che il ciclo economico, o commerciale, era solo il sintomo di un ciclo del credito bancario, che inevitabilmente si conclude con una crisi di contrazione del credito.

È giunto il momento per una nuova campagna, su un argomento di cui ho scritto negli ultimi mesi, e cioè informare il pubblico che i loro stati e le loro valute fiat sono ora in uno stato di iperinflazione. Non è uno sviluppo lontano nel tempo come molti potrebbero pensare; è già qui.

 

Cos'è l'iperinflazione?

Capire perché l'iperinflazione è già qui significa sapere da cosa è costituita. Non è un aumento dei prezzi, o una condizione che esiste quando i prezzi aumentano al di sopra di un tasso predeterminato: l'aumento dei prezzi è la conseguenza sia dell'inflazione che dell'iperinflazione. Come ha affermato Milton Friedman, l'inflazione è sempre un fenomeno monetario, sebbene abbia rovinato la definizione aggiungendo: "[...] nel senso che è e può essere prodotta solo da un aumento più rapido della quantità di moneta rispetto alla produzione". Aveva torto su quest'ultima parte, fondendo l'effetto dei prezzi con l'aumento della quantità di denaro. Quando anche i cosiddetti monetaristi sono imprecisi sull'inflazione, per non parlare dell'iperinflazione, non sorprende se la confusione nel pubblico in generale sia ampiamente diffusa.

Può esserci solo una definizione di iperinflazione ed è quella indicata sopra, che tra l'altro non troverete in nessun libro di testo. Non c'è nemmeno una definizione nel libro Azione umana di von Mises, solo di inflazione, ed è più una descrizione che una definizione. E poiché è un fenomeno relativamente recente legato a valute fiat scoperte, l'iperinflazione non è mai stata definita separatamente dalla definizione di inflazione data dagli economisti classici. Nemmeno la differenza tra inflazione e iperinflazione può essere distinta per grado.

Date un'occhiata a M1 degli Stati Uniti mostrata nel seguente grafico.

La progressione dell'inflazione monetaria annua da meno del 6% prima della crisi Lehman al 9,6% fino a marzo di quest'anno, e al 65% nelle trenta settimane successive, è assolutamente chiara. Se le autorità monetarie avessero la conoscenza, il mandato, l'autorità, la capacità e il desiderio di smettere di inflazionare la valuta, non descriveremmo il fenomeno come iperinflazione, ritenendolo invece nient'altro che un breve periodo di inflazione eccezionale prima di un ritorno a politiche monetarie più sensate.

Ma il sound money fu scartato nel 1971, quando l'accordo di Bretton Woods del dopoguerra fu definitivamente abbandonato; non che il sistema monetario in quel momento fosse in alcun modo solido, così come la foglia di fico di Adamo non era un capo di abbigliamento. Il fatto è che il sound money in America è stato abbandonato molto tempo prima, con la fondazione della FED a Jekyll Island prima della prima guerra mondiale.

Come mezzo per finanziare i deficit pubblici, l'inflazione può essere fermata tagliando la spesa pubblica e/o aumentando le tasse. Ma ora, un aumento una tantum del 65% di M1 deve essere seguito da un'altra massiccia espansione già dietro le quinte. La speranza è che ciò sia sufficiente, così come si sperava che l'originale aumento del 65% di M1 fosse sufficiente per garantire che una recessione a V sarebbe stata seguita da un ritorno alla normalità.

Le prime fasi di un'iperinflazione sono sempre viste dalle autorità monetarie come l'unica politica da perseguire. Si convincono che non ci sono conseguenze, o che possono essere controllate. Un esempio del genere è un articolo di Michael T. Kiley, un economista senior della FED. Ad agosto ha concluso che la mancanza di ulteriore spazio per tagliare i tassi d'interesse e affrontare la crisi sanitaria, richiederebbe un quantitative easing per un totale del 30% del PIL, o $6.500 miliardi, in modo da compensare la mancanza di spazio di manovra sui tassi d'interesse. Kiley scrive che circa $3.000 miliardi erano stati emessi tra la fine di febbraio e la fine di giugno, lasciando altri $3.500 miliardi ancora da emettere. Se ipotizziamo che lo stimolo completo da $6.500 miliardi venga completato entro il prossimo febbraio, l'aumento riflesso in M1 ristretto potrebbe essere più del doppio.

Kiley ha scritto il suo articolo prima dell'inizio della seconda ondata di coronavirus. Stava modellando una contrazione economica misurata in PIL reale di appena il 10% nel secondo trimestre (in realtà il 9,5%, da non confondere con il tasso annuo al 32,9%). Ma, come ho sottolineato nell'articolo della scorsa settimana, con l'inflazione monetaria ad un tale tasso, un dollaro dello scorso febbraio non è la stessa cosa di un dollaro inflazionato del prossimo febbraio, essendo stato diluito in base alle cifre di Kiley. Le conseguenze sono cambiamenti intertemporali estremamente dannosi, come descritto dall'Effetto Cantillon, per cui alla fine sia i lavoratori produttivi che i più poveri nella società perdono risparmi, stipendi e benefici previdenziali a causa della perdita del potere d'acquisto del dollaro a beneficio invece dello stato e dei suoi clientes.

Nel suo modello economico, Kiley appiattisce la Curva di Phillips nel tentativo di cercare un risultato preferito. La Curva di Phillips ha lo scopo di replicare graficamente la relazione tra inflazione e disoccupazione, l'idea è che un aumento dell'inflazione dei prezzi vada di pari passo con una riduzione della disoccupazione. Appiattirla equivale a presumere che ad un livello ritenuto di piena occupazione, i prezzi non aumenteranno tanto quanto modellato in precedenza. Ma una cosa è prevedere una tale relazione quando lo "stimolo" dell'inflazione è nell'ordine di pochi punti percentuali, un'altra è quando l'impennata è quella che abbiamo sotto gli occhi oggi.

Dobbiamo resistere alla tentazione di accettare una relazione matematica tra i prezzi di beni/servizi e il tasso di occupazione, come previsto dalla Curva di Phillips. Qualunque sia il livello di occupazione, la produzione si aggiusta grazie alla divisione del lavoro. Nel rigettare la Legge di Say, gli economisti moderni non riescono a rendersi conto che la produzione e il consumo in generale marciano o si contraggono insieme. A parte il fatto che coloro che utilizzano la valuta fiat vengono temporaneamente truffati dagli effetti iniziali dello stimolo monetario, non esiste una relazione duratura tra la quantità di denaro e l'occupazione.

Gli errori introdotti dagli economisti matematici attraverso artifici come la Curva di Phillips nascondono le conseguenze delle politiche basate sulle loro previsioni iniziali. Di conseguenza le raccomandazioni degli economisti senior della FED che utilizzano modelli economici basati su ipotesi macroeconomiche, danno un falso conforto a coloro che consigliano. Inoltre il tasso annuo del disavanzo di bilancio da marzo è stato di circa $4.400 miliardi, finanziato interamente attraverso l'espansione monetaria e notevolmente superiore a quello coperto dal calo delle entrate fiscali.

Se queste condizioni persistono nel nuovo anno fiscale, il che sembra sempre più certo, il calcolo di Kiley dell'ulteriore stimolo di $3.500 miliardi sottovaluta il problema. Secondo un editoriale di Allister Heath sul Daily Telegraph di oggi, Larry Summers, l'economista e arci-inflazionista statunitense, ritiene che il costo del Covid-19 raggiungerà il 90% del PIL degli Stati Uniti, sostanzialmente più della stima di Kiley (30%). Possiamo quindi prevedere che il prossimo pacchetto di stimoli, e poi senza dubbio quello che ne seguirà, ripristinerà la normalità e rimetterà in carreggiata il deficit di bilancio? Se la risposta è no, allora abbiamo già l'iperinflazione.

 

Fare a meno dei presupposti degli economisti matematici

L'errore della Curva di Phillips è stato quello di non capire perché c'è un punto nel corso dell'inflazione in cui chi utilizza la valuta sospetta che i prezzi continueranno a salire e che ne consegue uno spostamento dalla liquidità personale e dal risparmio a favore della spesa al consumo. Il fatto che sia destinato ad accadere oltre un certo punto non significa che il punto e il conseguente effetto sul livello generale dei prezzi possano essere previsti; dovuto invece all'azione umana, la risposta imprevedibile dei singoli attori alle loro mutevoli circostanze.

La Curva di Phillips non è l'unico errore quando si tratta di comprendere gli effetti dell'inflazione monetaria. Presupponendo che variasse il rapporto tra l'espansione della moneta e l'effetto sul suo potere d'acquisto, gli economisti matematici hanno introdotto un fattore variabile per garantire che l'equazione rimanesse sempre in equilibrio. L'equazione monetaria è la seguente:

Ma l'introduzione di un fattore variabile V per garantire che l'equazione sia sempre in equilibrio, squalifica l'utilità dell'equazione stessa: qualsiasi cosa con due lati disuguali può essere trasformata in un'equazione da questo artificio. Chiamandola "velocità del denaro" si crea un'immagine della circolazione del denaro e da qui diventa facile presumere che se il denaro è sottoutilizzato, la velocità di circolazione diminuisce e l'economia è dichiarata stagnante, mentre se la sua velocità di circolazione aumenta, si dice che circoli in modo più efficace. La velocità in calo è quindi associata a prezzi in calo per i quali il PIL nominale è il proxy (P x T nell'equazione), mentre la velocità in aumento è associata a prezzi in aumento e PIL in aumento. Questo concetto è altamente difettoso, ma spiega i precetti fondamentali alla base dell'attuale politica monetaria.


Le conseguenze dei cambiamenti nelle preferenze relative

Il PIL nominale non è solo l'altra faccia dell'equazione monetaria. C'è anche la produzione totale, e l'altra faccia della produzione totale è la somma del consumo e del consumo posticipato. Il modo corretto di considerare il denaro non è attraverso l'equazione monetaria e il presunto ruolo della velocità, ma guardare al PIL nominale sia come il totale delle entrate e dei profitti di tutti, sia come somma delle loro spese e dei risparmi netti. Solo così possiamo considerare l'impatto sui prezzi da parte dei cambiamenti nella quantità di moneta.

Il denaro è semplicemente una forma di intermediazione tra la produzione e il consumo di beni. Le persone detengono un certo grado di liquidità personale, che quando il denaro è stabile non varia di molto nel complesso. Questa liquidità non deve essere confusa con il risparmio, che essendo un consumo posticipato, non viene detenuto principalmente per la sua liquidità ma per rendimenti anticipati. La liquidità personale è detenuta come riserva per consumi personali.

Il livello generale di liquidità personale è il risultato di esperienze personali in termini di beni/denaro ed aspettative per una qualsiasi variazione del valore relativo dei beni futuri. Pertanto, se le persone pensano che il prezzo di un bene possa aumentare, tenderanno ad acquistarlo prima di quanto farebbero altrimenti; mentre se si aspettano che scenda, tenderanno a ritardarne l'acquisto. In condizioni monetarie generalmente stabili, questo è il motivo per cui alcuni prezzi salgono e altri diminuiscono.

Il guaio arriva se per qualsiasi motivo le persone nel loro insieme prevedono un aumento del livello generale dei prezzi. In tal caso altereranno la relazione tra la loro liquidità monetaria ed i beni a favore di questi ultimi, facendo scendere il potere d'acquisto del denaro e facendo salire il livello generale dei prezzi.

L'effetto dei cambiamenti nel livello generale di liquidità personale è potenzialmente un'influenza più importante sul livello dei prezzi rispetto alla quantità di denaro stessa. Dovrebbe essere evidente che se la maggiore quantità di moneta in circolazione viene semplicemente accumulata, non ci sarà alcun effetto sul livello generale dei prezzi. In alternativa, se la popolazione in generale decide di abbandonare una valuta emessa dallo stato, indipendentemente dalla quantità in circolazione, perderà tutto il suo potere d'acquisto.

L'abbandono di una valuta emessa dallo stato da parte della popolazione in generale pone fine a tutte le iperinflazioni e una volta avviato il processo tende ad essere rapido. Nella Germania di Weimar si diceva che questo processo iniziò nel maggio 1923 e durò fino a metà novembre. Nelle altre nazioni europee, che hanno subito crolli delle loro valute all'inizio degli anni '20, il processo finale fu altrettanto rapido.

 

La forma odierna del crollo monetario

La prima cosa da prendere in considerazione è l'attuale rapporto tra la quantità di denaro e l'economia. L'offerta di moneta M3 in dollari USA, la definizione più ampia di moneta, è aumentata insieme al PIL statunitense: M3 era pari a $18.327 miliardi lo scorso luglio, mentre il PIL del secondo trimestre è stato stimato a $19.520 miliardi. La vicinanza della relazione tra queste due cifre è spiegata dal fatto che il totale del PIL nominale viene gonfiato dall'aumento della quantità di moneta. L'abbinamento non è mai perfetto, perché c'è sempre una spesa per consumi soggetta a stime, revisioni future, o semplicemente non catturata dal PIL. A questi possiamo aggiungere l'errore statistico.

Il grado di perdita del potere d'acquisto del dollaro è deliberatamente sottostimato nelle statistiche ufficiali. Inizialmente la politica era quella di ridurre il costo per gli Stati Uniti e altri governi con l'indicizzazione introdotta dopo il decennio dell'inflazione dei prezzi negli anni '70. È notevole che la soppressione statistica delle variazioni del livello generale dei prezzi, ora adottata in tutte le economie avanzate, sia raramente messa in discussione. Di conseguenza l'entità del calo del potere d'acquisto delle valute fiat è stata ignorata con alcune importanti conseguenze, almeno per gli stati e le loro banche centrali, che nascondono le prove dei loro fallimenti in materia di politiche monetarie ed economiche.

Il seguente grafico confronta l'aumento cumulativo del livello generale dei prezzi misurato dall'IPC e  dal Chapwood Index, il quale comprende "i primi 500 articoli per i quali gli americani spendono i loro dollari al netto delle tasse nelle 50 città più grandi della nazione". I numeri dell'inflazione dei prezzi nel Chapwood Index sono la media aritmetica delle prime cinquanta città, gli ultimi dati sono a fine giugno 2020. Inoltre è inclusa la crescita dell'offerta di moneta M3.

Dovrebbe essere chiaro che i cambiamenti nel livello generale dei prezzi sono un concetto teorico che non può essere misurato, perché è diverso per ogni individuo. Una media non è quindi altro che un'indicazione, anche presumendo che le prove non siano manipolate da interessi particolari. Ciò notato, negli ultimi dieci anni l'effetto cumulativo sui prezzi dell'IPC nelle città più grandi è stato un aumento solo del 19% rispetto al Chapwood Index che invece è salito del 159%, un aumento di circa il 10% annuo. A conferma che le cifre del Chapwood Index sono più vicine alla verità, vediamo che M3 ha diluito il valore del dollaro salendo del 109% in suddetto periodo.

Il minore aumento di M3 rispetto a quello del Chapwood Index suggerisce che, oltre alla diluizione del potere di spesa del dollaro in senso generale, le disponibilità di denaro sono state ridotte anche rispetto ai beni comunemente acquistati nello stesso indice. In altre parole, i consumatori sembrano mostrare una preferenza relativa nella loro spesa per i loro acquisti comuni rispetto ai loro acquisti meno comuni. Ciò potrebbe essere considerata una prova delle prime fasi di una riduzione dei saldi monetari a favore degli acquisti quotidiani. Non è coerente con la versione ufficiale su cui si basa la politica monetaria, secondo la quale le autorità monetarie ed i loro epigoni si illudono che l'inflazione dei prezzi sia contenuta dall'obiettivo del due per cento annuo; alcuni di loro addirittura affermano che l'inflazione dei prezzi sia stata bandita per sempre.

Il grafico che segue illustra ulteriormente l'inefficacia della politica monetaria esprimendo il PIL nei prezzi 2010 aggiustati all'IPC (la versione statale del PIL reale), al Chapwood Index e infine all'offerta di moneta M3.

Le autorità monetarie affermano che prima della crisi del coronavirus avevano stabilizzato l'economia statunitense in seguito alla crisi Lehman. Misurata in termini dell'IPC, alla fine del 2019 l'economia era cresciuta di quasi il 22% in nove anni "in termini reali". Ma poiché l'IPC è una misura dell'inflazione dei prezzi fortemente soppressa, la verità è un'altra. Il Chapwood Index ed M3 ci dicono che se aggiustato a queste misure, il PIL si è più che dimezzato: da $15.241 miliardi a $6.818 e $ 7.309 miliardi rispettivamente, misurati su una base di dollari 2010.

Per essere chiari, il PIL è semplicemente un totale in denaro di tutte le transazioni registrate. Non ci dice nulla sulla loro qualità, né indica il grado di progresso economico o la mancanza di esso. Come sempre, ci sono stati vincitori e vinti. Possiamo solo concludere in termini più generali che la contrazione dei valori reali ha messo in luce il fallimento delle politiche monetarie ed economiche.

Lo stato non può ridurre la sua spesa e i deficit di bilancio salgono a causa della riluttanza ad aumentare le tasse per compensare suddetta spesa. A prima vista è la prova di una iperinflazione in via di sviluppo, in quanto il calo del potere d'acquisto della moneta sta alimentando il calo del valore reale delle entrate fiscali, mentre allo stesso tempo ci si rende conto che aumentare le tasse sarebbe dannoso per produzione, consumi e quindi finanze pubbliche.

Poi è arrivato il coronavirus, un colpo inaspettato al PIL nominale, da cui dipende il gettito fiscale dello stato. E ora abbiamo una seconda ondata di Covid-19, le cui conseguenze economiche possono solo essere stimate approssimativamente. Non dimentichiamo che prima che tutto questo accadesse, lo scorso settembre si è verificata una crisi di liquidità nel mercato repo, indicando, con ogni probabilità, la fine dell'espansione del credito bancario. E dovremmo anche ricordare che la guerra dei dazi tra le due maggiori economie mondiali ha determinato un improvviso arresto della crescita del commercio internazionale.

Chiunque abbia un occhio per le conseguenze economiche di tutti questi sviluppi può solo concludere che oltre al già crescente divario tra spesa pubblica ed entrate fiscali, gli stati non devono solo salvare le loro basi imponibili, ma ulteriori cicli di espansioni inflazionistiche seguiranno ad un ritmo crescente. In termini di quantità del denaro, l'iperinflazione è già ben radicata per il dollaro USA e per tutte le altre valute fiat soggette alle stesse dinamiche politiche e fattuali.

 

Quando la popolazione si sveglia...

Pochissimi sono consapevoli che l'iperinflazione è già qui, la maggior parte delle persone se ne accorgerà solo quando le conseguenze sui prezzi diventeranno evidenti. E come notato sopra, non è un processo lineare, dove: M x V = P x T.

V, o velocità del denaro, deve essere sostituita dal fattore umano, in cui le preferenze cambiano tra detenere una riserva di liquidità monetaria e acquistare beni. La preferenza finale per i beni è un processo rapido, che una volta avviato è impossibile da fermare. Abbiamo visto che la relazione tra l'aumento dei prezzi misurato dal Chapwood Index e l'aumento di M3 suggerisce che le prime fasi di una preferenza per il possesso di denaro stanno finendo a favore dei beni comunemente acquistati.

Gli scettici dell'ipotesi dell'iperinflazione potrebbero sostenere che il Tesoro degli Stati Uniti possiede oltre 8.000 tonnellate di oro e potrebbe fermare il marciume in qualsiasi momento tornando ad un gold standard. Si spera di sì, ma non c'è alcun segno che qualcuno in carica abbia la più pallida idea della vera situazione. Inoltre, avendo scartato l'oro come copertura del dollaro quarantanove anni fa, è inconcepibile che la FED e il Tesoro USA rimandino indietro le lancette dell'orologio. Inoltre, se ho ragione sul fatto che la Cina non solo controlla i mercati dell'oro fisico, ma ha un sostanziale deposito di lingotti non dichiarati, il ripristino del ruolo monetario dell'oro dovrebbe conferire un enorme potere ai nemici dell'America. Fintanto che rimane prezzato in dollari, è probabile che gli stranieri li scambieranno con l'oro del Tesoro degli Stati Uniti.

E questo prima che i macroeconomisti neo-keynesiani capiscano i loro errori e smettano di commetterli. No, è più probabile che la nave marcia del dollaro affondi.

Nel frattempo il 23 marzo la FED ha annunciato un'inflazione monetaria illimitata. Poco dopo, la Cina ha iniziato ad accelerare le vendite di dollari a favore dell'accumulo di materie prime, mostrando il cambiamento di comportamento che possiamo aspettarci dalla popolazione americana quando si renderà conto che sono i soldi che scendono di valore e non i prezzi a salire. Il 23 marzo scorso, quando la Cina avrebbe iniziato a scaricare dollari ad un ritmo maggiore in favore delle materie prime, ha segnato l'inizio della fuga finale verso i beni?

È certamente possibile, nel qual caso l'iperinflazione del dollaro e della maggior parte delle altre valute cartacee finirà probabilmente in un crollo finale e inaspettato del potere d'acquisto nel giro di pochi tempo.

 

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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