lunedì 29 novembre 2021

Il grosso problema della Cina è il clientelismo, non il welfare

Sebbene il welfare possa non essere il problema per le finanze cinesi, c'è un problema economico ben più grande che aleggia sulla testa di Pechino. Certo, fomentato anche dal clientelismo. Sulla scia di un deliberato programma di debt-to-equity swap sin dagli anni '90, ha creato società di gestione patrimoniale per salvare le principali banche statali e diverse imprese statali. L'azienda statale ha bisogno di soldi dalla banca statale altrettanto in difficoltà, quindi il governo cinese crea una nuova società di gestione patrimoniale affinché acquisisca i crediti inesigibili di entrambi in cambio di una partecipazione in essi (azioni). Nonostante l'evidente assurdità di questo accordo a circuito chiuso, ha funzionato abbastanza bene da continuare a calciare il barattolo del debito lungo la strada. Se non altro, forse ha funzionato fin troppo bene da convincere Pechino che non c'era nulla che non potesse realizzare attraverso interventi monetari, fiscali o di altro tipo. La Cina è diventata dipendente dalla proverbiale stampante monetaria, infatti dal lancio del programma di conversione "debito in azioni", il rapporto debito/PIL ha continuato a salire. Tagliati fuori da mercati azionari alternativi, incoraggiati dallo stato ad acquistare azioni cinesi, condizionati a credere che lo stato cinese sarà sempre pronto a salvare qualsiasi istituzione in difficoltà, indipendentemente dai problemi, non c'è da stupirsi che gli investitori interni continuino ad acquistare Bitcoin (anche over the counter) per salvaguardare la loro ricchezza e non essere investiti dallo tsunami di bolle finanziarie gonfiate nel corso degli anni.

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di Mihai Macovei

Dopo tre decenni di riforme a favore del mercato, la povertà estrema in Cina è stata praticamente sradicata, quindi il presidente Xi Jinping ha ora la leva per spostare la sua attenzione sulla riduzione del divario di ricchezza nella società cinese. In un discorso al Partito comunista cinese ad agosto, Xi ha propagandato la "prosperità comune" per tutti i cinesi come un requisito essenziale del socialismo e della modernizzazione.

Gli esperti occidentali hanno accolto con favore la spinta della Cina per una maggiore ridistribuzione e consumo del reddito, ma hanno anche interpretato la mossa di Xi come un indicatore di una possibile discesa nell'assistenzialismo e di un inasprimento del controllo sul settore privato. Ma questo non è necessariamente il caso, piuttosto il governo cinese ha mostrato una riluttanza ad aumentare considerevolmente le dimensioni del suo welfare state, anche se la sua economia rimane impantanata nel clientelismo. Inoltre, in un'economia in cui il partito al governo controlla anche enormi porzioni dell'economia, i tentativi di ridistribuire parte di quella ricchezza non significano necessariamente un nuovo giro di vite sul settore privato.


Che cos'è la “prosperità comune”?

Ma prima esaminiamo cosa intende Xi per "prosperità comune". Il concetto è stato introdotto per la prima volta dal leader rivoluzionario Mao Zedong negli anni '50 con l'obiettivo di rendere la Cina prospera in modo egualitario. Non c'è da stupirsi che non abbia funzionato come sperato. Nel 1986 il leader riformista Deng Xiaoping riprese lo slogan di Mao per consentire ad alcune persone e regioni di arricchirsi in modo che potessero aiutare gli altri a recuperare il ritardo e raggiungere più velocemente la "prosperità comune". Le riforme del mercato hanno liberato l'iniziativa privata e portato circa tre decenni di crescita sfrenata. Durante questi ultimi, il prodotto interno lordo (PIL) pro capite della Cina è aumentato di circa quaranta volte, superando i $10.000, cinque volte più del livello raggiunto dall'India nello stesso periodo.

La crescita impressionante ha "sollevato tutte le barche" e la povertà estrema è stata sradicata, ma è aumentata anche la disuguaglianza economica. Il Coefficiente di Gini cinese di 0,47 è tra i più alti al mondo, mentre l'1% più ricco delle persone possiede il 31% della ricchezza del Paese. Pertanto il presidente Xi ha deciso di rimettere in cima alla sua agenda la "prosperità comune" di Mao. Il messaggio principale di Xi è che i gruppi a basso e medio reddito dovrebbero beneficiare maggiormente della nuova prosperità del Paese, godendo di livelli di consumo più elevati, un migliore accesso ai servizi pubblici, tasse più basse e maggiori opportunità di mobilità sociale verso l'alto. Il nuovo sistema prevede anche una maggiore ridistribuzione del reddito in cui gioca un ruolo importante una cosiddetta terza distribuzione basata su donazioni volontarie.

Xi sembra più interessato a consolidare la classe media cinese piuttosto che spennare i ricchi, ma anche dimostrare la superiorità del modello di crescita cinese sul "capitalismo ingiusto" occidentale. Secondo lui, quest'ultimo ha portato al "crollo della classe media, alle divisioni sociali, alla polarizzazione politica e al populismo diffuso". Xi vuole consolidare la stabilità sociale e rafforzare le sue credenziali di difensore della gente comune contro gli eccessi dei nuovi ricchi. Una recente ondata di repressioni contro aziende private e individui facoltosi è servita anche da monito ai nuovi oligarchi cinesi contro chiunque volesse sfidare l'autorità del governo cinese. Subito dopo l'annuncio di Xi sulla "prosperità comune", le élite aziendali più ricche si sono precipitate in una serie di donazioni pubbliche. Giganti della tecnologia come Alibaba Group di Jack Ma, Tencent, Xiomi, Didi e Pinduoduo hanno annunciato investimenti e donazioni di beneficenza per decine di miliardi di dollari in modo da finanziare iniziative di "prosperità comune".


Reazioni in Occidente

I media occidentali hanno criticato la normativa di Pechino per quanto riguarda i giganti della tecnologia, gli individui facoltosi ed i fornitori di istruzione privati. Le misure, in parte guidate dall'agenda della "prosperità comune", sono viste come un ritorno alle pratiche maoiste di rafforzamento del controllo dello stato e di indebolimento del settore privato. Ma non è necessariamente così: in un sistema politico a partito unico che possiede e controlla grandi parti dell'economia, la Cina è piena di esempi di capitalismo clientelare. Controllare la corruzione e la collusione tra le élite politiche e gli uomini d'affari ​​disonesti potrebbe non essere una mossa anti-mercato, dopotutto.

Allo stesso tempo, gli analisti occidentali hanno accolto con favore una spinta per aumentare i consumi e ridurre la disuguaglianza attraverso una maggiore ridistribuzione del reddito. Questo è stato per molti anni il consiglio del Fondo Monetario Internazionale (FMI) alla Cina. Più nello specifico la Brookings Institution ritiene che gli obiettivi di uguaglianza sociale del presidente Xi potrebbero essere portati avanti meglio da "misure come un'imposta sulla proprietà, un'imposta sul reddito più progressiva, o un'imposta sulle successioni". Altri sapientoni affermano inoltre che il modello di crescita cinese ha bisogno di una trasformazione più radicale della "prosperità comune" al fine di aumentare i salari ed i redditi delle famiglie. La distribuzione ineguale del reddito sarebbe un problema minore rispetto al fatto che le famiglie conservano una quota molto bassa del reddito, dai 15 ai 25 punti percentuali in meno rispetto all'Occidente. Pertanto suggeriscono che l'elevata quota di investimenti pubblici nel PIL venga riciclata in programmi di assistenza sociale.

Infatti il punto di maggiore scontento dei principali commentatori nei confronti del modello di crescita "squilibrato" della Cina è il seguente: salari e consumi "troppo bassi" rendono la Cina più competitiva in termini di esportazioni e dinamiche di crescita rispetto alla maggior parte delle economie avanzate. Ma invece di ammettere che i sistemi di welfare in Occidente stanno mantenendo stipendi e redditi artificialmente alti, deprimendo la crescita e cacciando i capitali verso la Cina e altre economie emergenti, trovano da ridire sul magro sistema di welfare cinese.


Il sistema di welfare competitivo della Cina

Secondo il FMI una ridistribuzione fiscale molto bassa è il principale motore della disuguaglianza di reddito in Cina. Le politiche fiscali riducono il Coefficiente di Gini del mercato cinese solo marginalmente, di meno di un punto. Nelle economie in cui i lwelfare state è più preponderante, come Svezia, Danimarca e Germania, la differenza tra gli indici Gini di mercato (al lordo di imposte e trasferimenti) e gli indici di Gini netti può arrivare fino a 25 punti, quasi dimezzando il livello di disuguaglianza (Grafico 1).

Grafico 1: disuguaglianza e ridistribuzione del reddito. Fonte: FMI

La bassa ridistribuzione fiscale e il benessere sociale significano che anche la spesa sociale e pubblica della Cina è piuttosto limitata rispetto al PIL (Grafico 2). Con circa l'8% del PIL, la spesa sociale in Cina è molto più bassa che negli Stati Uniti (20%) e in Germania (25%). Negli anni '60 anche il governo degli Stati Uniti spendeva solo il 7% circa del PIL per gli affari sociali, ma i tassi di crescita economica erano molto più alti.

Grafico 2: spesa pubblica, 2019. Fonte: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)

Il welfare state limitato della Cina consente un carico fiscale inferiore ed una minore progressività nel suo sistema fiscale. Con il 28% del PIL nel 2019, i budget sono molto più piccoli della media OCSE, di quasi il 42% del PIL. Le imposte indirette, come l'imposta sul valore aggiunto e altre imposte su beni e servizi, rappresentano circa la metà delle entrate fiscali in Cina rispetto ad un terzo nei Paesi OCSE. Ancora più importante, il cuneo fiscale sul lavoro è molto più leggero e le entrate derivanti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) rappresentano circa il 5% delle entrate totali, rispetto ad una media OCSE del 25% (Grafico 3).

Grafico 3: Composizione del gettito fiscale cinese, 2014. Fonte: FMI

La Cina ha una IRPEF progressiva, con aliquote che vanno dal 3 al 45%, ma in pratica pochi contribuenti la pagano perché viene applicata solo a fasce di reddito molto alte. Ad esempio, l'aliquota marginale massima si applica solo ai redditi trentacinque volte superiori al salario medio. Di conseguenza il bilancio cinese raccoglie solo l'1% del PIL dall'IRPEF rispetto ad oltre il 10% del PIL negli Stati Uniti. I contributi della previdenza sociale (CPS) per la pensione, la disoccupazione e l'assicurazione sanitaria sono applicati ad un tasso forfettario nominale ai salari e sono limitati ai redditi più elevati. In combinazione con l'IRPEF, generano un programma fiscale regressivo che il FMI critica, erroneamente, in quanto penalizzerebbe i redditi più bassi (Grafico 4).

Grafico 4: aliquota fiscale media IRPEF e CPS per quintili di reddito. Fonte: FMI


La Cina dice “No” ad un welfare grande e preponderante

La "prosperità comune" ha suscitato aspettative su una grande espansione del welfare, ma la Cina non intende cadere in questa trappola. Poco dopo il discorso di Xi Jinping ad agosto, un alto funzionario del partito ha chiarito che "prosperità comune" non significa "uccidere i ricchi per aiutare i poveri". Coloro che "si arricchiscono prima" dovrebbero aiutare coloro che sono dietro, ma "la strada definitiva verso la prosperità comune è lavorare sodo insieme". Lo stesso funzionario ha detto chiaramente che la Cina deve "guardarsi dal cadere nella trappola dell'assistenzialismo" e "non sosterrà i pigri".

Anche la Cina non vuole far deragliare il settore privato, consapevole che è il suo motore di crescita ed occupazione. Sottolinea che le politiche di regolamentazione e le repressioni prendono di mira comportamenti illegali e non sono rivolte a società private o straniere, mentre le donazioni di beneficenza saranno incoraggiate con incentivi fiscali. L'agenzia di stampa nazionale, Xinhua, non ha girato intorno all'argomento quando ha concluso che "la prosperità comune non è egualitarismo; non è in alcun modo derubare i ricchi per aiutare i poveri, come frainteso da alcuni media occidentali".


Conclusioni

Gli analisti mainstream che sperano che la Cina seguirà la strada occidentale dei welfare state preponderanti rischiano di rimanere delusi. Secondo i leader cinesi, la nuova spinta verso la "prosperità comune" non riguarda la ridistribuzione egualitaria del reddito, ma la fornitura di migliori opportunità economiche e sociali per i gruppi a basso e medio reddito. Reprimere redditi alimentati dal clientelismo e derivanti da rendite monopolistiche può rafforzare il funzionamento dei mercati.

C'è sempre un divario tra le parole ed i fatti, ma una cosa è chiara: per mantenere alti i tassi di crescita e raggiungere l'Occidente, la Cina non può ripetere l'errore di quest'ultimo e costruire sistemi di welfare gonfiati che schiacciano la crescita economica. Questo è un punto fondamentale dato che il settore delle grandi imprese statali in Cina è già una delle principali fonti di inefficienza economica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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