lunedì 1 novembre 2021

Il mito della stagflazione

 

 

di Alasdair Macleod

Descrivere le condizioni inflazionistiche in evoluzione come stagflazione non coglie il punto sulle condizioni economiche odierne. La stagflazione è stata originariamente utilizzata solo nel contesto di aumenti salariali eccessivi non accompagnati da migliori prospettive commerciali. Proprio in questo senso stretto, oggi stiamo vivendo la stagflazione.

Ma in un contesto più ampio, le condizioni inflazionistiche descritte come stagflazione non sono affatto stagflazione: sono le conseguenze dell'aumento dell'offerta di denaro che indebolisce il potere d'acquisto delle valute fiat, una condizione economica estremamente pericolosa che, se non è completamente controllata, porta alla sua distruzione.

Nel Regno Unito e altrove i politici affermano che sono necessari salari più alti per far tornare al lavoro le persone. Senza un aumento della produttività, si tratta di una raccomandazione a favore della stagflazione, ma nel misurare la produzione stagnante sia i politici che gli economisti vengono fuorviati dalle stime OCSE sulla produttività.

Questo articolo dimostra le ipotesi errate alla base dei calcoli OCSE sulla produttività e perché non è compito degli stati tentare di gestirla. Se gli stati devono fare qualcosa, dovrebbe essere tagliare le tasse sull'occupazione e smettere di interferire.

Il lettore meno interessato all'abuso delle statistiche sul lavoro e sulla produzione potrebbe saltare la sezione sull'approccio OCSE alla produttività per il breve aggiornamento sull'evoluzione dell'iperinflazione globale più avanti in questo articolo.


Introduzione

Mentre l'economia globale discende in un collasso iperinflazionistico, i commentatori economici che devono ancora comprenderne appieno le dinamiche stanno ora diventando consapevoli che l'inflazione dei prezzi sembra essere piuttosto vischiosa e molto lontana dall'aggettivo "transitoria" di Jay Powell.

I policymaker stanno iniziando a vederla come prova di una stagflazione. È una condizione che i neokeynesiani trovano contraddittoria, interpretata per descrivere una combinazione di inflazione ed economia stagnante, ma questo toglie la semantica del termine dal suo contesto originario. Dovrei saperlo molto bene, visto che è stata usata per la prima volta da Iain Macleod quando era membro del Parlamento e cancelliere ombra dell'opposizione conservatrice il 17 novembre 1965. Iain era il fratello maggiore di mio padre, quindi mio zio.

Quello che segue è un estratto dal discorso di Iain alla Camera dei Comuni quel giorno:

Ora abbiamo il più grande divario tra produttività e guadagni di qualsiasi tempo nella storia economica moderna. Il dato indice della produzione industriale era a 133 a gennaio, rivisto sugli ultimi dati a, credo, 134; a dicembre poi è sceso a 131. È certamente storia. Non riesco a trovare un periodo, e l'ho verificato con la possibile eccezione del 1952, in cui in 13 anni c'è stato un anno in cui il divario era così ampio tra ciò che dovremmo fare e quello che in effetti stiamo facendo.

Ora abbiamo il peggio di entrambi i mondi: non solo l'inflazione da un lato o la stagnazione dall'altro, ma entrambi insieme. Abbiamo una sorta di "stagflazione" e la storia in termini moderni si sta davvero facendo. C'è un altro punto dietro le cifre. Come ho detto, la produzione è diminuita dell'1% o ½%, mentre i redditi sono aumentati, forse, dell'8%. Ciò può comportare solo due cose che accadranno nei mesi a venire: o un aumento considerevole delle importazioni per far fronte all'aumento della spesa dei consumatori, o un aumento reale dei nostri prezzi.

Quindi eccolo qui: il riferimento riguardava specificamente la combinazione di produzione stagnante e inflazione salariale. Questa è la condizione che, ironia della sorte, oggi viene promossa dal governo conservatore guidato da Boris Johnson, il quale loda salari più alti senza una produzione immediata corrispondente. È solo una vaga speranza per il futuro. Non c'è alcuna differenza tra lo stato che sanziona salari più alti nelle industrie prevalentemente nazionalizzate senza un miglioramento della produttività nel 1965 e la situazione salariale di oggi. È la semantica che cambia invece. Boris sta inseguendo un miraggio: trasformazione economica dove l'industria riesce in qualche modo a far fronte a salari più alti e rimanere in attività.

Non era, come comunemente si suppone, un'economia in stallo mentre i prezzi al consumo salivano, ma per molti osservatori questo è ciò che è diventata la stagflazione. Ora è una descrizione inadeguata per le conseguenze dei precedenti stimoli monetari; è una via di mezzo sulla strada verso la vera minaccia iperinflazionistica affrontata da tutti noi su scala globale, visto che gli stati occidentali sono diventati così dipendenti dalla spesa pubblica che non possono smettere di farne affidamento.

La stagflazione è comunemente associata agli anni '70, ma come abbiamo visto è stata applicata ad un intero ciclo del credito precedente, prima che l'inflazione dei prezzi minacciasse di andare fuori controllo dal 1972 in poi.

Un altro aspetto era la diversa situazione monetaria, meglio illustrata dalle statistiche americane. Il credito bancario negli Stati Uniti è cresciuto negli anni '70 più rapidamente che nel 2010-2021, ma dalla finanziarizzazione dell'economia questo confronto è reso inutile a causa dello sviluppo del sistema bancario ombra, che in termini di creazione di credito non può essere definito statisticamente. Un indicatore migliore è la base monetaria della FED ed il grafico seguente mostra come è cresciuta sin dal 2005 rispetto alla sua crescita tra il 1965 ed il 1981.

Dal 1965 al 1981 la base monetaria americana è cresciuta del 191%, mentre dal 2005 ad oggi è cresciuta del 716%. Di per sé, il massiccio aumento della base monetaria non innesca un'iperinflazione dei prezzi: ciò riguarda il cambiamento della percezione pubblica nei confronti del potere d'acquisto della valuta che usano per le transazioni quotidiane. Ma è più probabile che la popolazione capisca un legame tra misure di denaro ristrette, come la base monetaria di una banca centrale, rispetto ad un legame con il credito bancario, in particolare se si tiene presente che anche la maggior parte degli investitori non capisce come il credito bancario viene creato e quali possono esserne gli effetti.

Basti dire che nella storia delle banche e della creazione dei depositi, è identificabile un ciclo di espansione del credito bancario e la sua successiva contrazione. E l'evidenza empirica è che tale ciclo ha un impatto minore sui prezzi durante la sua fase di espansione e contrazione rispetto invece agli aumenti della base monetaria.

Stando così le cose, possiamo presumere che un confronto tra le prospettive di una perdita di potere d'acquisto per le valute odierne con la situazione in cui regnava la cosiddetta stagflazione negli anni '70 sia fuorviante. Oggi esistono le condizioni per ciò che gli storici economici descrivono come iperinflazione, più accuratamente un crollo sostanziale o totale del potere d'acquisto delle valute contemporanee.


Il mito della produttività

Rivolgiamo ora la nostra attenzione all'errore nel determinare la produttività individuale, che, a parte il cambiamento climatico ed i presunti problemi logistici temporanei, è stato al centro della politica dei vari stati durante la recente riunione del G20 a Washington.

Come mostrato sopra, il termine stagflazione è stato originariamente applicato solo ad una condizione in cui i salari aumentano non supportati dalla produzione. Oltre al costo del lavoro, i prezzi non erano stati nemmeno menzionati. Oggi vediamo che in un contesto inflazionistico più ampio esistono condizioni simili per la definizione originale della parola. Il costo del lavoro si sta gonfiando in tutte le giurisdizioni, mentre la produzione è stagnante. Come menzionato nell'introduzione, Boris & Co. affermano che il Regno Unito deve passare da un'economia a basso salario e bassa produttività ad un'economia più produttiva con salari più alti, quest'ultima condizione è una prospettiva indefinita in un futuro incerto. Senza dubbio altri leader politici stanno facendo o faranno affermazioni simili nelle loro giurisdizioni.

Di tanto in tanto c'è un'ondata di commenti sulla produttività nazionale e per gli inglesi la scarsa produttività è un qualcosa di perennemente legato alla Brexit. L'OCSE, il Tesoro inglese, la Banca d'Inghilterra ed i cosiddetti "remainer" affermano che il livello di produttività medio di un britannico è deplorevolmente inadeguato e dimostra quanto abbiano bisogno della certezza di essere nell'UE.

Nel 2017 l'OCSE ha pubblicato un documento sulle conseguenze economiche della Brexit, raccomandando alla Gran Bretagna di tenere un secondo referendum per annullare la decisione sulla Brexit. Per sostenere la sua analisi ha affermato nella tabella 4A a pagina 19 che la produttività del lavoro della Gran Bretagna era ferma, mentre quella di Francia, Germania, Stati Uniti e le medie OCSE di tutte le nazioni stavano migliorando.

I lettori abituali dei miei articoli sapranno che disprezzo le statistiche stataliste, le medie e l'analisi neo-keynesiana che le accompagna. Il concetto di produttività degli econometrici è un ottimo esempio del perché le statistiche derivate da informazioni discutibili dovrebbero essere completamente ignorate. L'OCSE, che è la principale fonte delle statistiche sulla produttività citate dai politici, non utilizza le statistiche per una genuina ricerca della verità, ma come giustificazione dell'interventismo statale. Con sede a Parigi, questa istituzione è particolarmente simpatica allo statalismo europeo.

Questa è l'organizzazione dietro l'analisi internazionale ufficiale delle statistiche sul lavoro, pur essendo finanziata interamente dagli stati interessati. Tuttavia la produttività non dovrebbe essere controversa e difficile da criticare; il PIL diviso per il numero di ore lavorate è una metrica semplice, ma è ingannevole e fuorviante.


L'approccio dell'OCSE alla produttività

Il brevissimo documento dell'OCSE, Definind and Measuring Producrivity, cita Paul Krugman:

La produttività non è tutto, ma alla lunga è quasi tutto. La capacità di un Paese di migliorare il proprio tenore di vita nel tempo dipende quasi interamente dalla sua capacità di aumentare la produzione per lavoratore.

Krugman implica in questa citazione che la produttività sia una funzione della politica nazionale e quindi dovrebbe prevalere sugli interessi del datore di lavoro. Ciò è chiaramente in contrasto con i fatti: a parte i casi troppo frequenti di datori di lavoro che chiedono sussidi statali per colmare le lacune di produttività, un dipendente aggiunge valore solo se è impiegato da un datore di lavoro a scopo di lucro. Spetta a quest'ultimo prendere questa decisione, non allo stato. Il fatto che l'OCSE titoli col punto di vista di Krugman conferma che la scienza economica secondo l'OCSE è in linea con il suo pensiero.

Da qui partono gli errori statistici, a cominciare dalla rilevanza del PIL: infatti esso è progettato per catturare il consumo finale e sottovaluta la produzione di beni di ordine superiore, come macchinari di fabbrica ed input di servizi, non registrando le fasi intermedie della produzione. Questo punto importante è ora riconosciuto negli Stati Uniti dall'introduzione di una statistica relativamente nuova, la produzione lorda (GO).

La GO è riportata trimestralmente dal Bureau of Economic Analysis ed è quasi il doppio del PIL, pertanto, negli Stati Uniti, il PIL per ora lavorata è la metà della misura realistica del rapporto tra produzione e costo del lavoro nelle industrie del settore privato. La GO conferma che l'utilizzo del PIL in una formula di produttività è scandalosamente fuorviante, ma l'OCSE non stima la GO e va notato che diversi Paesi hanno diversi gradi di produzione intermedia, il che rende comunque impossibile confrontarli su basi omogenee.

Possiamo facilmente dire che è una sciocchezza preoccuparsi, nelle nostre faccende quotidiane, per il concetto di produttività del lavoro. Ad esempio, se vi occupate di vendita al dettaglio, potreste giudicare il vostro personale di vendita produttivo, perché produce vendite; ma la maggior parte del traffico nel vostro negozio probabilmente non ha nulla a che fare con le capacità del venditore. Il vetrinista può o non può aver contribuito? E gli addetti alle pulizie ed i contabili sono produttivi, insieme al personale del magazzino e agli autisti dei furgoni che consegnano al negozio? Presi singolarmente sono un costo; arduo, se non impossibile, rapportarli singolarmente alle vendite finali, cosa che costituisce il PIL. Pertanto la gestione di un'impresa riguarda squadre di persone con input complementari e registrare la produzione di individui in termini di PIL diventa insensato. In questo contesto la GO è una misura più realistica.

Intervenendo nella produzione del settore privato, lo stato la rende meno efficiente imponendo tasse e regolamenti burocratici ed interferendo con il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. In quanto forma di capitale impiegato nella produzione, il lavoro diventa inflessibile. Lo stato non vuole che le aziende licenzino i lavoratori quando i calcoli aziendali vanno male, invece ostacola la redistribuzione del lavoro sovvenzionando l'imprenditore non competitivo. Gli stati penalizzano anche le imprese redditizie tassando i profitti e in molti casi l'occupazione stessa.

Inoltre diverse industrie impiegano le loro varie forme di capitale in modi diversi, quindi all'interno delle medie statistiche il contributo dello sforzo umano varia considerevolmente. Ed un meccanico su una linea di produzione automatizzata che supervisiona robot costosi, non può essere reso una media come un pulitore per pavimenti.

Il contributo del PIL deve essere escluso da qualsiasi calcolo della produttività, in quanto sottrae risorse ad una produzione più efficiente nel settore privato. I servizi forniti dallo stato non sono richiesti dai consumatori, ma imposti loro.

Il problema con le statistiche come la produttività è che tutti pensano che significhino qualcosa. E, naturalmente, la classe politica, compresi i ministri delle finanze, è semplicemente opportunista con tutte quelle narrative che in qualche modo la rendono importante. Nonostante ciò, ignoriamo il fatto che questa paccottiglia econometrica sia solo un artificio e riformuliamo le cifre in qualcosa di più significativo; qualcosa che un uomo d'affari possa trovare utile come base di confronto nella ricerca della migliore giurisdizione per stabilire la sua attività; qualcosa che lo guiderà sull'opportunità di trasferirsi dalla Gran Bretagna all'Europa continentale, come l'OCSE crede ancora accadrà come conseguenza economica della Brexit.

A tal fine selezioneremo quattro Paesi in Europa dal database dell'OCSE, incluso il Regno Unito. Nel 2019 (i più recenti calcoli OCSE), il PIL per ora lavorata nell'ordine dei più produttivi vedeva in testa la Francia con $67,50, poi Germania con $66,40, Regno Unito con $58,40 ed infine Italia con $53,40. Per quel che vale, il Regno Unito è in ritardo rispetto alla media dell'area Euro ($59,5) e in particolare ai suoi vicini, come Belgio e Paesi Bassi. E non è molto meglio della media OCSE di $54,5: non una bella posizione in cui trovarsi per una nazione leader.

Questi sono i dati OCSE su cui si sono susseguiti i successivi ministri dell'economia britannici hanno basato le loro convinzioni su quanto siano improduttivi i loro contribuenti; e se solo potessero essere esortati a lavorare in modo più produttivo, le entrate fiscali migliorerebbero... perché questo è il vero interesse del tesoriere dello stato.

Un approccio più sensato è guardare alla produttività dal punto di vista di un imprenditore. È dal suo fatturato che deve pagare sia le tasse che i salari per i suoi dipendenti. Quando facciamo un reverse engineering delle cifre OCSE, dobbiamo anche rimuovere lo stato, perché la nostra missione è concentrarci sul settore privato. Poi bisogna sottrarre i disoccupati per arrivare al numero degli occupati. La seguente tabella quantifica la forza lavoro del settore privato nel 2019.

Vale la pena notare che ci sono diversi modi per contare i dipendenti pubblici e che Francia e Italia, in particolare, hanno industrie significative sotto il controllo statale il cui personale non è incluso come dipendenti statali.

Successivamente dobbiamo ricavare il PIL del settore privato per dipendente nel settore privato. Ciò significa far corrispondere gli aggiustamenti alla forza lavoro nella tabella 1 con il PIL del settore privato. Il PIL e la quota dello stato riguardano il 2019, prima che la spesa pubblica aumentasse a causa della pandemia distorcendo ulteriormente l'economia.

La persona media è ritenuta responsabile della produzione di una quota del PIL che è la più bassa in Francia e la più alta nel Regno Unito. Chi ci avrebbe mai creduto! L'OCSE ci ha detto che il dipendente francese era il più produttivo, seguito da quello in Germania, poi da quello nel Regno Unito e infine l'Italia. I calcoli dell'OCSE sono caduti alla prima revisione.

Tuttavia per assumere la persona media è necessario pagare uno stipendio insieme alla previdenza sociale e alle tasse sul lavoro prima che un'impresa, si spera, tragga profitto dal suo lavoro. Questo è il nostro aggiustamento finale per cercare cifre più rilevanti dal punto di vista dell'imprenditore. Il risultato è mostrato nella nostra ultima tabella.

Ovviamente queste cifre sono lontane da una vera dichiarazione di produttività. Come accennato in precedenza, se l'UE producesse dati per la GO, compresi i processi intermedi ed i valori finali per le merci, il rendimento per dipendente avrebbe più senso. La Germania, con la sua forte base manifatturiera, è probabilmente la più sottovalutata, mentre l'Italia e la Francia lo sono meno. La Gran Bretagna potrebbe essere da qualche parte nel mezzo, simile forse agli Stati Uniti con quasi il doppio del PIL. E anche le imprese francesi potrebbero dimostrare di impiegare le risorse umane in modo redditizio, forse a malapena.

La conclusione di questo esercizio è che l'imprenditore medio che impiega il dipendente medio misurato dal PIL medio per dipendente ottiene il miglior ritorno sul suo investimento in capitale umano in Italia, poi dal Regno Unito. L'applicazione della GO al posto del PIL cambierebbe quasi certamente tale ordine in Germania e Regno Unito come località più produttive, e Francia e Italia le meno attraenti. Se avesse una predilezione per la Francia o l'Italia, un imprenditore farebbe bene ad assicurarsi condizioni vantaggiose dallo stato per la durata del suo investimento. E su altri fattori, come la lingua, la cultura e la mancanza di nazionalismo quando si tratta di proprietà delle imprese, la Gran Bretagna batte persino la Germania, a mani basse. Forse è questo che spinge i produttori di marchi automobilistici internazionali, compresi quelli tedeschi, a scegliere la Gran Bretagna come base per molti dei loro impianti di produzione.

Utilizzando i dati OCSE, riformulati per riflettere la realtà commerciale, i risultati negano le conclusioni dell'OCSE. Durante la costruzione delle tabelle qui riportate, ho riscontrato variazioni significative nelle statistiche provenienti da fonti diverse e l'applicazione di tassi di cambio diversi ai costi ha un impatto statistico aggiuntivo.

Con il suo settore agricolo basato sull'economia del contante, il PIL della Francia è sottovalutato poiché non registra adeguatamente il ruolo delle ditte individuali nelle sue aree rurali. E in Italia, come altrove in misura meno significativa, si registrano forti variazioni dei salari medi, non solo nei diversi settori industriali, ma anche a livello regionale.

Lo scopo delle mie tabelle è di fornire solo un'approssimazione della produttività dei dipendenti. Il capitale umano, essendo impiegato per fare tante cose diverse, non può essere misurato da nessuno, se non da chi paga gli stipendi. Inoltre l'approccio dell'OCSE incoraggia i politici e gli economisti matematici ad ignorare l'impatto delle tasse sul lavoro. È qui che il Regno Unito ottiene risultati relativamente buoni e la Francia è un disastro, cosa che si riflette in una disoccupazione perennemente alta perché è antieconomico per molti lavoratori essere assunti.

Invece di criticare il settore privato, è sicuramente più rilevante considerare gli oneri statali sulla produzione ed agire di conseguenza. E per i politici britannici affermare che stipendi più alti renderanno la nazione più ricca dimostra la loro ignoranza basata su statistiche fuorvianti. Questo era l'obiettivo originario della stagflazione: il pagamento di salari non compensati dalla produzione. Ed è a questo che dovrebbe essere posto un limite oggi, sulla base di una corretta comprensione dell'economia del lavoro.


Ulteriori conseguenze dell'inflazione monetaria

Passiamo ora alle conseguenze più ampie dell'inflazione monetaria precedente e attuale, che non deve essere confusa con l'applicazione originaria del termine stagflazione. Quest'ultima suggerisce un problema inflazionistico meno grave del pericoloso potenziale di iperinflazione dei prezzi. Lungi dal riconoscerne il vero pericolo, suggerisce un problema recuperabile, in cui le cose non sfuggono completamente al controllo dello stato e che un'ulteriore inflazione dei prezzi è estremamente improbabile. La sua presenza suggerisce anche un problema che potrebbe da solo nel tempo, dimostrando dopotutto, come afferma l'FMI nel suo ultimo World Economic Outlook che "[...] in mezzo ad un'elevata incertezza, l'inflazione primaria probabilmente tornerà ai livelli pre-pandemia entro la metà del 2022 per il gruppo delle economie avanzate e delle economie emergenti e in via di sviluppo”.

La ragione alla base dell'aumento dei prezzi è illustrata nel primo grafico, il quale mostra che dal 2005 la base monetaria statunitense è aumentata di oltre sette volte. È diventato il mezzo principale con cui viene finanziato il disavanzo pubblico, e con la totale assenza di qualsiasi suggerimento di tagliare o addirittura congelare la spesa pubblica, possiamo solo presumere che l'impulso sull'aumento dei prezzi continuerà. Non è limitato agli Stati Uniti e al suo dollaro, è un copione seguito da tutti gli altri Paesi membri del G20, con le possibili eccezioni di Russia e Cina.

Non è solo un problema di stagflazione. I problemi di produzione sono ora molto maggiori dei costi del lavoro da soli. Sebbene la maggior parte di essi dovrebbe essere familiare ai lettori, è tempo di stilare una lista.

• La carenza di manodopera, causata da molteplici fattori, sta portando ad un'acuta inflazione salariale nei settori industriali che stanno assistendo ad una domanda inaspettata dei consumatori dopo il lockdown, mentre il lavoro attualmente disoccupato o impegnato in una produzione meno richiesta si sta dimostrando non disponibile. Si spera che questa viscosità si risolva nel tempo, ma dopo aver ricevuto sussidi statali durante i blocchi per il Covid, per molti c'è una riluttanza a tornare al lavoro che può essere contrastata solo riducendo i sussidi di disoccupazione. In un momento di aumento dei prezzi, questo taglio si sta rivelando impossibile.

• La crisi energetica sta colpendo le famiglie ed è ormai il problema dominante. Perseguendo un passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, gli stati hanno scatenato una crisi energetica sui loro elettori. I costi del carburante sono aumentati vertiginosamente prima dell'inverno nell'emisfero settentrionale e possono solo peggiorare. I prezzi all'ingrosso del gas naturale sono aumentati del 270% da quando la FED ha avviato il suo programma di QE mensile da $120 miliardi nel marzo 2020, l'olio da riscaldamento del 360% e le scorte di benzina del 500%. Gli effetti secondari stanno colpendo le forniture alimentari, rendendo antieconomica la produzione intensiva di frutta e verdura nelle serre. La produzione di CO2, un sottoprodotto della gestione dei rifiuti che si basa su input energetici e vitale per il confezionamento di alimenti e bevande gassate, ha già richiesto sussidi statali affinché potesse continuare.

• La crisi energetica sta colpendo tutti gli aspetti della produzione industriale. L'aumento dei prezzi dell'elettricità sta colpendo le industrie ad alta intensità energetica, rendendo antieconomica la produzione di materiali di base come acciaio, alluminio e cemento. La produzione industriale cinese è stata duramente colpita da interruzioni di corrente, che hanno spinto il governo cinese ad istruire i suoi produttori di elettricità per ottenere gas e carbone sui mercati internazionali a prescindere dai costi. Ciò eserciterà ulteriore pressione sui prezzi globali del carbone e del gas naturale. Il petrolio West Texas Intermediate supera ora gli $80 al barile, essendo aumentato di quattro volte da marzo 2020.

• I problemi logistici continuano. Gli esperti ora dicono che il disastro nella logistica mondiale continuerà nel prossimo anno e per molti altri mesi a venire. La carenza di camion ha aggravato i problemi pre-pandemia, con i porti ovunque nel mondo incapaci di eliminare gli arretrati. Secondo il Marine Exchange of Southern California, domenica scorsa 87 navi portacontainer sono state classificate come attraccate. Nel più grande porto container del Regno Unito, Felixstowe, ci vogliono nove giorni per far girare una nave portacontainer rispetto ai normali due giorni. La carenza di prodotti ha un grave impatto sulla produzione industriale, un problema aggravato da quelle pratiche che hanno portato a gravi carenze di scorte.

Il grafico seguente riassume il problema dell'offerta di materie prime e l'effetto sui prezzi.

Dopo un consolidamento di quattro mesi, il prezzo di questo ETF sulle materie prime ha superato la linea tratteggiata ed è in aumento, indicando che c'è una rinnovata pressione sui produttori affinché aumentino i loro prezzi di produzione o chiudano l'attività. La disoccupazione aumenterà sicuramente, aumentando i costi del welfare state e riducendo le entrate fiscali. Il finanziamento inflazionistico, che tra l'altro alimenterà prezzi ancora più alti per tutti i fattori di produzione, è solo all'inizio e non deve essere confuso con la stagflazione.

Alla riunione del G-20 dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali a Washington, i delegati hanno continuato ad insistere che queste condizioni si risolveranno da sole, in conformità con il punto di vista del FMI citato sopra. Che ci credano davvero è tuttavia discutibile, in realtà sono determinati a non far diffondere il panico, nella consapevolezza che ciò farà salire i prezzi dei beni di consumo. Sperano ancora che le cose alla fine si normalizzino con l'inflazione primaria che tornerà ai livelli pre-pandemia.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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