lunedì 2 maggio 2022

Come i piani alti delle grandi aziende hanno abbracciato il lockdown e la guerra economica

 

 

di David Stockman

Fino a qualche tempo fa le aziende americane si sono fate in quattro in quattro per placare i fanatici del virus con lockdown, mascheramenti obbligatori e minacce di licenziare chiunque non si vaccinasse.

Ciò era presumibilmente dovuto alla "scienza", ma è da tempo evidente che quest'ultima è una limpida storia di copertura. Le grandi aziende si sono conformate perché la cultura aziendale delle élite aziendali è diventata profondamente confusa e persino corrotta.

Le loro azioni sono ampiamente sopravvalutate a causa dell'incessante ed eclatante espansione monetaria della FED, i piani alti di queste grandi aziende hanno perso le tracce del loro dovere n°1: la massimizzazione del profitto. Quest'ultimo è stato sacrificato sull'altare del politically correct, delle pacche sulle spalle da parte dei politici e degli inviti alle serate alla Casa Bianca.

Questi imprenditori "statalisti" ottengono tutte le ricompense psichiche di cui sopra, oltre ad un potente arricchimento grazie alle stock option, perché la FED non agirà in altro modo. Sono lieti di chiamarla "effetto ricchezza", quando la verità è che si tratta di una politica di distruzione del mercato e della ricchezza.

L'assoluto spreco economico e l'ingiustizia nei confronti di dipendenti, azionisti e varie altre parti interessate a causa del politically correct sono ora chiaramente evidenti nei dati globali che dimostrano senza ombra di dubbio che il regime anti-Covid dettato dai fanatici del virus era completamente sbagliato fin dall'inizio.

Ironia della sorte, la pistola fumante proviene dalla Corea del Sud che è uno dei tanti casi di capitalismo dominato dallo stato. I cosiddetti Chaebol prendono i loro ordini dallo stato in cambio dell'accesso illimitato ai sussidi fiscali statali e agli accordi commerciali protezionistici che li proteggono dai rigori della concorrenza del libero mercato.

Le imprese sudcoreane hanno rispettato rigorosamente gli assurdi sforzi dello stato per debellare il Covid con quello che equivaleva ad un regime totalitario amministrato dalle corporazioni, facendo sbavare di invidia i vari Fauci e Birx di Washington.

Di conseguenza, durante il 2020 ed il 2021, la Corea del Sud ha inseguito la politica "zero Covid" con severi controlli alle frontiere, tamponi e tracciamenti aggressivi ed una campagna di vaccinazione che ha raggiunto quasi l'intera popolazione adulta. Infatti gli ultimi dati mostrano che l'87% della popolazione è completamente vaccinata ed il 60% ha fatto la seconda dose.

Tuttavia, il Paese non è arrivato allo zero: infezioni e decessi sono aumentati lentamente lo scorso anno. Ma ci si è avvicinato abbastanza tanto che i soliti "esperti di salute pubblica" lo hanno tenuto come un faro di luce.

Ad esempio, un "veggente" ha sostenuto:

La massima soppressione ha aiutato gli scienziati a guadagnare tempo per mettersi al lavoro e quindi trovare un'uscita sostenibile dalla crisi [...]. Il passaggio dalla massima soppressione alla vaccinazione di massa è stato un cambiamento razionale e logico per ottenere una transizione di successo dalla pandemia.

Mai i cosiddetti “esperti” sono stati così completamente presi sul serio. Ecco cosa è successo alla nazione senza Covid della Corea del Sud. Vale a dire, il tabellone segnapunti improvvisamente è andato in tilt:

• Il tasso di casi in Corea del Sud è salito a 7.800 per milione, 86 volte l'attuale tasso negli Stati Uniti di 91 per milione;

• L'attuale tasso vertiginoso della Corea del Sud è 3,3 volte il massimo storico registrato dagli Stati Uniti al picco di Omicron all'inizio del 2022.

Insomma, l'intera rete di protezione sudcoreana per il Covid è stata inutile. Quando è arrivato Omicron, una popolazione con un'immunità naturale minima (dall'infezione da Covid) e tassi di vaccinazione massimi si è rivelata un bersaglio semplice per nuove infezioni.

Naturalmente la capitolazione davanti al Covid è stata solo un riscaldamento per ciò che il mondo aziendale sta facendo riguardo la propaganda di guerra scatenata da Washington e dai media generalisti.

Prendete il caso della Pepsi, per esempio. Era la compagnia statunitense pionieristica che andò in Russia durante l'apice della brutalità sovietica contro i propri cittadini, ma ora è gestita da un CEO politically correct compagno di viaggio del World Economic Forum, dove presiede una delle sue commissioni più importanti.

Ai tempi in cui la Pepsi andò per la prima volta in Unione Sovietica, un posto di gran lunga più malvagio e barbaro della Russia di Putin, le compagnie statunitensi avevano abbastanza grinta da reagire quando Washington minacciava di danneggiare gli interessi delle aziende ed il valore degli azionisti.

Oggi non esiste più niente di tutto ciò. Il CEO di Pepsi, un certo Ramon Laguarta, ha deciso avventatamente di smettere di vendere Pepsi in Russia, anche prima che Washington potesse arrivare ad emettere sanzioni.

Così facendo, Laguarta ha distrutto decine di miliardi di valore di investimento che la Pepsi aveva accumulato in cinque decenni. E lo ha fatto, a quanto pare, perché lo sciocco CEO di McDonald's ha chiuso prima i suoi 850 negozi in Russia per ottenere una pacca sulle spalle dall'amministrazione Biden.

Il Wall Street Journal, infatti, ha raccontato in modo abbastanza succinto il tradimento della Pepsi nei confronti dei suoi azionisti:

Nel 1974 Pepsi fu tra i primi marchi americani ad entrare nell'Unione Sovietica, dopo un incontro a Mosca nel 1959, quando l'allora vicepresidente Richard Nixon offrì una tazza di cola al premier sovietico Nikita Khrushchev.

Nel 2022 PepsiCo Inc. aveva 20.000 dipendenti in Russia ed era il terzo mercato più grande dell'azienda dopo Stati Uniti e Messico. I 24 stabilimenti dell'azienda ed i tre centri di ricerca e sviluppo in Russia producevano bibite, patatine, latte, yogurt, formaggio, alimenti per l'infanzia e altro per l'infanzia.

Gli alti funzionari dell'azienda hanno discusso della crisi geopolitica quasi ogni giorno. Erano riluttanti a chiudere le operazioni in Russia, secondo persone che avevano familiarità con la questione. I piani alti volevano fare la cosa giusta davanti ai loro dipendenti e consumatori, ed erano sotto pressione affinché si unissero ad altre società occidentali che si muovevano per penalizzare la Russia. Avevano anche una responsabilità nei confronti degli azionisti.

Nel pomeriggio dell'8 marzo, McDonald's ha dichiarato che avrebbe chiuso i suoi ristoranti in Russia. Poi anche Coca-Cola ha detto che avrebbe sospeso i suoi affari lì. Dopo mezz'ora il CEO di PepsiCo, Ramon Laguarta, ha inviato un promemoria allo staff. La società avrebbe smesso di vendere Pepsi e 7UP in Russia, ma non si sarebbe ritirata.

Dietro le quinte i leader dell'azienda hanno esplorato un'altra azione che potrebbe ancora intraprendere. PepsiCo potrebbe portare a zero il valore della sua attività in Russia, modellando il processo utilizzato per le sue attività venezuelane nel 2015.

Perché distruggere arbitrariamente il valore per gli azionisti? Perché i mercati corrotti dalla FED ignorerebbero le svalutazioni, ecco perché.

Non importa che decine di miliardi di investimenti cumulativi sarebbero stati distrutti dal politically correct di Pepsi, ai suoi dirigenti pieni di stock option non importava perché nemmeno al mercato azionario ingrassato dalla FED sarebbe importato.

Inutile dire che la cosiddetta stampa finanziaria non ha alcun rimorso a fare la cheerleader per questo tipo di politically correct da parte dei piani alti delle grandi aziende. L'articolo del WSJ sopra citato è stato elogiativo per le aziende che agiscono per motivi politici, non economici:

Questa volta, le aziende erano più preparate. La pandemia aveva fornito ai piani alti delle grandi aziende un copione per le crisi. Anni di attivismo aziendale su questioni come il cambiamento climatico e la discriminazione razziale li hanno addestrati a rispondere ad una serie di problemi. L'invasione ha colto molti di sorpresa, ma hanno reagito rapidamente a quella che era una minaccia potenzialmente fatale per i loro dipendenti ed anche una minaccia reputazionale per le loro attività.

Quando il presidente Vladimir Putin ha lanciato l'attacco il 24 febbraio, e la pressione da parte di governi e dipendenti ha iniziato a crescere, oltre ad intensificare le sanzioni contro la Russia, le aziende si sono mosse con una velocità insolita ed un senso di azione collettiva. Il risultato è stata una partecipazione aziendale alla geopolitica senza precedenti.

Hanno capito bene, ma sono all'oscuro del pericolo. Vale a dire, che né il capitalismo né la democrazia possono prosperare quando gli affari diventano uno strumento servile dello stato ed un veicolo per l'espressione della moda politica e del conformismo sociale.

Inoltre l'idea che queste azioni siano state intraprese dai piani alti delle grandi aziende per proteggere la loro reputazione è semplicemente una sciocchezza. Nessuno avrebbe smesso di acquistare le patatine di Pepsi e Lay perché la società madre aveva un'attività di 50 anni in Russia.

Infatti la pura ossequiosità e l'ipocrisia dei piani alti delle grandi aziende sfidano la creduloneria. Ad esempio, l'amministratore delegato della Volkswagen ha chiuso i suoi stabilimenti in Russia per ragioni pratiche di mancanza di parti, ma ha comunque spiegato la sua azione con un inchino reverenziale:

Pochi giorni dopo l'invasione, Diess ha chiuso o ridotto la produzione in alcune delle sue più grandi fabbriche in Europa perché gli stabilimenti non potevano ottenere i cablaggi dai fornitori in Ucraina. La società ha successivamente chiuso la produzione nei suoi stabilimenti automobilistici in Russia, adducendo il suo "grande sgomento e shock" per l'invasione.

Alla fine, questo tipo di politica aziendale è il motivo per cui la FED ha stampato denaro ed alimentato bolle negli asset finanziari come mai prima d'ora. Il politically correct dei piani alti delle aziende Fortune 500, che dovrebbe essere sul sentiero di guerra contro la dilagante svalutazione monetaria della FED, non ha detto una sola parola una sulla devastazione causata dalla folle stampa di denaro della FED.

Il fatto è che chiunque presti una mezza attenzione potrebbe vedere che l'Eccles Building è stato cieco di fronte agli effetti delle sue politiche keynesiane e distruttive per anni, almeno risalendo a quel bugiardo di Ben Bernanke alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria.

I verbali della FED nel gennaio 2008 citavano il presidente Bernanke che rassicurava che: "La Federal Reserve non prevede attualmente una recessione".

Proprio così. Alla data ufficiale del NBER (National Bureau Of Economic Research) l'inizio della recessione ufficiale era dicembre 2007!

Vale a dire, se Ben Bernanke non sapeva ancora che una recessione era in corso un mese dopo l'inizio, perché qualcuno dovrebbe pensare che la FED abbia un'idea dello stato dell'economia nazionale e globale e della capacità e dei mezzi per gestirne il corso?

Né la recessione del 2008 è stata un evento unico. La tabella seguente è stata elaborata da Lance Roberts e chiarisce che il tasso di crescita economica reale (aggiustato all'inflazione), anche alla vigilia della recessione, non sempre dà un segnale su ciò che sta per accadere. Come ha notato Roberts:

Ciascuna delle date mostra il tasso di crescita dell'economia immediatamente prima dell'inizio di una recessione. Noterete nella tabella che in 7 delle ultime 10 recessioni, la crescita del PIL reale era pari o superiore al 2%. In altre parole, secondo i media, NON c'era NESSUNA indicazione di una recessione.

Ma il mese successivo ne iniziò una.

Per quanto riguarda il ciclo attuale, Roberts ha inoltre osservato che la recessione di 2 mesi del 2020 non è mai realmente terminata e che potremmo essere sull'orlo di una ricaduta, nonostante il falso boom stimolato da Washington e dai baccanali della spesa pubblica l'anno scorso:

Sebbene il NBER abbia dichiarato la recessione del 2020 la più breve della storia, ciò non impedisce che arrivi un'altra recessione prima o poi. Tutti gli eccessi che esistevano prima dell'ultima recessione sono peggiorati da allora.

Dato che le dinamiche per una recessione economica permangono, servirà solo un evento esogeno inaspettato per riportare l'economia alla contrazione.

Ed anche una per spingere l'1% e il 10% più ricchi in un mondo di dolore economico. Questo perché questi ultimi rappresentano rispettivamente l'85% degli asset finanziari ed il 75% del patrimonio netto delle famiglie.

Quando finalmente arriverà il crollo della grande bolla, il lamento e lo stridore di denti tra le famiglie benestanti – i cui conti di intermediazione sono stati ingrassati oltre ogni ragionevolezza dall'inflazione degli asset finanziari da parte della FED – saranno atroci.

Forse allora i piani alti delle grandi aziende si sveglieranno dalla loro assopita obbedienza.

O almeno, lo possiamo sperare.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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