venerdì 13 maggio 2022

Dominare il dittatore interiore

 

 

di Barry Brownstein

Nel 1993 il Center for Market Processes ha pubblicato la monografia di Wayne Gable e Jerry Ellig, Introduction to Market Based-Management. Charles Koch, in seguito, ha ampliato il loro lavoro nei suoi libri, The Science of Success e Good Profit. Abbiamo appreso che il lavoro di F. A. Hayek potrebbe non solo aiutarci a dare un senso al nostro mondo economico, ma anche aiutarci ad essere manager e leader migliori.

Nel corso della mia carriera da insegnante, ho osservato che le opinioni politiche dichiarate di un individuo non sempre coincidevano con lo stile di leadership di quella persona. Alcuni capivano che la pianificazione centralizzata è un approccio fallimentare alla politica economica e tuttavia non capivano che pratiche di gestione gerarchica rigorose spesso causano una gestione inefficiente ed infelice delle aziende. Ai dipendenti non piace ricevere ordini o minimizzare l'uso/sviluppo delle proprie capacità. Ho sentito spesso dire "il mio capo è un maniaco del controllo" da quelli più in basso nella scala gerarchica. Per fortuna gli stili di leadership si stanno evolvendo, come dice Charles Koch, nella direzione in cui viene "consentito ai dipendenti di applicare i propri talenti per creare valore agli occhi degli altri".

Proprio come le intuizioni di Hayek si applicano alle economie, possono altresì formare le nostre vite sociali. Si possono soffocare i mercati ed i talenti dei dipendenti, ma quando accade le possibilità di successo e felicità diminuiscono.

Non si può contare su una maggiore ricchezza personale o prosperità sociale per salvarvi da scelte personali sbagliate. In The Constitution of Liberty, Hayek scrive che il progresso "ci dice poco sul fatto che il nuovo stato di cose ci darà più soddisfazioni di quello vecchio". Inoltre aggiunge: "Il piacere può consistere esclusivamente nel raggiungere ciò per cui ci siamo sforzati, ed il possesso assicurato può darci poca soddisfazione".

Di certo i progressi della civiltà producono più opportunità di provare sentimenti piacevoli, ma i buoni sentimenti hanno poco a che fare con la felicità. In The Happiness Trap, il medico e terapeuta Russ Harris sottolinea che il significato comune di felicità porta alla confusione.

La felicità viene comunemente definita come "sentirsi bene [...] provare un senso di piacere, letizia o gratificazione". Harris si concentra sul "significato meno comune della felicità [...] vivere una vita ricca, piena e significativa". In particolare, "un profondo senso di una vita ben vissuta" produce un "potente senso di vitalità" che non è fugace. Tuttavia una vita del genere, sottolinea Harris, suscita sentimenti sia piacevoli che spiacevoli poiché non tutte le aspettative vengono soddisfatte.

Le persone rivelano le loro aspettative quando viene chiesto loro, cosa li renderà più felici? Molti risponderanno un lavoro diverso, un nuovo partner, una nuova macchina o casa, o più tempo libero. Cambiamenti come questi possono conferire alcuni vantaggi, ma i ricercatori hanno scoperto che poco della nostra felicità dipende dalle circostanze della vita.

I risultati della ricerca della professoressa di psicologia Sonya Lyubomirsky mostrano che "differenze nelle circostanze o situazioni della vita" spiegano "solo il 10% circa della varianza nei nostri livelli di felicità". La felicità non dipende dal "se siamo ricchi o poveri, sani o malati, belli o semplici, sposati o divorziati, ecc."

Non c'è niente di sbagliato nell'acquistare l'ultimo iPhone, Peloton o Tesla, ma ciò che Lyubomirsky definisce "pozzanghere di piacere" attutirà solo temporaneamente i sentimenti spiacevoli; non produrranno felicità. "Esageriamo l'effetto che un cambiamento di vita avrà sulla nostra felicità, perché non possiamo percepire che non ci penseremo sempre".

Le intuizioni di Hayek possono aiutarci a navigare la vita con sicurezza, con un senso di scopo e cercare la felicità genuina nei luoghi in cui è più probabile che si trovi.

Nel suo saggio "Indivdualism: True and False", Hayek ci aiuta a capire che diamo troppa rilevanza al nostro modo di pensare. Il nostro processo di pensiero ha profonde implicazioni per le nostre vite.

Il falso individualismo, spiega Hayek, "è il prodotto di una credenza esagerata nei poteri della ragione individuale e di un conseguente disprezzo per tutto ciò che non è stato consapevolmente progettato da essa o non le è completamente intelligibile".

Hayek differenzia il falso individualismo dal vero individualismo. Descrive il vero individualismo come "un prodotto di un'acuta consapevolezza dei limiti della mente individuale, cosa che induce un atteggiamento di umiltà nei confronti dei processi sociali impersonali ed anonimi mediante i quali gli individui creano cose più grandi di quanto non sappiano".

Molti non riconoscono i limiti delle loro menti; sono sicuri di ciò che pensano senza avere comprensione dei propri processi di pensiero.

Il falso individualismo presuppone che "tutto ciò che l'uomo realizza è un risultato diretto e quindi soggetto al controllo della ragione individuale". È facile vedere come il falso individualismo porti al collettivismo: se tutto è soggetto alla ragione individuale, pensano i collettivisti, perché non lasciare che le persone “più sagge” risolvano i problemi che ci attanagliano?

L'antidoto di Hayek a tale arroganza è il "vero individualismo". Egli considera l'individuo "non come altamente razionale ed intelligente, ma come un essere molto irrazionale e fallibile, i cui errori individuali vengono corretti solo nel corso di un processo sociale, e che mira a trarre il meglio da un materiale molto imperfetto".

Ogni essere umano, anche il più esperto tra noi, commette errori; le interazioni non forzate con gli altri sono essenziali per trovare e correggere i nostri errori.

Molti di noi hanno adottato una mentalità "falso individualismo" nelle proprie vite personali: comprendiamo un aspetto della vita e, da quel punto di vista, presupponiamo di comprendere tutta la vita. In tal processo riduciamo le nostre vite per adattarle ai confini della nostra comprensione e quando quest'ultima limita la nostra attenzione, c'è molto di cui essere infelici. Facendo affidamento sul nostro modo di pensare abituale, diventiamo personaggi rigidi e prevedibili simili ai cartoni animati, o prendendo in prestito la terminologia dei videogiochi, un NPC (personaggio non giocante).

È tempo di riconoscere che siamo tutti materiali imperfetti; prima superiamo noi stessi, più significativa diventerà la nostra vita.

Nel suo libro, A Liberated Mind, il professore di psicologia Steven C. Hayes descrive la "rigidità psicologica" come "un tentativo di evitare pensieri e sentimenti negativi". Hayes spiega il lato negativo della rigidità psicologica:

La rigidità psicologica produce ansia, depressione, abuso di sostanze, traumi, disturbi alimentari e quasi ogni altro problema psicologico e comportamentale. Indebolisce la capacità di una persona di imparare cose nuove, godersi il proprio lavoro, essere intimi con gli altri o affrontare le sfide della malattia fisica.

La spiegazione che Hayes offre del motivo per cui siamo "portati alla rigidità psicologica" è coerente con la descrizione di Hayek del falso individualismo. Hayes descrive il fenomeno del "Dittatore Interiore" che, come un pianificatore centrale esterno, promuove "formulazioni rigide per la risoluzione dei problemi".

Anche se una parte più saggia della nostra mente sa cosa è bene per noi, una parte prepotente che vuole risolvere i problemi non lo sa. Definisco questo aspetto della nostra mente il Dittatore Interiore, perché suggerisce costantemente "soluzioni" al nostro dolore psicologico, anche se la nostra stessa esperienza, se ascoltiamo attentamente, sussurra che queste soluzioni sono tossiche. Come con molti dittatori politici, questa voce nella nostra mente può causare gravi danni: può portarci ad accettare una storia dannosa sul nostro dolore e su come affrontarlo; intesse i suoi consigli in racconti sulla nostra infanzia, sulle nostre capacità e su chi siamo, o sulle ingiustizie del mondo e su come si comportano gli altri. Ci spinge ad agire su queste storie anche se c'è una parte di noi, nel profondo, che sa meglio.

Se si segue il Dittatore Interiore, Hayes ci mette in guardia: "Siamo stati truffati da noi stessi". Hayes suggerisce come le soluzioni rapide rafforzino la trappola della rigidità psicologica:

Liberarci dalla trappola della rigidità viene reso più difficile dai messaggi con cui siamo bombardati dalla cultura in generale. Molte aziende prosperano grazie a questo messaggio. Sei preoccupato per il tuo aspetto? Un prodotto di bellezza rimuoverà quella preoccupazione. Sei infelice? La birra giusta ti rallegrerà. Guardate i temi di tutti i principali libri e programmi di auto-aiuto: è più o meno lo stesso, ovvero, gestisci l'ansia, sentiti bene, controlla i tuoi pensieri e la vita sarà migliore.

Cercando di evitare pensieri e sentimenti spiacevoli, ci trattiamo come oggetti, aspettandoci di poter essere riprogrammati come un NPC. Gli amici e la famiglia ci rimproverano di farne a meno, ma noi ci mandiamo lo stesso messaggio. Hayes spiega che le soluzioni autolenitive raramente funzionano:

La maggior parte dei libri di auto-aiuto chiede anche alle persone di praticare l'una o l'altra forma di auto-calmante o di autocorrezione. In qualche modo dovremmo rilassarci, concentrarci sul positivo o avere pensieri diversi. Nella concezione convenzionale, i nostri nomi per le condizioni mentali appendono il gancio della colpa alle emozioni ed ai pensieri. Abbiamo "disturbi d'ansia" o "disturbi del pensiero". Una serie di pillole e approcci terapeutici promettono l'eliminazione di pensieri e sentimenti difficili (ad esempio, si noti il prefisso anti in antidepressivi). Eppure, mentre l'adozione di questo modello si è diffusa nel mondo, la miseria e la disabilità sono aumentate, non diminuite.

In breve, Hayes spiega che siamo fuorviati a credere "che possiamo e dobbiamo imparare a cambiare i nostri pensieri a piacimento, e solo se e quando lo faremo ridurremo o elimineremo le emozioni spiacevoli".

Hayes una volta soffriva di ansia paralizzante. Il suo Dittatore Interiore ne era la causa: "Il problema era che il messaggio che la mia mente mi mandava era tossico: l'ansia è il mio avversario e devo sconfiggerla. Devo stare attento, gestirlo e sopprimerlo. La mia stessa ansia è diventata la mia principale fonte di ansia". Hayes poi aggiunge:

Ero caduto sotto la morsa ferrea del Dittatore Interiore. La voce nella mia testa mi diceva sempre di evitare la mia ansia o di sopraffarla in qualche modo. Conosciamo tutti questa voce autoritaria e prepotente nella nostra mente. Si potrebbe pensare ad esso come al nostro consulente interno, giudice o critico. Quando impariamo a domarlo può essere molto utile, ma se gli diamo libero sfogo si merita il nome di Dittatore perché può diventare così potente.

Naturalmente il Dittatore Interiore può anche venderci "manie di grandezza, convincendoci che siamo così speciali da essere segretamente invidiati, o assicurandoci che siamo più intelligenti delle altre persone e abbiamo inequivocabilmente ragione mentre gli altri hanno semplicemente torto".

Il nostro intelletto fa gli straordinari per risolvere problemi creati o inventati dal nostro pensiero. Hayes ci avverte che spesso consolidiamo pensieri che sono completamente sbagliati riguardo noi stessi e gli altri. Più controlli e più pensieri non possono assolutamente risolvere problemi così artificiosi.

Il Dittatore Interiore, come il dittatore esterno, impedisce la prosperità umana. Senza la volontà di guardare in una direzione che è più grande della nostra comprensione, come dice Hayek citando Edmund Burke, "siamo ridotti alle dimensioni della nostra mente".

Durante il Covid restringersi alle "dimensioni della propria mente" ha permesso ai politici di sfruttare la nostra paura. Quest'ultima ci ha portato a sostenere politiche autoritarie che non avremmo mai sostenuto senza che il nostro Dittatore Interiore avesse pieno sfogo. Questa paura ha accresciuto il tribalismo e la mancanza di rispetto per le scelte degli altri ha indebolito una società libera.

Fate attenzione a trattare gli esseri umani, in un'economia o azienda o nella vita personale, come problemi da risolvere. Hayes, come Hayek, punta ad un processo: “Stiamo pagando”, scrive, “un prezzo psicologico perché ciò che è veramente sbagliato dentro è trattare la vita come un problema da risolvere piuttosto che un processo da vivere”. Siamo materiale imperfetto, i nostri errori vengono corretti nel corso di un processo sociale.

Come possiamo rimanere resilienti ed evitare di diventare foraggio per movimenti sociali e politici autoritari mentre l'economia declina insieme all'umore sociale? Desidereremo tutti circostanze diverse, ma come consigliava il filosofo stoico Seneca: "Se vuoi davvero sfuggire alle cose che ti tormentano, ciò di cui hai bisogno non è essere in un posto diverso, ma essere una persona diversa".

Poniamoci la domanda in un altro modo: come può una persona con un "Dittatore Interiore" iperattivo essere un devoto sostenitore della libertà? Dal momento che trattano la propria vita come qualcosa da controllare, non proverebbero simpatia per l'idea che la società dovrebbe essere amministrata centralmente? Una mentalità che promuove "formulazioni rigide per la risoluzione dei problemi" non si attiva e disattiva facilmente.

Se interagite con una persona che è estremamente fiduciosa nel suo processo di pensiero razionale, avrà solo paraocchi. Robert Heinlein ha scritto: “L'uomo non è un animale razionale; è un animale razionalizzatore”.

Se qualcuno è determinato a non cambiare, può usare la "ragione" per razionalizzare il motivo per cui è così com'è. Sceglierà un sacco di cause esterne per giustificare le sue scelte personali: la sua educazione, la sua istruzione, il suo lavoro, il suo partner, la società, ecc. Alla gente piace questa causalità inversa, vedendosi come l'effetto di circostanze esterne; per loro, la "ragione" ha invertito la causalità.

Se siamo determinati solo a incolpare, perdiamo di vista che gli individui prima scelgono il loro scopo e poi agiscono per raggiungere i loro obiettivi.

Prestate attenzione quando la vostra mente confonde causa ed effetto nella vita personale, noterete che essa razionalizza i vostri sentimenti. Come ha osservato il compianto Michael Crichton, le strade bagnate non causano la pioggia. Le altre persone non ci fanno arrabbiare, una risposta arrabbiata a un'altra persona rivela una predisposizione arrabbiata che già portiamo dentro di noi; le relazioni non creano rancori. Le lamentele rivelano una mentalità alla ricerca di prove che la propria vita sia ingiusta.

Siamo noi a costruire il nostro concetto di sé. Poiché è una costruzione, razionalizziamo il nostro concetto di sé nutrendolo e difendendolo con le nostre storie basate sui pensieri. Quando rafforziamo il nostro concetto di sé con una narrazione "fuori-dentro", stiamo scaricando la colpa dei nostri sentimenti su qualcuno o qualcos'altro. Una storia che inverte causa ed effetto ci solleva dalle responsabilità, poiché ci vediamo come l'effetto di forze esterne.

Questa mentalità razionalizzante a livello personale è ciò che sostiene i collettivisti, i quali sono determinati a utilizzare una pianificazione centrale coercitiva per raggiungere i propri scopi. I collettivisti dispiegano il pensiero "strade bagnate causano pioggia", "i fornitori avidi di cibo ed energia causano inflazione", "la spesa pubblica per le infrastrutture riduce l'inflazione".

Crichton ha coniato quello che definiva "effetto Gell-Mann Amnesia", la tendenza che abbiamo a dare "credibilità ingiustificata" a coloro che nei media si sono già dimostrati in errore. L'effetto Gell-Mann Amnesia, dal nome del premio Nobel per la fisica Murray Gell-Mann, si applica anche a livello personale. Il Dittatore Interiore, l'esperto narratore che Hayes descrive, ci dice chi e cosa incolpare. Prendiamo senza pensare i suoi cattivi consigli come una solida guida anche quando si è dimostrato più e più volte fuorviante.

Non lasciatevi ingannare dal rumore proveniente dal vostro Dittatore Interiore. Crichton scrive:

Il volume implica un valore che è capzioso. Lo chiamo l'effetto "ci dev'essere un pony", dalla vecchia barzelletta in cui un bambino arriva la mattina di Natale, trova la stanza piena di escrementi di cavallo e batte le mani con gioia. I suoi genitori stupiti chiedono: perché sei così felice? Perché con tutti quegli escrementi dev'esserci per forza un pony.

Vogliamo essere ingannati perché vogliamo evitare le responsabilità.

Nel suo libro sui movimenti di massa, The True Believer, Eric Hoffer ci avverte: "C'è in noi la tendenza a localizzare le forze che modellano la nostra esistenza al di fuori di noi stessi. [...] La tendenza a cercare tutte le cause al di fuori di noi stessi persiste anche quando è chiaro che il nostro stato d'essere è il prodotto di qualità personali come capacità, carattere, aspetto, salute e così via".

Quando diventiamo consapevoli di una tendenza all'esterno nel nostro modo di pensare, possiamo diventare più consapevoli della voce del nostro Dittatore Interiore, il quale dirotta il nostro concetto di sé. Possiamo scegliere di disinnescare il nostro Dittatore Interiore, ma questo primo passo è impegnativo. Nel suo libro, A Liberated Mind, Hayes scrive: "Ciò che c'è di così potenzialmente pericoloso nel potere che questa voce può avere su di noi, è che perdiamo contatto con il fatto che stiamo persino ascoltando una voce". Poi aggiunge:

Il dettato è così costante e senza soluzione di continuità che ci immedesimiamo nella voce; ci identifichiamo con essa, o ci “fondiamo” con essa. Se fossimo spinti a dire da dove proviene, sarebbe naturale considerare il Dittatore come la nostra voce, i nostri pensieri o anche il nostro vero io. Questo è il motivo per cui chiamiamo questa voce l'ego, ma in realtà è la storia dell'io. Diventa così intricata che prendiamo i suoi dettami alla lettera.

Dopo la sua stessa lotta con l'ansia, Hayes racconta di aver "lasciato che la voce prendesse il posto della parte di me che è consapevole e può scegliere [...] ero scomparso per anni e anni nella mia stessa mente e nei suoi dettami". Hayes ha messo in dubbio la rilevanza dei pensieri provenienti dal suo Dittatore Interiore:

Mi sono reso conto che ciò che la voce mi diceva non aveva necessariamente più “peso” di qualsiasi altro pensiero che correva nella mia mente. I pensieri entrano ed escono automaticamente dalla nostra consapevolezza tutto il tempo, come "Ho fame, forse prenderò un gelato", o "Spero che il bucato sia finito". Ci vengono in mente anche pensieri strani, come pensare che qualcuno ci stia fissando senza nemmeno prestarci attenzione. I ricordi riaffiorano improvvisamente senza una ragione apparente.

Hayes continua a descrivere il processo di disintossicazione:

Mentre tendiamo a pensare ai nostri processi di pensiero come logici, molti di loro sono tutt'altro che tali. I pensieri vengono costantemente generati automaticamente e senza pensare. Non possiamo scegliere quali compaiono, ma possiamo scegliere su quali concentrarci o utilizzare per guidare il nostro comportamento.

Man mano che diventate più consapevoli del vostro pensiero, potreste rimanere costernati nell'osservare quanto di esso siano sciocchezze, replay del passato, scenari costruiti sul futuro e frammenti di pensieri sparsi, tutti progettati per rendervi un eroe o una vittima.

Mentre cerchiamo di evitare pensieri e sentimenti spiacevoli, spesso diamo loro tutta la nostra attenzione; ne siamo consumati. "Dimmi a cosa presti attenzione e ti dirò chi sei", ha scritto il filosofo spagnolo Jose Ortega y Gasset.

Il premio Nobel Daniel Kahneman, nel suo libro Thinking, Fast and Slow, spiega la mentalità che ci porta a dare tale rilevanza al nostro pensiero disfunzionale. Kahneman ci indica la cosiddetta illusione di focalizzazione: "Nulla nella vita è importante come pensate che sia mentre ci pensate".

Sebbene non possiamo controllare i pensieri che spuntano nella nostra mente, possiamo fare pratica nell'osservarli. Nella mentre, possiamo cambiare la nostra mentalità.

Un pensiero di irritazione per una moglie può rapidamente trasformarsi in gratitudine per la stessa quando ci si ferma ad osservare il pensiero di irritazione, in modo da non giustificare e consolidare quel pensiero iniziale. Senza non ci si ferma ad osservare il pensiero, la voce del Dittatore Interiore si alza per convincervi che avete un problema. Se vi aggrappate al “problema” è come se stringeste in mano un pezzo di vetro: essa sanguinerà. Ma se lasciate la presa allora quel vetro è come se sparisse istantaneamente, insieme alla ferita.

I pensieri sono fluidi, a meno che non li afferriamo. La vostra esperienza di vita sarà molto diversa se praticherete l'osservazione non giudicante dei vostri pensieri e permettete loro di scorrere.

Questa forma di osservazione intenzionale è di gran lunga più preziosa ed efficace per superare i pensieri infelici rispetto alle esortazioni "Smettila di farlo", o "Smettila di sentirti dispiaciuto per te stesso", o mantra rilassanti come "Non devi preoccuparti". La ricerca scientifica mostra che il tentativo di sopprimere i pensieri indesiderati porta solo a pensieri ancor più indesiderati.

Possiamo disinnescare il pensiero turbato in molti modi. Una tecnica per osservare le vostre bizzarrie mentali è guardare voi stessi come se foste seduti tra il pubblico di un'opera teatrale e ricopriste il ruolo di protagonista.

Guarderete il vostro personaggio affrontare le sue bizzarrie senza giudicarle. Fate una pausa per chiedervi: "Chi sta guardando?" Bingo! Quando osservate i vostri pensieri disfunzionali, emerge l'intuizione che siete più di quei pensieri. Potete disidentificarvi con essi; siete un giocatore e non un personaggio non giocante.

C'è un'alternativa al seguire i pessimi consigli del vostro Dittatore Interiore con le sue pretese di essere razionale. In The Constitution of Liberty, F. A. Hayek scrive: "La causa della libertà individuale si basa principalmente sul riconoscimento dell'inevitabile ignoranza di tutti noi riguardo a moltissimi fattori da cui dipende il raggiungimento dei nostri fini e benessere".

In "Individualism: True and False", Hayek differenzia il falso individualismo dal vero individualismo. Con una mentalità improntata sul falso individualismo, siamo sicuri di essere razionali e di vedere il mondo con precisione. Hayek ci mette in guardia dal permettere che "la ragione umana [...] si metta in catene da sé". Le persone sono, riconosce Hayek, "a volte buone e a volte cattive, a volte intelligenti e più spesso stupide". Poiché la nostra conoscenza è limitata, "più spesso stupide" si applica a ciascuno di noi e va bene; "stupido" è corretto nelle nostre interazioni con gli altri.

Hayek scrive: "L'uomo in una società complessa non può avere altra scelta che adattarsi a quelle che a lui devono sembrare le forze cieche del processo sociale o obbedire agli ordini di un superiore". Molti devono imparare da soli che un processo sociale non forzato è preferibile ai controlli autoritari. Obbedire al nostro Dittatore Interiore, come obbedire a un dittatore esterno, ci impedisce di raggiungere il nostro pieno potenziale.

Quanto siete fusi con il vostro pensiero? Ogni essere umano vive entro i limiti della sua mente. Non controlliamo il nostro pensiero, ma possiamo fermarci e scegliere di non accettarlo. La vostra esperienza della realtà è direttamente correlata alla mentalità di individualismo vero o falso che scegliete di abbracciare. Quando rilasciate la presa sul vostro pensiero, capite ciò che il vostro Dittatore Interiore ha fabbricato.

Quando saremo pronti a dichiarare la nostra libertà dal Dittatore Interiore, inizieremo riconoscendo che le ammonizioni di Hayek sul falso individualismo si applicano anche a noi. Possiamo smettere di fingere di essere estremamente fiduciosi nel nostro pensiero razionale; possiamo allentare la presa che il nostro pensiero ha su di noi facendo una pausa per osservare e non fonderci con il nostro Dittatore Interiore; possiamo permettere che il vero individualismo ci conduca a vite significative con un maggiore senso di scopo, relazioni migliori e genuina felicità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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