Per quanto di facciata la Cina possa essere un avversario degli Stati Uniti, l'avversario più grande rimane l'Europa. E lo è stata sin dalla Battaglia di Yorktown, potremmo dire. A tal proposito i dazi, oltre a limitare il flusso di dollari che scorrono all'estero e smantellare quell'arbitraggio commerciale contro gli USA che rifiutava di chiudersi, rappresentano il tentativo consapevole di isolare le élite europee dal resto del mondo. Siglare nuovi accordi bilaterali coi singoli Paesi lasciando fuori l'Europa e annullare la sua vecchia rete di privilegi e connessioni. Questo a sua volta significa costringere la cricca di Davos a venire allo scoperto, con i suoi membri e connessioni, e successivamente fare in modo che metta sul tavolo le sue di risorse di capitale, dato che adesso non ha più accesso facile alla stampante americana tramite l'eurodollaro. A tal proposito la presunta “confusione” di Trump sui vari temi spacciata dalla stampa generalista rappresenta un suo modo di intorbidire le acque affinché la sua amministrazione possa portare avanti il piano sopraccitato. Infatti come ci ha ricordato di recente Dimon, bisogna guardare a quel che fa e non a quel che dice. Suddetta “confusione”, inoltre, è un modo per testare la lealtà dei membri nel suo partito, perché, come in tutti i Paesi del mondo, ci sono fazioni che ne governano il percorso politico ed economico. Infatti esistono, in seno agli USA, quelle fazioni che fanno gli interessi di Europa e Cina, ad esempio, e sono perlopiù radicate in California. Non scordatevi, cari lettori, che questa è una guerra e al momento viene combattuta con i generali che vediamo e col piano che viene spiegato continuamente su queste pagine. Non saranno perfetti, ma è quello che abbiamo e speriamo che saranno sufficienti a ridimensionare la cricca di Davos.
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da Zerohedge
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/scontro-sul-bilancio-dellue-solo)
Il giorno dopo la presentazione del nuovo bilancio pluriennale da parte della Commissione europea, il cancelliere tedesco Friedrich Merz si è autoproclamato il suo più accanito oppositore. Ciò a cui stiamo assistendo, tuttavia, non è altro che una lite orchestrata tra alleati.
Merz è stato il primo politico europeo di alto livello a respingere ufficialmente la proposta di mega-bilancio della Commissione europea. Ha definito le ambizioni di Bruxelles “inaccettabili” e ha concluso con il classico luogo comune politico secondo cui bisogna arrangiarsi con le risorse disponibili. La stessa persona, tuttavia, presiede un governo tedesco indebitato: quindi la massima si applica anche a lui?
La proposta della Commissione prevede una spesa di €1.816 miliardi tra il 2028 e il 2034, con un incremento di ben €750 miliardi.
Tattiche diversive e intenti strategici
Ciò a cui stiamo assistendo è una messa in scena, un rituale ben consunto, concepito per il consumo pubblico. L'obiettivo dichiarato delle élite europee è incoronare Bruxelles con la piena sovranità fiscale ed espandere l'organismo centrale dell'UE in un fulcro gravitazionale di potere geopolitico. Il risultato finale è un governo dei governi, una mega-struttura sovranazionale.
Ma per raggiungere questo obiettivo il consenso pubblico deve essere granitico. Non diciamo “manipolato”, diciamo: plasmato. Così le élite mandano in scena teatrini politici e distrazioni mediatiche. Il copione è semplice: Bruxelles pretende il massimo. Ne consegue un'indignazione prevedibile – come da parte di Merz – e alla fine entrambe le parti “scendono a compromessi” su una cifra che permetta a tutti di salvare la faccia e cantare vittoria.
Anche se Merz dovesse tagliare dal bilancio €100-200 miliardi, è probabile che ciò faccia ancora parte della strategia di pubbliche relazioni di Bruxelles.
Consolidamento fiscale: che ci piaccia o no
Gli stati membri dell'UE sovraindebitati, in particolare quelli del sud, stanno cercando di consolidare le proprie passività sotto l'egida protettiva della Commissione e hanno trovato nella Banca Centrale Europea il veicolo ideale. Con la BCE che sostiene il debito attraverso interventi continui e il controllo della curva dei rendimenti, l'illusione di solvibilità può essere mantenuta... a spese dei contribuenti europei.
Questo segnerebbe la fine di un mercato obbligazionario europeo frammentato. La piena integrazione eliminerebbe le ultime vestigia della concorrenza fiscale tra gli stati membri. Da quel momento sarà “fuoco a volontà”, tanto per citare lo stile del Segretario generale della SPD tedesca.
Se Bruxelles riuscisse a mettere in atto la sua innaturale trinità – consolidamento del debito, sovranità fiscale attraverso imposte sulle emissioni di CO₂ e sulle aziende, e introduzione di un euro digitale per arginare la fuga di capitali – allora ben poco potrebbe impedire alla visione di un'Europa totalitarista di materializzarsi.
Stati Uniti d'Europa
Bruxelles si crede vicina a raggiungere il suo obiettivo a lungo perseguito. Questo spiega la crescente ostilità verso i partiti nazional-conservatori, l'ultimo vero baluardo contro il sogno di un governo totale dei centralizzatori. Gli Stati Uniti d'Europa vengono costruiti su una volgare economia keynesiana, sostenuti dal controllo dei media e sulla più becera propaganda.
In fondo, è grottesco. Con leggi come il Digital Services Act e il Digital Markets Act i burocrati dell'UE confermano il loro timore: che il loro attacco frontale all'autonomia nazionale e alla libertà economica possa alla fine fallire. I segnali politici di Bruxelles sono difensivi e questa bozza di bilancio è un tentativo preventivo di consolidare la sua autorità in rovina.
Le braccia dello zombi
Una rapida occhiata al bilancio conferma la diagnosi: €131 miliardi sono destinati a progetti militari europei. Si tratta di un aumento di cinque volte, cosa che si aggiunge alle massicce espansioni militari nazionali. L'organismo centrale dell'UE, che si trova nelle prime fasi di una crisi fiscale, si sta ora ritirando nel militarismo.
Il panico mediatico nei confronti di Putin serve da giustificazione per attivare questo nuovo ramo dell'economia artificiale dell'euro.
L'altro ramo – il cosiddetto Green Deal – è mantenuto in vita da altri €700 miliardi in sussidi. Il 30% dell'intero bilancio dell'UE sarà ora destinato a far girare la macchina dei sussidi, iniettando denaro nelle fantasie verdi e nel rispetto della biodiversità degli anemici pianificatori dell'Eurozona.
È bizzarro. Mentre la Commissione cerca di infilare il Green Deal nelle narrazioni dei media generalisti, i gruppi ambientalisti attaccano di riflesso la bozza di bilancio, definendola incoerente. Com'era prevedibile, i sussidi non potranno mai soddisfare la crescente dipendenza della società dalla droga del denaro “gratis”. L'UE-Europa è diventata lo spacciatore, iniettando tale droga nel continente senza riguardo per le conseguenze sociali o economiche.
L'intero dibattito è slegato dalla realtà economica. È come se Bruxelles cercasse di affogare ogni critica nel denaro a buon mercato e di comprare il sostegno delle ONG con finanziamenti statali. Se gli oppositori dell'eurocentralismo non trovano finalmente il vento in poppa, altri anni persi ci attendono. Una cosa è particolarmente allarmante: la militarizzazione strisciante, sia nella retorica che nelle politiche.
Il fatto che la sinistra rimanga sostanzialmente in silenzio su questo argomento segna un cambiamento politico significativo. La competizione tra partiti è stata sostituita da un cartello di interessi.
Il militarismo come fine dei giochi
Dal punto di vista storico la militarizzazione è spesso sintomo di regimi che entrano nella loro fase terminale, un segno che hanno perso il controllo interno. L'offensiva di Bruxelles non è una dimostrazione di forza, ma una confessione di debolezza: l'edificio dell'UE si sta incrinando. La sua facciata di unità è tenuta insieme solo da fiumi di credito e da una crescente repressione del dissenso.
La spinta militarista non solo segnala una nuova corsa agli armamenti, ma inaugura anche un'UE post-sovietica. Gli interessi nazionali vengono sacrificati: in materia di energia, migrazione e sovranità fiscale. Il prezzo politico: un malcontento latente, un crescente sentimento anti-sistema e un crollo della fiducia nelle istituzioni.
Lo scontro di bilancio inscenato continua nella politica migratoria, dove voli di espulsione sfarzosi e controlli di frontiera simbolici offrono l'illusione di una risposta adeguata, ma nulla di più. Anche in questo caso, gli interessi di Bruxelles e la volontà della maggioranza europea divergono nettamente.
Diciamo la verità: Bruxelles, con l'aiuto dei suoi avamposti nazionali, sta portando avanti un programma globalista. Risolverne le conseguenze definirà il futuro politico e culturale del continente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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