giovedì 23 settembre 2021

Come avere legge senza legislazione

 

 

di Murray Rothbard

[Nel suo libro La libertà e la legge,] la tesi principale del Professor [Bruno] Leoni è che perfino i più devoti economisti di libero mercato hanno imprudentemente ammesso che le leggi devono essere create da una legislazione governativa; Leoni mostra che questa concessione fornisce un’inevitabile porta per la tirannia dello Stato sull’individuo. L’altro lato della medaglia, derivato dall’aumentare l’intervento governativo nel mercato libero, è stato l’aumento della legislazione, con la sua conseguente coercizione da parte di una maggioranza – o, più spesso, da parte di un’oligarchia di pseudo -”rappresentativi” di una maggioranza – sul resto della popolazione. In questa connessione, Leoni presenta una brillante critica dei recenti scritti di F.A. Hayek sullo “stato di diritto”. In contrasto con Hayek, che chiede di avere regole legislative generali in contrapposizione alle bizzarrie di arbitrari burocrati o di “amministratori della legge”, Leoni fa notare che la reale e sottostante minaccia alla libertà individuale non è l’amministratore, ma lo stato legislativo che rende la regolamentazione amministrativa possibile.[1] Leoni dimostra che non è sufficiente avere regole generali applicabili a tutti e scritte in anticipo, in quanto queste stesse regole possono invadere la libertà – e, in generale, lo fanno.

Il grande contributo di Leoni è quello di mettere in evidenza persino ai più fedeli teorici del laissez-faire un’alternativa alla tirannia nel campo della legislazione. Piuttosto che accettare o la legge amministrativa o la legislazione, Leoni si appella ad un ritorno alle antiche tradizioni e principi della “legge fatta dal giudice” [in assenza di precedenti, ndt] come metodo per limitare lo Stato ed assicurare la libertà. Nella legge privata dell’antica Roma, nei codici civili continentali, nella common law anglosassone, “legge” non significava ciò che pensiamo oggi: promulgazione senza fine da parte di un legislatore o di un esecutivo. La “legge” non era promulgata, bensì trovata o scoperta; era un corpo di regole usuali che erano cresciute tra le persone, come i linguaggi o le mode, spontaneamente ed in modo puramente volontario. Queste regole spontanee costituirono “la legge”; ed era il lavoro degli esperti di legge – vecchi uomini della tribù, giudici, o avvocati – determinare quale fosse la legge e come la legge si applicasse ai numerosi casi di dispute che nascevano continuamente.

Se la legislazione fosse rimpiazzata da una tale legge fatta-dal-giudice, dice Leoni, stabilità e certezza (uno dei requisiti base della “regola della legge”) sostituirebbero la capricciosa mutevolezza degli editti di legislazione statuaria. Il corpo della legge fatta-dal-giudice cambia molto lentamente; inoltre, poiché le decisioni del giudice possono essere prese solo quando le parti presentano casi di fronte alle corti, e poiché le decisioni si applicano propriamente solo al caso particolare, la legge fatta-dal-giudice – in contrasto con la legislazione – permette ad un vasto corpo di regole volontarie e liberamente adattate, negoziazioni ed arbitrati di proliferare secondo necessità nella società. Leoni mostra brillantemente l’analogia tra queste regole libere e le negoziazioni, che esprimono intimamente il “desiderio comune” di tutti i partecipanti, e le negoziazioni volontarie e gli scambi del libero mercato.[2] Il gemello dell’economia di libero mercato, dunque, non è una legislatura democratica che continuamente sforna nuovi diktat per la società, ma una proliferazione di regole volontarie interpretate ed applicate da esperti nel settore della legge.

Mentre Leoni è vago ed indeciso sulla struttura che le sue corti dovrebbero prendere, almeno egli indica la possibilità di giudici e corti privatamente in competizione. Alla domanda, chi nominerebbe i giudici? Leoni risponde con la domanda, chi oggi “nomina” i massimi esperti in medicina o scienza nella società? Loro non sono nominati, ma guadagnano un generale e volontario consenso in base ai loro meriti. In modo simile, mentre in alcuni passaggi Leoni accetta l’idea di una corte suprema governativa, che egli ammette diventi essa stessa una quasi-legislatura,[3] egli invoca la restaurazione dell’antica pratica della separazione del governo dalla funzione giudicante. Se non anche per altre ragioni, il lavoro del Professor Leoni è di estremo valore per sollevare, nella nostra era di Stato-confuso, la possibilità di una fattibile separazione della funzione giudicante dall’apparato dello Stato.

Un grande difetto nella tesi di Leoni è l’assenza di qualsiasi criterio per il contenuto della legge fatta-dal-giudice. È una felice coincidenza della storia che un grande accordo tra la legge privata e la common law sia libertario – ovvero il fatto che abbiano elaborato i mezzi per preservare la proprietà e l’integrità di una persona contro un’“invasione” – ma un buon accordo della vecchia legge era anti-libertario e, di sicuro, la tradizione non può sempre essere considerata coerente con la libertà. L’antica tradizione, dopo tutto, può essere un debole baluardo infatti; se le tradizioni sono oppressive della libertà, devono ancora servire come struttura legale in modo permanente, o almeno per secoli? Supponiamo che la tradizione antica decreti che le vergini debbano essere sacrificate agli dei al chiaro della luna piena, o che vengano macellati quelli con i capelli rossi in quanto demoni. Dunque? Non potrebbe la tradizione essere soggetta ad un più alto test – la ragione?

La common law contiene alcuni elementi anti-libertari quali la legge di “cospirazione” e la legge del “seditious libel” (che dichiarano fuori legge le critiche mosse contro il governo), in gran parte introdotte nel corpo legislativo dai re e dai loro leccapiedi. E forse l’aspetto più debole del libro è la venerazione di Leoni per la legge dell’antica Roma. Se il diritto romano avesse fornito un paradiso di libertà, come si riesce a spiegare la schiacciante tassazione, la periodica inflazione ed il deterioramento della moneta, la rete repressiva di controlli e le misure di “welfare”, l’illimitata autorità imperiale, presenti nell’impero romano?

Leoni offre molti diversi criteri per (determinare) il contenuto della legge, ma nessuno è molto ben riuscito. Uno è l’unanimità. Ma sebbene possa essere superficialmente plausibile, persino l’unanimità esplicita non è necessariamente libertaria. Supponiamo, infatti, che non ci siano musulmani in un paese e che tutti, unanimemente, decidano – e si fissa nella tradizione – che ogni musulmano dovrebbe essere giustiziato. E cosa accadrebbe se, in seguito, alcuni musulmani apparissero in quel territorio? Inoltre, come riconosce lo stesso Leoni, c’è il problema del criminale; certamente egli non si esprime in favore della propria pena. Qui Leoni ripiega su di una tortuosa costruzione di unanimità implicita, ovvero, quella per cui, in casi come l’omicidio o il furto, il criminale sarebbe d’accordo con la pena se qualcun altro fosse il criminale, cosicché egli davvero è in accordo con la giustizia della legge. Ma supponiamo che questo criminale, o altri nella comunità, abbiano il credo filosofico che certi gruppi di persone (siano essi quelli coi capelli rossi, i musulmani, i proprietari terrieri, i capitalisti, i generali o qualsivoglia) meritino di essere uccisi. Se la vittima fosse un membro di uno di questi gruppi aborriti, allora né il criminale né gli altri che mantengono questa credenza sarebbero d’accordo con la giustizia né della regola generale contro l’omicidio né della pena per questo particolare omicidio. Anche solo su questo terreno, la teoria dell’unanimità-implicita deve cadere.

Un secondo criterio proposto per il contenzioso della legge è la regola d’oro negativa: “Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso”. Ma anche questa non è soddisfacente per un motivo: alcuni atti generalmente considerati criminali continuerebbero a passare il test della regola d’oro negativa. Così, un sadomasochista può torturare un’altra persona, ma finché egli provasse piacere nell’essere torturato, la sua azione, sotto la regola d’oro negativa, non potrebbe essere considerata criminale. D’altro canto, la regola d’oro è un criterio troppo vasto. Molte azioni sarebbero condannate come criminali quando certamente non dovrebbero esserlo. Così, la regola decreta che gli uomini non dovrebbero mentire gli uni agli altri (un uomo non vorrebbe che un altro gli mentisse) e così alcuni potrebbero adoperarsi affinché tutti i bugiardi vengano banditi come fuorilegge. Inoltre, la regola d’oro decreterebbe che nessun uomo potrebbe voltare le spalle ad un mendicante, perché il primo non vorrebbe che il mendicante gli voltasse le spalle qualora i ruoli fossero invertiti – e di nuovo è difficilmente libertario dichiarare fuorilegge il rifiutare la carità ad un mendicante.[4]

Leoni suggerisce un criterio molto più promettente: che la libertà venga definita come l’assenza di costrizioni o coercizione – eccetto contro i costrittori. In questo modo, l’iniziazione della coercizione sarebbe fuorilegge e la funzione “governativa” diventerebbe strettamente limitata a forzare i coercitori. Ma, assai sfortunatamente, Leoni cade proprio nella stessa trappola che incastrò Hayek nel suo Constitution of Liberty: la “coercizione” o “costrizione” non è definita in un modo proprio o convincente.[5] All’inizio, Leoni promette di dare una corretta comprensione della coercizione quando dice che un uomo non può essere detto “costringere” un altro quando rifiuta di comprare i beni o i servizi del secondo o quando rifiuta di salvare un uomo in procinto di affogare. Ma poi, nel suo sventurato capitolo 8, Leoni concede che possa esserci costrizione quando una persona religiosamente devota si senta “costretta” perché un altro uomo non osserva la pratiche religiose del primo. E questo sentimento di costrizione può apparire per giustificare tali invasioni della libertà come le Sunday blue laws. Qui, di nuovo, Leoni sbaglia nel collocare il suo test sulla costrizione o coercizione non sugli atti oggettivi del difensore ma sui sentimenti soggettivi del querelante. Sicuramente questa è un’autostrada estremamente larga verso la tirannia!

Inoltre, Leoni apparentemente non vede che la tassazione è un primo esempio di coercizione, ed è difficilmente compatibile con la sua stessa rappresentazione della società libera. Infatti, se la coercizione deve essere limitata solo ai coercitori, allora sicuramente la tassazione è l’ingiusta estrazione coercitiva di proprietà da un vasto corpo di cittadini non coercitivi. Dunque, come può essere giustificato tutto ciò? Leoni, di nuovo nel capitolo 8, concede anche l’esistenza di una qualche legislazione nella sua società ideale, includendo, mirabile dictu, alcune industrie nazionalizzate![6] Una specifica nazionalizzazione favorita da Leoni è quella relativa all’industria dei fari. La sua argomentazione è che un faro non potrebbe tassare consumatori individuali per il suo servizio e che, dunque, tale servizio dovrebbe essere fornito dal governo.

Le principali risposte a questo argomento sono di tre tipi:

  1. la tassazione per i fari impone coercizione ed è perciò un’invasione della libertà;
  2. anche se non è possibile far pagare agli individui il funzionamento dei fari, cosa vieta alle compagnie navali di costruire o sovvenzionare i loro propri fari? La tipica risposta è che poi vari “scrocconi” beneficerebbero del servizio senza pagare. Ma questo è universalmente vero in ogni società. Se io faccio di me una migliore persona, o se io curo il mio giardino meglio, sto aggiungendo qualcosa ai benefici goduti dalle altre persone. Sono quindi autorizzato ad imporre un tributo su questi a causa di questo fatto felice?
  3. Di fatto, i gestori dei fari potrebbero facilmente far pagare le navi per i loro servizi, se a loro fosse permesso di possedere quelle superfici di mare che loro modificano con la loro illuminazione. Un uomo che prende una terra non posseduta e la trasforma per uso produttivo è prontamente riconosciuto proprietario della terra, che può da quel momento in avanti essere usata economicamente; perché non dovrebbe applicarsi la stessa regola a quest’altra risorsa naturale, il mare? Se al proprietario del faro fosse concessa la proprietà della superficie di mare che egli illumina, egli potrebbe far pagare ogni nave come ci passa attraverso. La manchevolezza qui è un fallimento non del libero mercato, ma del governo e della società nel non permettere un diritto di proprietà al proprietario legittimo di una risorsa.

Sulla necessità di tassare per i fari governativi ed altri servizi, Leoni aggiunge lo sbalorditivo commento che “in questi casi il principio di libera scelta nelle attività economiche non è abbandonato e nemmeno messo in dubbio” (p.171). Perché? Perché “si ammette” che le persone desidererebbero pagare per questi servizi ad ogni modo, se disponibili sul mercato. Ma chi ammette ciò, e fino a che punto? E quali persone pagherebbero?

Il nostro problema può essere risolto, comunque; un valido criterio che accontenti la legge libertaria esiste. Tale criterio definisce come coercizione o costrizione, semplicemente, l’iniziazione di violenza, o la minaccia di questa, contro un’altra persona. Diventa quindi chiaro che l’uso della coercizione (violenza) deve essere confinato per forzare gli iniziatori di violenza contro i loro compagni. Una ragione per confinare la nostra attenzione sulla violenza è che l’unica arma impiegata dal governo (o da qualsiasi altra agenzia incaricata contro il crimine) è precisamente la minaccia di violenza. Mettere “fuorilegge” una qualsivoglia azione equivale precisamente a minacciare violenza contro chiunque la commetta. Perché allora non usare violenza solo per inibire coloro i quali stanno iniziando violenza, e non contro qualsiasi altra azione o non-azione che qualcuno potrebbe scegliere di definire come “coercitiva” o “costrittiva”?

Ed ancora una volta, il tragico mistero è che così tanti pensatori quasi-libertari hanno, nel corso degli anni, fallito nell’adottare questa definizione di costrizione o hanno fallito nel limitare la violenza a contro-azione di violenza, ed hanno invece aperto le porte allo statismo usando così vaghi e confusi concetti come “nuocere”, “interferire”, senso di costrizione”, etc. Decretate che nessuna violenza possa essere iniziata contro un altro uomo e tutte le scappatoie per la tirannia che persino uomini come Leoni concedono – blue laws, fari governativi, tassazione, etc. – sarebbero spazzate via.

In breve, esiste un’altra alternativa per la legge in società, un’alternativa non solo al decreto amministrativo o alla legge statuaria, ma persino alla legge fatta-dal-giudice. Tale alternativa è la legge libertaria, basata sul criterio che la violenza può essere usata solo contro coloro che iniziano violenza e basata, dunque, sull’inviolabilità della persona e della proprietà di ogni individuo dall’“invasione” eseguita con violenza. In pratica, questo significa prendere la common law, che è in grande parte libertaria, e correggerla usando la ragione dell’uomo, prima di venerarla come un codice libertario permanentemente immutabile o come una costituzione. E significa la continua interpretazione e applicazione di questo codice della legge libertaria da parte di esperti e giudici in corti private in competizione tra loro.

Il Professor Leoni conclude il suo altamente stimolante ed importante libro dicendo che “fare-leggi è molto più un procedimento teorico che un atto di volontà” (p. 189). Tuttavia, di sicuro un “procedimento teorico” implica l’uso della ragione umana per stabilire un codice di leggi che sia un’inviolabile e duratura fortezza per la libertà umana


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] Leoni presenta anche un’efficace critica della difesa di Hayek delle “corti amministrative” speciali. Se ci deve essere una legge per i burocrati ed un’altra per i cittadini comuni, allora non ci sarebbe uguaglianza di fronte alla legge per tutti e, quindi, non ci sarebbe una genuina “regola della legge”. Qui, come altrove, Leoni riabilita la forma pura della regola della legge, sostenuta dal grande giurista inglese del XIX secolo A.V. Dicey, in contrasto con le versioni moderne di Hayek e C.K. Allen.

[2] Questo contrasta con la canzonatoria pretesa di avere legislature “democratiche” – che coercitivamente impongono le loro regole ai dissidenti – che siano espressione della “volontà comune”. Leoni nota che per essere “comune”, la volontà comune deve essere unanime.

[3] Ad un certo punto, Leoni sembra credere che il requisito di unanimità dell’autorità giudiziale della Corte Suprema per qualsiasi cambiamento delle precedenti regole stabilirebbe approssimativamente il “modello di Leoni” per quanto riguarda la scena americana. Ma qui tutto dipende dal “punto di zero” al quale la richiesta di unanimità viene introdotta. Nel mondo odierno, pesantemente oppresso dallo Stato, una richiesta di unanimità per cambiare tenderebbe a velocizzare le nostre regolamentazioni stataliste in modo permanente sulla società.

[4] Un errore critico – in questo ed in altri punti – è la tendenza di Leoni di eseguire il test della criminalità sui sentimenti soggettivi dei partecipanti, piuttosto che sui fatti oggettivi.

[5] Per un’eccellente critica della concezione di coercizione di Hayek, vedi Ronald Hamowy, “Hayek’s Concept of Freedom: A Critique”, New Individualist Review, (aprile 1961), pp. 28-31.

[6] Così, Leoni afferma che, in quei casi nebulosi in cui la criminalità o la costrizione non possano essere determinati oggettivamente, esiste spazio per avere una legislazione coercitiva sul soggetto. Ma sicuramente la regola appropriata – e libertaria – è che i casi nebulosi vengano decisi in favore del “laissez-faire” – del lasciare che l’attività continui.

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