venerdì 23 settembre 2022

L'inflazione, “in mano” allo stato e al sistema bancario centrale, è una frode

 

 

di Francesco Simoncelli

Per quanto il fenomeno inflattivo possa essere apparso sui media generalisti solo di recente, in realtà è qualcosa che si trascina da molto tempo. Perché nessuno l'ha notato prima? Gli Austriaci, come il sottoscritto, l'hanno fatto, ma sono stati ignorati. Il problema della maggior parte delle persone e degli economisti mainstream in generale è che non capisce le meccaniche alla base del funzionamento di un'economia. Perché? Perché trasformano gli effetti in causa e viceversa. Perché? Perché in questo modo si può giustificare l'esistenza di architetture artificiali in grado di manipolare attivamente i fenomeni economici. Un privilegio non indifferente. Ecco che, inflazione e deflazione, assumono tutto un altro significato rispetto alle forze "naturali" che sono: diventano politicizzate, ovvero, diventano fenomeni violenti in risposta a storture e distorsioni cicliche. Se in un libero mercato l'inflazione non ha accezione etica, in un mercato manipolato, come quello in cui siamo immersi oggigiorno tra stati e banche centrali, essa acquisisce una connotazione etica: è una frode.

Quando viene creato nuovo denaro, esso entra nell'economia attraverso i settori pubblico, finanziario e aziendale. I primi destinatari lo ottengono prima che i prezzi salgano e questi ultimi salgono man mano che il denaro creato ex novo viene speso. La gente comune è sostanzialmente l'ultima ruota di questo carro, destinataria ultima del denaro creato ex novo e quasi sempre dopo che i prezzi sono già aumentati. Se il processo inflazionistico è continuato nel tempo, allora il potere d'acquisto in loro possesso verrà diluito a ritmo battente; ma anche se l'inflazione subisce colpi di arresto e poi riprende, i percettori primi ottengono pur sempre un vantaggio sul resto della popolazione in termini di potere d'acquisto e ripercussione sui prezzi. Infatti i primi destinatari spendono il denaro creato ex novo quando i prezzi sono ancora bassi e questa spesa li fa salire, poi il flusso monetario si fa strada attraverso l'economia in una distribuzione più generale e la gente comune affronta un mismatch tra salari nominali e reali. Nel frattempo i primi destinatari del denaro creato ex novo hanno guadagnato un maggiore potere d'acquisto reale, senza fare nulla per guadagnarlo, senza aggiungere niente alla produzione di ricchezza reale; avevano solo i "contatti" giusti.

In un tale ambiente di mercato, l'inflazione avvantaggia sempre e comunque coloro che ricevono per primi il denaro creato ex novo e svantaggia la gente comune. Inutile dire che nell'ambiente monetario fiat di oggi, le stesse persone che controllano il potere dell'inflazione sono quelle che possono beneficiarne direttamente. Il prodotto civetta, che keynesiani e monetaristi hanno cercato di riciclare nel tempo attraverso le loro strambe teorie, è che un po' d'inflazione fosse necessaria per stimolare l'economia; i keynesiani attraverso il pompaggio della domanda, mentre i monetaristi attraverso un aumento "rigido" dell'offerta di denaro secondo percentuali annue fisse. L'inflazione, e di conseguenza l'inflazione dei prezzi, vengono rese degli obiettivi, mentre le loro controparti, la deflazione e la deflazione dei prezzi, vengono demonizzate come latori di sciagure. Inflazione e deflazione sono due lati della stessa medaglia, strumenti di gestione delle informazioni di mercato che non possono assolutamente essere inquadrate in un quadro etico.

In realtà, l'inflazione non è del tutto necessaria per un'economia in crescita e prospera. È semplice: se i pianificatori monetari centrali non stampano denaro, i prezzi sono dettati completamente dal mercato; la concorrenza e l'innovazione fanno scendere i prezzi e per rimanere in attività le aziende devono realizzare un profitto; per realizzare un profitto devono attirare i clienti; per attirare i clienti devono offrire prodotti di qualità superiore a un prezzo inferiore rispetto ai loro concorrenti. Questo processo ha avuto luogo costantemente nel corso della storia economica. Ricchezza reale e crescita economica sono definite dal tenore di vita. Sebbene abbiano una componente soggettiva, il buon senso ci dice che esistono modi oggettivi per misurare il benessere materiale di un individuo (si veda il Capitolo 2 del libro di George Selgin, Less Than Zero: The Case for a Falling Price Level in a Growing Economy).

Prima di descrivere il punto in cui siamo arrivati oggi con l'inflazione dei prezzi, è bene mettere un punto fermo dal punto di vista teorico.


I DATI SENZA UNA TEORIA SONO SOLO RUMORE

La maggior parte degli economisti mainstream, se non tutti, ritiene che i dati storici siano la chiave per valutare lo stato dell'economia: se una statistica, come il prodotto interno lordo, o la produzione industriale, mostra un aumento visibile, l'economia è più forte; al contrario un calo del ritmo di crescita di suddetta statistica indica un indebolimento. Secondo questo modo di pensare le condizioni economiche vengono guidate dai fantomatici "dati", i quali non sono altro che una serie d'informazioni storiche. In The Philosophical Origins of Austrian Economics, David Gordon scrive che Eugen von Böhm-Bawerk sosteneva come i concetti impiegati in economia debbano per forza di cose provenire dai fatti della realtà ed essi, a loro volta, devono essere fatti risalire alla loro fonte ultima.

Qual è un'idea, o concetto, che soddisfa questi criteri? Gli esseri umani agiscono consapevolmente e intenzionalmente. Non si può andare più indietro di questa affermazione e altresì non può essere confutata, perché chiunque voglia farlo lo fa consapevolmente e intenzionalmente, cioè si contraddice. Mises, colui che inaugurò questo approccio, lo definì prasseologia: la consapevolezza che le azioni umane sono intenzionali consente di dare un senso ai dati storici. Ciononostante gli stessi economisti mainstream, incapaci di fornire una base solida ai dati che tanto lodano nel momento in cui essi vanno contro le loro tesi, e desiderosi di validare i loro metodi d'indagine controintuitivi, viziano le proprie analisi con metodi presi in prestito dalle scienze naturali. Secondo loro gli esperimenti di laboratorio potrebbero portare a un importante passo in avanti nella comprensione del mondo dell'economia. A tal proposito è utile citare Rothbard:

Questa metodologia, in breve, consiste nell'esaminare i fatti, quindi inquadrare ipotesi sempre più generali per rendere conto dei fatti, e quindi verificarle sperimentalmente tramite altre deduzioni da esse ricavate. Ma questo metodo è appropriato solo nelle scienze naturali, dove iniziamo conoscendo tutti i dati esterni e poi procediamo col nostro compito di tentare di trovare, il più fedelmente possibile, quelle leggi causali che governano il comportamento della cosa analizzata. Non abbiamo modo di conoscere direttamente queste leggi, ma fortunatamente possiamo verificarle eseguendo esperimenti di laboratorio per testare le proposizioni da essi dedotte. In tali esperimenti possiamo variare un fattore, mantenendo costanti tutti gli altri fattori rilevanti. Eppure il processo di accumulo delle conoscenze in fisica è sempre piuttosto tenue; e, come succede spesso man mano che ci spostiamo sempre più nel regno dell'astratto, aumentano le possibilità di spiegazioni alternative che spiegano meglio i fatti osservati e che possono sostituire le teorie vecchie.

Mentre gli esperimenti di laboratorio sono validi nelle scienze naturali, non lo sono in economia. Nello studio dell'azione umana, il procedimento corretto è il contrario: si inizia con gli assiomi primari. Sappiamo che gli esseri umani sono gli agenti causali, che le idee che adottano spontaneamente governano le loro azioni. Iniziamo quindi con la conoscenza completa degli assiomi astratti e possiamo quindi basarci su di essi per deduzione logica, introducendo assiomi sussidiari per limitare la portata dello studio alle applicazioni concrete. Inoltre, negli affari umani, l'esistenza del libero arbitrio ci impedisce di condurre esperimenti controllati, perché le idee e le valutazioni delle persone sono continuamente soggette a cambiamento, e quindi nulla può essere mantenuto costante. La corretta metodologia teorica nelle vicende umane, quindi, è il metodo assiomatico-deduttivo. Le leggi dedotte da questo metodo hanno un fondamento migliore rispetto a quello delle leggi della fisica, poiché le cause ultime sono conosciute direttamente come vere e sono vere anche le conseguenze.

Sebbene lo scienziato possa isolare varie particelle, non conosce le leggi che le governano. Non resta che ipotizzare sulla “vera legge” che regola il comportamento delle varie particelle individuate; non potrà mai essere certo delle “vere” leggi della natura.

Contrariamente alle scienze naturali, i fattori relativi all'azione umana non possono essere isolati e scomposti nei loro elementi più piccoli. In economia sappiamo che gli esseri umani agiscono consapevolmente e in modo mirato e questa conoscenza ci aiuta a capire meglio la materia che studiamo: il fatto che un individuo persegua azioni mirate implica che le cause nel mondo dell'economia provengano dagli esseri umani stessi e non da fattori esterni. Ad esempio, le spese individuali per beni/servizi non scaturiscono freddamente dal reddito reale in quanto tale: nel proprio contesto unico, ogni individuo decide quanto di un determinato reddito sarà utilizzato per i consumi e quanto per gli investimenti. Sebbene sia vero che le persone risponderanno ai cambiamenti dei loro redditi, la risposta non è automatica, proprio perché ogni individuo valuta l'aumento del reddito rispetto al particolare insieme di obiettivi che vuole raggiungere. Potrebbe decidere che sia più vantaggioso aumentare il suo investimento in asset finanziari piuttosto che aumentare i suoi consumi.

L'affidarsi ai dati storici come base per la formazione di un'opinione sullo stato dell'economia genera quindi confusione, perché tali dati non possono produrre molte informazioni sui fatti della realtà senza una teoria che "si regge con le proprie gambe" e non sia derivata dai dati stessi. Sarebbe altrimenti una tautologia. I vari metodi matematici e statistici, per quanto utili, non possono aiutare un analista a stabilire i rapporti di causa/effetto nel mondo dell'economia; tutto ciò che questi metodi possono fare è descrivere le cose. Per accertare le cause sottostanti, è necessaria una teoria logica e coerente. Ad esempio, secondo la teoria economica gli individui attribuiscono una maggiore importanza al consumo presente rispetto a quello futuro. Questa preferenza deriva dal fatto che per sopravvivere e promuovere il proprio benessere, le persone devono consumare nel presente piuttosto che nel futuro. Inutile sottolineare, quindi, che il tasso d'interesse, la manifestazione delle preferenze individuali, non potrà mai essere negativa. Da un "semplice" fatto del genere possiamo arrivare a concludere che le politiche delle banche centrali non sono affatto vincolanti come si vuole far credere o "onniscienti" come suggeriscono la analisi mainstream: sono il risultato di opinioni di un ristretto gruppo di persone che cerca d'imporle sul resto degli attori economici.

A maggior ragione si comprende, quindi, che la natura di queste politiche non è affatto genuina in quanto spontaneamente predominante nell'ambiente economico, bensì coercitivamente predominante. I tassi negativi sono la pistola fumante della natura inutile e dannosa del sistema bancario centrale.


AVVALORARE LA TEORIA COI DATI, NON VICEVERSA: IL CASO ITALIANO

Prendiamo come esempio l'Italia. Nel tempo abbiamo visto come il sistema bancario centrale abbia adottato misure di politica monetaria sempre più audaci per "contrastare" la deflazione dei prezzi, una piaga che secondo i vari presidenti che si sono alternati alla BCE rappresenta una bestia da domare e il cui primo ammaestratore è stato Milton Friedman.

Indice dei prezzi alla produzione in Italia

Infatti sono stati lui e il suo principale discepolo, Ben Bernanke, ad aprire l4e porte dell'attuale inferno inflazionistico. Sono stati loro a instillare la paura della deflazione tra i banchieri centrali, culminata nel pensiero di gruppo della "bassa inflazione" e che, a sua volta, ha favorito la stampa forsennata di denaro dell'ultimo decennio. Il fatto è che, quando l'Italia si unì alla moneta unica e schivò il proiettile d'argento del default alla fine degli anni '90, si ritrovò un'opportunità senza precedenti per una deflazione virtuosa. Vedersi garantito il proprio debito pubblico da una nazione più forte e che metteva a disposizione di tutti la reputazione forte della propria valuta, ovvero il marco tedesco, rappresentò un'occasione irripetibile di mettere i conti a posto sfruttando la credibilità altrui. Questo avrebbe permesso di sgonfiare il settore pubblico in bolla e di sostenere quello privato che vedeva sottrarsi risorse economiche preziose. Invece abbiamo visto l'esatto contrario: politiche fiscali pro-cicliche, ipertrofizzazione del settore pubblico e pieno sfruttamento della tragedia dei beni comune europea.

Il lassismo monetario della BCE, poi, ha fatto il resto. Il ritardo della trasmissione della politica monetaria all'economia più ampia non era più confinato a un singolo Paese, ovvero l'Italia, ma diluito in diversi altri e ciò ha inizialmente ammansito il ritmo della crescita dei prezzi al consumo e la proliferazione di errori economici conseguenti. Durante il periodo tra il 2000 e il 2010, l'indice dei prezzi al consumo è salito dell'1,5% annuo circa in Italia e il costo unitario del lavoro dello 0,1% circa; quest'ultimo elemento è quello più interessante perché dopo lo spartiacque della Grande Recessione europea del 2012, non è più andato sotto il trend dell'inflazione dei prezzi (salvo singoli e brevi casi). Ma dopo che Draghi ha inaugurato l'era dei quantitative easing europei, entrambe i numeri sono raddoppiati: negli ultimi dieci anni infatti l'IPC è salito del 3% annuo, provocando un aumento del costo unitario del lavoro 4% annuo.

Indice dei prezzi al consumo & costo unitario del lavoro in Italia

Inutile dire che si tratta di dati "ufficiali", mentre stime ufficiose, scevre da tutti gli artifici contabili nel calcolo del paniere dell'inflazione dei prezzi, pongono la salita a ritmi molto più alti. Senza contare il fenomeno Cina, ovvero lo svuotamento delle risaie dai contadini e il successivo popolamento delle industrie cinesi, le quali hanno invaso il mondo con beni e servizi a basso costo. Ma prima Draghi e poi la Lagarde non hanno permesso alle recessioni di fare il loro corso, pulire l'ambiente economico delle storture accumulatesi durante gli anni precedenti e permettere che salari, prezzi e costi interni si sgonfiassero. Tutti dovevano unirsi per combattere lo spauracchio della "deflazione dei prezzi", una crociata in nome di Milton Friedman secondo cui l'insufficiente pompaggio monetario da parte della FED durante il 1930-1933 causò la Grande Depressione. Il risultato è stato uno dei peggiori nell'intera storia economica: la BCE (insieme ad altre banche centrali) ha gonfiato in modo spropositato il proprio bilancio, passato da €800 miliardi a €8.800 miliardi dalla sua nascita fino a oggi (11X), quando invece non sarebbe dovuto aumentare quasi per niente. La continua misallocation di capitale era un'inevitabilità, la quale ha contribuito alla desertificazione industriale incalzante che, oltre alla delocalizzazione, ha visto un continuo flirt della bilancia commerciale con i disavanzi.

Vale a dire, la stupida politica di un'inflazione al 2,00% ha causato un ulteriore aumento del costo unitario del lavoro interno, gonfiando, piuttosto che sgonfiare, il divario tra il costo della produzione tra Italia e Cina.

Bilancio della BCE & bilancia commerciale italiana

Non solo suddetta delocalizzazione ha eliminato posti di lavoro ben pagati, ma, cosa ancora più importante, ha favorito l'illusione che non ci fossero conseguenze inflazionistiche per la folle stampa di denaro della BCE e che l'economia italiana soffrisse di una nuova "malattia" economica: la "bassa inflazione" definita come un deficit persistente dall'ormai sacro obiettivo al 2,00%. Ma tale fenomeno non è mai stato strutturale, solo la conseguenza una tantum della delocalizzazione e un artefatto della graduale evoluzione del ciclo globale delle merci.

E quanto descritto finora non ha preso in considerazione la crescita smisurata del debito pubblico italiano, il quale è salito da €1.800 miliardi a €2.800 miliardi, mentre il costo di gestione di questa impennata ha continuato a diminuire nel tempo. Ovvero, i politici italiani si sono ritrovati per le mani il sogno di qualsiasi cattivo debitore: quello che avrebbe dovuto essere un periodo di aumenti vertiginosi degli interessi passivi, ha invece visto un continuo avallo della sconsideratezza e irresponsabilità fiscale. Infatti se la BCE non avesse spazzolato nel proprio bilancio quantità indecenti di bond sovrani italiani e bond aziendali italiani, spingendo così i tassi d'interesse molto al di sotto dei livelli di compensazione del mercato, oggi staremmo parlando di un'altra storia. In parole povere, la BCE ha sovvenzionato la più grande esplosione di dissolutezza fiscale che l'Italia abbia mai visto.

Come vediamo dal grafico qui sotto, il rendimento del decennale italiano è passato dal 7% all'indomani della crisi del debito europea nel 2010 allo 0% circa nel 2021. C'è stato un momento in cui rendeva meno del decennale statunitense! Non solo, ma nonostante tutti i problemi attuali di ordine socio-economico parliamo ancora di un interesse reale del -4,4%! Prima della BCE e della tragedia dei beni comuni europea, la cosa che generava una misura decente di rettitudine fiscale era la paura dei politici che i bond vigilantes avrebbero reagito con indignazione all'aumento del crowding out da parte dello stato. Non più ormai. Dal luglio 2012, anno del whatever it takes di Draghi, il tasso di riferimento sui finanziamenti pubblici aggiustato all'inflazione è sceso in territorio negativo; nessuna paura di crowding out e nessuna rabbia da parte d'imprenditori e mutuatari.

Debito pubblico italiano & rendimento del decennale italiano

In conclusione, la massiccia produzione di credito fraudolento da parte della BCE ha generato una calamità fiscale.


IL SISTEMA BANCARIO CENTRALE VA ALLA CIECA

Il sistema bancario, quindi, man mano che ha reso predominante la sua presenza all'interno dell'ambiente economico attraverso manipolazioni distorcenti, ha creato intorno a sé una nebbia sempre più impenetrabile. Adesso, con un ambiente economico deformato e gravato da errori economici, non si ha più idea di quale possa essere una linea di politica consona a un briciolo di crescita economica. L'unica strategia è quella di affibbiare l'onere della correzione su quelle realtà che stanno peggio. Come descritto in altri articoli, è questo l'attuale scopo della FED nella sua campagna di rialzo dei tassi, non stabilizzare l'ambiente economico interno. I banchieri centrali sanno benissimo che per tornare ad avere un quadro economico vagamente prevedibile nel breve-medio periodo, c'è bisogno di pulizia. Pertanto, gli Stati Uniti in particolare, vogliono sfruttare la debolezza del resto del mondo e approfittarne per mettere a posto i propri conti. Perché possono approfittarne? Perché negli ultimi 50 anni l'economia mondiale ha sfruttato il dollaro, nello specifico il sistema eurodollaro offshore, per vivere al di sopra dei propri mezzi.

Spesso incapaci di commercializzare titoli denominati nelle proprie valute, molti mutuatari dei mercati emergenti si rivolgono a obbligazioni denominate in una delle principali valute estere, prevalentemente in dollari, per ottenere un migliore accesso ai mercati del credito globali (e la FED, fino alla Yellen, ha assecondato questo "gioco"). I pagamenti su tali obbligazioni vengono effettuati spendendo le proprie riserve di quella valuta o, più spesso, acquistando la valuta necessaria sul mercato aperto. Ciò rende suddetti mutuatari decisamente vulnerabili all'aumento dei tassi d'interesse, cosa che a loro volta fanno salire il relativo onere del debito. Ma questo è quello che i libri contabili ufficiali vedono... perché poi ci sono anche quelli ufficiosi, o facenti riferimento al sistema bancario ombra, i quali ci raccontano una storia molto più grande. Con la Federal Reserve che ha soppresso i tassi d'interesse negli ultimi dieci anni, gli investitori sono stati spinti nel debito dei mercati emergenti più rischiosi in quella che è stata a tutti gli effetti una ricerca di rendimenti decenti. Inutile dire che negli anni successivi alla Grande Recessione sono proliferati prestiti bancari transfrontalieri e obbligazioni societarie denominate in dollari. Alla fine del 2021 il debito totale dei mercati emergenti sforava la soglia dei $90.000 miliardi. Inutile dire che la campagna di rialzo dei tassi della FED sta diffondendo insolvenze sul credito a macchia d'olio.

Sebbene molte di queste crisi si stanno verificando, o si verificheranno, alla periferia dell'economia mondiale, e quindi ci si può aspettare che abbiano un impatto minimo su mercati più ampi, alcune di esse però hanno il potenziale per causare seri problemi. Il Pakistan sta vivendo la sua peggiore crisi politica: estrema carenza di carburante e cibo e inflazione fuori controllo. Le cose sono andate così male che a luglio è intervenuto (di nuovo) l'FMI. Il più grande creditore del Kenya, la Cina, ha rifiutato di offrire al Paese una riduzione del debito, mentre la sua posizione fiscale continua a deteriorarsi. Poi c'è l'Argentina, dove l'inflazione è ancora una volta fuori controllo, l'instabilità politica imperversa e le riserve di valuta estera sono in calo. Già adesso l'Egitto deve pagare interessi al 10% del suo PIL su un carico di debito al 100% del PIL, situazione che nei prossimi tempi peggiorerà vista l'elevata disoccupazione e l'onere fiscale impossibile da diminuire. E, tra le altre storie riguardanti i mercati emergenti, c'è soprattutto il Libano dove l'iperinflazione continua a causare danni enormi. Ma per quanto questi spillover della politica di rialzo dei tassi da parte della FED possano essere considerati "danni collaterali", il vero obiettivo è l'Europa: l'epicentro mondiale della ristrutturazione di un sistema socio-economico che ha raggiunto la sua data di scadenza. La Grecia mostra ancora un 30% di disoccupazione giovanile, un rapporto debito/PIL del 210% e pagamenti degli interessi sul debito oltre il 6% del suo PIL. Ma, come abbiamo visto nella sezione precedente, l'Italia è il vero morto che cammina, con la BCE che ha posto un tetto ai rendimenti obbligazionari italiani per impedire l'ulteriore allargamento degli spread del debito.

Sebbene ogni caso abbia le sue specificità, i cosiddetti fattori generali che contribuiscono alla sistematicità di una crisi che deve affrontare ogni Paese debitore sono: un debito elevato e in crescita in rapporto al PIL, ampi deficit strutturali, cattiva gestione monetaria, disallineamento delle scadenze, settore privato indebitato, carico fiscale in ascesa e dipendenza dalle riserve monetarie estere o da finanziamenti a breve termine per coprire le importazioni. Quella a cui assistiamo non è solo una bancarotta d'istituzioni zombi che hanno parassitato il bacino della ricchezza reale, stiamo assistendo al fallimento delle concetto di mondo fiat e d'interventismo attivo per risolvere i problemi della società. Volenti o nolenti, siamo infine messi di fronte ai frutti marcescenti che questo percorso ha prodotto nel corso del tempo: dal degrado economico/monetario a quello socio-culturale. Di conseguenza, per quanto alcuni pianificatori centrali stiano spingendo per un Grande Reset, mentre altri per un ritorno allo status quo pre-2020, l'inevitabile risultato finale sarà solo uno: Grande Default.


CONCLUSIONE

Molti economisti e analisti pensano che la minaccia sia finita: vedono il "picco dell'inflazione" alle spalle e ritengono che le banche centrali possano tornare a fare quello che sanno fare meglio, ovvero, consegnare messaggi rilassati ai mercati finanziari attraverso nuove misure di allentamento. Questo qui è un pezzo dello scorso maggio. Vi dà l'idea di quanto siano confusi la maggior parte dei consulenti finanziari quando si tratta di teoria economica coerente e logica. Ecco perché ho pubblicato il mio libro "La fine delle fallacie economiche", in modo da spiegare in modo semplice e diretto come intendere l'ambiente economico che ci circonda attraverso un metodo d'analisi logico e coerente. Applichiamolo anche adesso. In primo luogo, la visione generalmente accettata dell'inflazione è probabilmente per lo più corretta: aggiungete più "denaro" e i prezzi saliranno. C'è molto di più, ovviamente, ma se si entra troppo nei dettagli è probabile che il lettore perda il punto principale.

La maggior parte del denaro stampato dal sistema bancario centrale è finito nel circuito finanziario (perché le banche centrali usano il denaro ex novo per acquistare obbligazioni), facendo aumentare i prezzi degli asset finanziari. Questi ultimi sono diversi dagli articoli di consumo: se possedete un'azione del valore di $100, avete un diritto di prelazione su beni e servizi per un valore di $100; se arriva a $200, potete acquistare il doppio di beni e servizi. Il problema è che la produzione di beni e servizi non si è avvicinata all'aumento dello stock di denaro. Quindi, poiché i prezzi degli asset finanziari sono aumentati, molte persone hanno rivendicato beni e servizi che non esistevano. Potremmo chiamarla corsa agli sportelli finanziari...

Risolvere questo squilibrio significa deflazione per alcuni asset e inflazione per altri. In un modo o nell'altro, i prezzi degli asset finanziari devono tornare in linea con i beni e i servizi disponibili. Il calo dei prezzi degli asset finanziari (deflazione) riduce i diritti di prelazione degli investitori sulla produzione reale. Nel frattempo l'aumento degli articoli di consumo aiuta a correggere lo squilibrio: un tasso d'inflazione del 100%, ad esempio, dimezza il valore dei prezzi degli asset ogni anno.

Aumento dei prezzi al consumo da un lato, prezzi degli asset finanziari dall'altro... e famiglie, investitori e piccole/medie imprese schiacciati nel mezzo.


2 commenti:

  1. La campagna elettorale è stata pregna di promesse e discussioni riguardo un taglio delle tasse. Obiettivo sacrosanto, ma c'è sempre la fregatura quando si tratta di politica e promesse politiche. Si pensa che una volta allentate le pastoie fiscali, il sacro moltiplicatore keynesiano farà il suo corso e stimolerà la domanda per consumi permettendo, quindi, all'economia di riprendersi e viaggiare su binari sostenibili. Il problema di questo approccio è che presume erroneamente che sia la domanda dei consumatori a muovere la produzione e l'economia in generale; infatti secondo questo modo di pensare il risparmio è un veleno, quando invece esso è la base critica senza la quale è impossibile avere un processo produttivo e un'architettura dell'allocazione del capitale sostenibile e prospera.

    Abbassare le tasse, quindi, è un mero palliativo, solo metà della "cura". Infatti cosa significa abbassare le tasse? Significa che gli individui dovrebbero avere un maggiore accesso al bacino della ricchezza reale e l'unico modo in cui ciò può essere reso possibile è ridurre drasticamente il prelievo dello stato su di esso. Detto in modo semplice, deve essere ridotta la spesa pubblica. Quando lo stato decide di promuovere una particolare attività, ciò significa che fornirà denaro a vari individui impegnati a svilupparla. Lo stato però non crea ricchezza reale, poiché fa affidamento sulle sue fonti di finanziamento nel settore privato (inutile dirlo, se potesse crearla, non avrebbe bisogno di tassare il settore privato).

    Non è possibile avere un taglio delle tasse effettivo ed efficace senza un taglio della spesa pubblica. Un presunto taglio delle tasse mentre la spesa pubblica continua a salire è solo un raggiro.

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  2. Data la confusione che di tanto in tanto noto sul tema del denaro, propongo i seguenti punti chiave per permettere una comprensione rapida ed esaustiva:

    1) Il denaro è la merce più commerciata, il mezzo di scambio universalmente accettato.

    2) Il denaro, che ha solo valore d'uso ed è derivato dal suo potere d'acquisto, è una merce e, in quanto tale, la determinazione del valore rientra nella legge dell'utilità marginale decrescente.

    3) Nessun aumento dell'offerta di denaro può migliorarne la funzione monetaria. Un aumento dell'offerta di denaro non farà che diluire l'efficacia di ciascuna unità come mezzo di scambio. In altre parole: un aumento della quantità di denaro non porta alcun beneficio sociale; qualsiasi quantità di denaro che esiste in un dato momento è ottimale.

    4) Carl Menger dimostrò che il denaro ha origine dal libero mercato, adottato volontariamente da persone con scopi "egoistici". La teoria di Menger ricevette in seguito un rigoroso fondamento logico da Ludwig von Mises con il suo cosiddetto Teorema della regressione.

    5) Esiste un fenomeno nel regno dell'azione umana chiamato preferenza temporale: le persone valutano un bene disponibile oggi più dello stesso bene (nelle stesse condizioni) in un momento successivo. La preferenza temporale si manifesta come tasso d'interesse reale: lo sconto che subisce il valore di un bene futuro rispetto al valore di un bene presente. Se le persone compreranno oggi o posticiperanno il loro acquisto dipende dal concetto di utilità marginale.

    6) Il denaro fiat, o denaro imposto con la violenza, è inflazionistico: perde potere d'acquisto nel tempo. Il denaro fiat avvantaggia alcuni a spese di molti altri, quindi possiamo dire che è socialmente ingiusto. Il denaro fiat alimenta la violenza dei cicli boom/bust. Il denaro fiat porta al sovraindebitamento: l'espansione del credito e l'onere del debito delle economie supera la crescita del reddito. Il denaro fiat permette allo stato di diventare sempre più grande, rende le guerre a buon mercato e tutto questo a scapito delle libertà civili, aprendo la strada alla tirannia.

    7) L'idea di banca centrale – e, per estensione, di denaro fiat, sia in forma fisica che digitale – non è un concetto capitalista ma marxista. Nel suo “Manifesto del Partito Comunista” (1848) Karl Marx invoca misure – con le quali intendeva invasioni dispotiche dei diritti di proprietà – “inevitabili come mezzo per rivoluzionare completamente il modo di produzione”, cioè la realizzazione del socialismo-comunismo.
    La quinta misura di Marx recita: "Centralizzazione del credito nelle mani dello Stato, per mezzo di una banca nazionale con capitale statale e monopolio esclusivo".

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