venerdì 26 settembre 2025

Dove mettere i propri soldi?

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/dove-mettere-i-propri-soldi)

Oggi ci prendiamo una pausa dalle solite analisi macroeconomiche e geopolitiche per concentrarci su qualcosa di specifico: cosa fare con i propri soldi ora.

Nel mondo degli asset fisici la preferenza dovrebbero sempre averla terreni o aziende private, ma non si può acquistare nessuna delle due a caso. Bisogna avere una ragione, un piano, uno scopo, un modo per gestirle e farle fruttare. E poiché tempo ed energie sono limitati e l'attenzione è costantemente impegnata altrove, spesso non è possibile farlo. Un'azienda è la soluzione migliore. Esse, sia private che pubbliche (quelle quotate in borsa), sono dove si trovano i veri soldi. Potete tenere un'oncia d'oro o un bitcoin da qui all'eternità; avrete sempre solo un'oncia d'oro o un bitcoin.

Una casa è molto peggio. Per avere ancora una casa tra 20, 50, o 100 anni, dovete mantenerla in buone condizioni: assicurazione, tasse, tetto nuovo, moquette nuova, ecc. Rappresenta un posto dove vivere, non un investimento.

Le aziende vi danno qualcosa in più. Combinano lavoro, competenza, fortuna e risorse – tutte cose che hanno un costo – e offrono un prodotto, o un servizio, che vale più degli ingredienti che lo compongono. Questo è il profitto, il quale è al centro del capitalismo e del progresso materiale. È anche il modo in cui la maggior parte delle persone si arricchisce. Immergono i loro bicchieri in quel flusso di profitti e riempiono le proprie riserve di ricchezza. A questo proposito, le aziende private sono molto meglio delle aziende pubbliche: si può godere personalmente del reddito, dei benefit aziendali e delle detrazioni fiscali.

Le aziende grandi, sia private che pubbliche, raramente sono redditizie per gli investitori esterni: invece di ottenerne il 100% degli utili, si è fortunati se si ottiene un rendimento da dividendi del 3%. E forse il titolo salirà... o forse no. In una grande azienda è molto difficile contenere i costi e ai vertici la tentazione di spendere soldi per costruire imperi, nuove tecnologie, dipendenti superflui, incentivi, pensioni, acquisizioni, sedi centrali di lusso, jet aziendali e così via è opprimente. Ci sono anche gli inevitabili costi legali, contabili e delle pubbliche relazioni derivanti dall'essere quotati in borsa. A meno che il management non sia diligente e determinato, i costi aumenteranno per raggiungere il livello di reddito (o superarlo!) indicato dalle normative e i dipendenti avranno sempre una scusa per scioperare.

Tuttavia Archer Daniels Midland avrebbe trasformato un investimento da $1 nel 1925 in oltre $50.000 oggi e John Deere avrebbe tirato fuori più di $70.000 con un investimento da $1. Ciononostante una serie di professori di finanza dell'Arizona ha concluso che oltre il 50% delle azioni “ha avuto rendimenti cumulativi negativi” nel lungo periodo e gli studi dimostrano che pochissime aziende producono effettivamente guadagni che cambiano la vita degli investitori esterni. Oltre il 50% delle azioni perde denaro; meno del 4% è responsabile di tutti i guadagni delle azioni nel lungo periodo. Questa distribuzione asimmetrica dei rendimenti è nota come “asimmetria positiva”, in cui pochi titoli vincenti superano la media mentre la stragrande maggioranza dei titoli ha rendimenti negativi.

È quasi miracoloso che qualcuno di loro emerga come vincitore. La riserva di capitale privato, gestita da professionisti seri, è ampia quanto l'Atlantico. Gli azionisti quotano le loro aziende solo perché credono che gli investitori amatoriali pagheranno di più rispetto ai professionisti, quindi le azioni vengono spesso acquistate a prezzi superiori al loro valore reale.

A Wall Street si dice che “si guadagna quando si compra”. Il problema è che si perde anche quando si compra... soprattutto quando si paga troppo.

Tuttavia le aziende che generano profitto e aumentano la ricchezza si trovano ora dove vogliamo davvero che siano. Il trucco è comprarle a prezzi ragionevoli e per questo cerchiamo situazioni eccezionali in cui ulteriori ricerche su un settore scarsamente analizzato scoprono rare opportunità. Oppure, più in generale, ci possiamo affidare al modello Dow/Oro per sapere quando le azioni, in generale, sono abbastanza convenienti da poter essere acquistate. Dal punto di vista dell'allocazione super prudente è stato possibile rimanere in disparte per quasi tre decenni, osservando il rapporto Dow/Oro scendere da oltre 40 a 12,5. In quel periodo ci si è persi la coda della bolla delle dot.com, la bolla immobiliare del 2007/2008 e l'ultima bolla speculativa dopo la corsa degli stimoli fiscali durante i lockdown. Le azioni sono schizzate in su, sono scese e sono risalite di nuovo. “Comprate i ribassi”, dicevano gli speculatori. Gli investitori del mercato azionario, che hanno resistito nel bene e nel male, ora hanno asset che valgono circa quattro volte di più rispetto a quando hanno iniziato (nel 2000).

Ciò che è realmente accaduto, ovviamente, è che le valute fiat sono scese. In termini di beni e servizi offerti, le società quotate in borsa non valgono molto di più di quanto valessero nel 2000. L'oro è ancora al numero 79 della tavola periodica e non è nemmeno salito di prezzo... è tutto il resto che è sceso. E dobbiamo aspettare ancora che il rapporto Dow/Oro scenda intorno ai cinque, o che il prezzo dell'oro raddoppi da qui in poi, o che le azioni calino... oppure che si incontrino da qualche parte nel mezzo. Aspettare non è molto eccitante, dopotutto avreste potuto comprare Nvidia! Ciononostante si è stati ben ripagati per l'attesa, quindi poco importa: l'oro è salito di circa 13 volte sin dal 2000, più di tre volte rispetto alle azioni, e del 180% da quando questo blog l'ha consigliato ai lettori.

Nel frattempo dove investire nuovi capitali? Le azioni sono così costose che è probabile che i guadagni siano limitati, o addirittura negativi, nei prossimi cinque anni. E l'oro è già salito da circa $270 a $3.650 oggi. Sarebbe ingratitudine aspettarsi di più?

Nel mondo finanziario la vicinanza è sinonimo di prosperità: più si conosce un'azienda, e più ci si è vicini, più è probabile che si guadagni. Ma queste opportunità non sono accessibili a tutti e non sono accessibili sempre a chiunque. La maggior parte di noi non ha un amico che lavora nel garage dei genitori e che sta costruendo qualcosa che chiama “personal computer”. Di conseguenza dobbiamo entrare nei mercati “pubblici” e prendere decisioni riguardo la cosiddetta “allocazione”. In altre parole, dobbiamo scegliere tra un'ampia categoria di investimenti a cui noi, come investitori, possiamo partecipare. Azioni? Obbligazioni? Oro? Materie prime? Immobili?

Una delle preferenze che dovrebbe spiccare è per i terreni agricoli. Ma, ancora una volta, bisogna sapere cosa si sta facendo ed essere pronti a gestirli in modo che siano redditizi. Non è facile! In Italia i terreni coltivabili si vendono in media a circa €20.000-25.000 l'ettaro (€1-4,5 il metro quadro). Gli affitti sono relativamente bassi, a quanto si dice tra i €170 e i €3000 l'ettaro l'anno, lasciando al proprietario un piccolo ritorno sul suo capitale. Per ottenere risultati migliori bisognerebbe dedicarsi all'agricoltura, un settore notoriamente a basso rendimento e ad alto rischio... e per i dilettanti, quasi sempre un modo per perdere denaro.

“È l'occhio del padrone che ingrassa il cavallo”, dicono gli allevatori. Che investa in società minerarie, Iofferte pubbliche iniziali, o terreni agricoli è l'investitore presente sul posto, che ha anni di esperienza, i cui occhi raramente si staccano dal campo di gioco, che avrà successo. L'agricoltura, forse più di altri settori, è un “gioco per perdenti”. I dilettanti perdono perché non sanno cosa stanno facendo, ma il modo per vincere in agricoltura è semplicemente non perdere. È un'attività in cui lampi di genio e idee “fuori dagli schemi” difficilmente danno i loro frutti. Ci sono pochi “successi al botteghino” nei campi di grano. L'agricoltore di successo è quello che rimane nei suoi schemi, si attiene a ciò che è già stato sperimentato e non commette errori. Si prende cura delle sue attrezzature; si alza presto per occuparsi dei raccolti; non è mai in ritardo di un giorno... e non ha mai un soldo in meno. Poi, se è fortunato, i prezzi dei suoi prodotti salgono, appena prima di venderli.

E gli immobili commerciali?

Negli ultimi cinque anni gli edifici si sono svuotati e ce ne sono ancora molti vuoti come il cappello di un mendicante. Gli immobili commerciali nella maggior parte delle città sono ancora a buon mercato. I proprietari se ne stanno lì – se possono permetterselo – e sperano che il mercato cambi, ma il valore degli edifici commerciali dipende dagli affitti e questi ultimi sono destinati a calare, forse in modo permanente. Anche gli immobili commerciali, come i terreni agricoli, sono una questione strettamente locale. Se riuscite a trovare un buon immobile, in buone condizioni, con un inquilino affidabile e un flusso di cassa decente – e potete tenerlo d'occhio – potrebbe essere un buon posto per i vostri soldi.

E i bond?

Beh, qui il discorso si fa interessante perché il panorama obbligazionario non è assolutamente tutto uguale. Da quando gli USA hanno iniziato ad aggiustare l'equazione monetaria/fiscale della nazione hanno mostrato quanto fossero disfunzionali tutte le altre economie. Questo ha inevitabilmente attratto i capitali negli Stati Uniti, perché i suoi mercati sono profondi e liquidi, e la sua infrastruttura finanziaria e legale è migliore insieme a una miriade di altre cose. Gli Stati Uniti, quindi, stanno aggiustando le cose in patria mentre l'UE sta raddoppiando gli sforzi sulla propria disfunzionalità perché è consapevole che non può percorrere lo stesso percorso intrapreso dagli USA. E questo è mostrato dal mercato obbligazionario e dai differenziali di rendimento dei titoli sovrani. Sono questi ultimi che contano, non tanto i valori assoluti dei titoli sovrani. La forchetta tra il trentennale americano e tedesco, ad esempio, ha continuato a chiudersi sempre di più negli ultimi mesi. Il differenziale tra gli USA e UK si sta espandendo, mentre quello tra USA e Germania si sta restringendo. Stesso discorso con quello francese. Indovinate quale invece sta andando contro corrente? Quello italiano. Per quanto paradossale possa sembrare, l'Italia sta diventando il “porto sicuro” in Europa grazie alla vicinanza con gli USA.

E tra tassi alti e dollaro debole, è solo una questione di tempo prima che questo processo porti suddette disfunzionalità europee a un livello critico da far affondare non solo i vari governi, ma soprattutto l'euro.

L'UE ha bisogno della guerra, sia ai risparmiatori che cinetica, per sopravvivere e coprire i propri “difetti di fabbrica” (emersi platealmente sin dalla crisi greca 15 anni fa). Se non ci sarà, e una dopo l'altra le tessere del domino europeo inizieranno a cadere, i fondi pensione saranno i primi a saltare. Quando nel 2014 la BCE ha avviato la NIRP ha praticamente prosciugato di equity banche e fondi pensione. Questi ultimi “sono costretti” a detenere bond sovrani europei per il 70% del loro bilancio. I tassi negativi hanno spazzati via i loro bilanci, letteralmente. Adesso si tratta di non far scappare i buoi dalla stalla prima che realizzino di essere loro a dover andare al macello. Tra l'altro dalla crisi greca nessuno ha imparato niente, nemmeno come funziona il sistema stesso dell'UE. Data la pletora di bond sovrani europei che le banche sono costrette a detenere, il contagio tra di esse è assicurato in caso di stress finanziario. E questo chiarisce ulteriormente il motivo per cui l'UE vuole la guerra, sia cinetica che ai risparmiatori, in modo da creare attraverso di essa l'utopia di un ente fiscale unico con cui emettere debito unico, schivando (temporaneamente) il proiettile d'argento della bancarotta.

Gli Stati Uniti devono ancora risolvere un sacco di problemi che sono piovuti loro addosso sin dal 2020 e non possono essere risolti durante un solo ciclo monetario. Infatti non è possibile sistemare i danni che sono stati causati durante “l'emergenza sanitaria” in un solo ciclo monetario. Il Paese si sta riorganizzando: sta cambiando il modo in cui si finanzia e il modo in cui la politica monetaria viene trasmessa all'economia più ampia. Tutti quegli strumenti che la FED ha impiegato dopo il 2008 (pronti contro termine inversi, ecc.) vengono smantellati. Ad esempio, a Jackson Hole Powell ha praticamente cestinato la regola del “2% d'inflazione come obiettivo” (flexible targeting). Quello che ha fatto finora è stato tenere i tassi alti e restringere il differenziale di debito degli USA rispetto a quello di tutti gli altri, mentre il resto del mondo ha tagliato insistentemente i tassi. Infatti  le altre economie del mondo sono in guai seri, peggiori di quelli degli USA.

Ciò che c'è ora è un ambiente inflazionistico per le commodity e deflazionistico per il credito. Questo è il tipo di stagflazione in essere, non il ciarpame come determinato dalla Phillips Curve. La liquidità sta scorrendo fuori dagli asset finanziari fino agli strati più bassi della piramide del capitale, laddove le supply chain ne hanno più bisogno per rimarginarsi. La base di suddetta piramide è caratterizzata dai fattori di produzione di grandezza inferiore (es. materie prime, ecc.), mentre l'apice è caratterizzata da fattori di produzione di ordine superiore (es. beni intermedi, semi-lavorati, fino ai beni di consumo finiti). Affinché i produttori si muovano dal basso verso l'alto nel modo più corretto possibile, ci deve essere una determinazione onesta del rischio e questo a sua volta significa tassi d'interesse che riflettono la condizione di credito reale dell'economia. I cicli si susseguono andando su e giù lungo la sopraccitata piramide. Un ambiente stagflazionistico significa che c'è troppo credito in giro e deve essere contratto (rallentamento dell'attività economica, riorganizzazione, disoccupazione, ecc.) in modo che si possa iniziare un nuovo ciclo.

Quello che finora ha fatto la FED è stato restringere quanto più possibile tutto quel credito che è stato creato in eccesso durante i lockdown. Ancora non ha terminato tale compito e non può terminarlo in un solo ciclo del credito senza “rompere” qualcosa. Ecco perché Powell ha tagliato i tassi nell'ultima riunione del FOMC (non necessariamente significa più denaro, bensì denaro che costa un po' di meno rispetto a ieri), in modo da aiutare le piccole/medie banche che hanno ancora grossi buchi nei loro bilanci. Questo, oltre alla dismissione della Supplemental Leverage Ratio, permetterà loro di far scorrere meglio il credito nel Paese per dare sollievo anche alle piccole/medie imprese, aiutate anche da un politica fiscale più lasca e una deregolamentazione (si spera) quanto più libera dalle intromissioni dei giudici. A proposito della prima, poi, ci sono due notizie che ne confermano la presenza: le aste per i titoli sovrani americani continuano a far segnare delle ottime sessioni, alla faccia degli “spacciatori di catastrofi” secondo cui questa estate avrebbe segnato un disastro per le finanze statunitensi (le ultime aste per i titoli a 3, 5, 20 e 30 anni sono andate alla grande, questo accade quando non si ha idea del processo in corso, o non la si vuole avere, e si commentano a sproposito i singoli fatti); diversamente da quello che avete ascoltato dai media generalisti, e che invece avete letto su queste pagine, la legge di bilancio non era affatto così terribile come veniva raffigurata PRIMA della sua approvazione... anzi...

Menzione finale per il comparto energetico. Fin dal 2020 abbiamo vissuto in un ambiente economico in cui la componente energetica ha trainato principalmente i prezzi al consumo (commodity push inflation), infatti i futures sulla benzina e l'indice dei prezzi al consumo a 4 mesi si muovevano in sincronia. Adesso qualcosa pare essere cambiato visto che i due stanno divergendo (soprattutto nell'ultima lettura dove i futures sopraccitati sono scesi, mentre l'IPC è salito). Ciò che è salito invece è l'elettricità e questo mi fa pensare che l'economia statunitense, in particolare, si sta spostando in un ambiente in cui i prezzi saranno determinati principalmente dall'energia elettrica (demand push inflation). In sintesi, fame di credito al consumo (e non più di natura finanziaria), spese in conto capitale e spinta industriale. Tutto ciò è una manna per commodities come argento e rame, ad esempio.

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