venerdì 4 giugno 2021

Dalla Grande Recessione alla Grande Disintegrazione

 

 

di Francesco Simoncelli 

Lo scorso gennaio i lettori di questo blog hanno potuto leggere quella che io ho definito "Legge di Simoncelli", in cui, applicando i principi della Scuola Austriaca, ho voluto dimostrare come il crowding-out delle risorse economiche non avviene solo a livello fisico/materiale, ma anche a livello delle idee. Nell'articolo di oggi proporrò la dimostrazione pratica di quella Legge per quanto riguarda il mondo fisico, poi la settimana prossima parleremo invece del mondo delle idee. In questo contesto, quindi, è utile ricordare che nel momento in cui un'entità centrale si intromette nella struttura di produzione della società, alterando quindi gli esiti della miriade di scambi che avvengono giornalmente, emergono mismatch nell'allocazione delle risorse economiche scarse. Tali disconnessioni hanno conseguenze inizialmente minime, ma vengono rinforzate dal persistere di suddetto interventismo. Il risultato deleterio si palesa visibilmente quando gli errori che ne derivano si fanno talmente grandi da richiedere una correzione necessaria attraverso una recessione. L'urgenza del processo correttivo viene segnalata dalla progressiva gravità di sovrabbondanze e carenze all'interno dell'ambiente economico, fenomeno che se viene portato all'estremo avrà come risultato una rottura definitiva del tessuto produttivo.

L'allocazione genuina delle risorse economiche, sia quelle inanimate che animate, è l'unica costante all'interno dell'ambiente economico data l'estrema variabilità dell'essere umano. Perché? Perché esiste la scarsità e l'esperienza della rivoluzione industriale ha dimostrato che il capitalismo di libero mercato è risultato il mezzo più efficiente per permettere all'essere umano di sconfiggere lo stato di natura. Oggi tale lezione pare essersi sciolta nell'ammasso tsunamico di chiacchiere da parte dei banchieri centrali, i quali si sono arrogati il diritto di poter dirigere "efficacemente" l'intera economia. In realtà, tale "diritto" è una conseguenza inevitabile dell'interventismo sempre più capillare a cui un'entità centrale deve ricorrere per tenere in piedi l'architettura costruita nel tempo per arrogarsi privilegi e vantaggi a scapito degli altri. Il costo? Distorsioni sempre più preponderanti, un peso progressivamente insostenibile per il bacino della ricchezza reale. Questa "volontà" di continua intromissione all'interno dell'ambiente economico, nonostante le nefaste conseguenze per la popolazione nel suo complesso, è perfettamente incorniciata dalla trasformazione della Federal Reserve nel corso del tempo (ma anche dal sistema bancario centrale nel suo complesso).

Dagli anni '70 fino alla fine degli anni 2000 se la Federal Reserve fosse stata preoccupata da una recessione incombente, avrebbe attuato una politica monetaria espansiva: creare nuovo denaro ed usarlo per acquistare asset (solitamente titoli di stato a breve termine) nel mercato secondario. Gli investitori che vendevano le obbligazioni alla FED avrebbero visto aumentare i loro conti bancari e ciò sua volta avrebbe aumentato le riserve totali nel sistema bancario. Quest'ultimo avrebbe risposto aumentando l'intermediazione finanziaria: approvare nuovi prestiti che sarebbero poi stati incanalati in investimenti. Il nuovo denaro avrebbe aumentato la domanda di beni e servizi, riducendo i rischi di recessione ma facendo anche salire l'inflazione dei prezzi. La politica monetaria restrittiva funzionava nel modo inverso: la FED avrebbe venduto obbligazioni ritirando denaro. Le riserve bancarie sarebbero scese e, ovviamente, l'intermediazione finanziaria sarebbe calata. Nel caso in cui la FED fosse stata preoccupata per un'inflazione eccessivamente alta, avrebbe fatto ricorso ad una politica monetaria restrittiva.

Con la crisi del 2008, però, c'è stato un grande cambiamento nel modo in cui la FED conduce la politica monetaria: essa non tenta di influenzare le variabili macroeconomiche modificando la quantità di riserve nel sistema bancario, invece interviene su uno dei suoi tassi d'interesse amministrati (IOER). L'idea originale alla base della FED era quella di una stanza di compensazione, o banca dei banchieri. Sebbene abbia ancora alcune di queste caratteristiche, all'indomani delle turbolenze che hanno dilaniato i mercati nel 2008, la FED chiese e ricevette dal Congresso il permesso di pagare interessi alle banche che detenevano depositi presso di essa superiori al minimo richiesto dalla legge. Modificando questo tasso amministrato (leggasi non di mercato), la FED ha potuto modificare gli incentivi per le banche nell'intermediazione finanziaria. In altre parole, non esiste più un collegamento diretto tra la quantità totale di riserve bancarie e l'attività economica complessiva. Se la FED vuole attuare una politica espansiva, abbassa il tasso pagato sulle riserve in eccesso, ciò riduce l'incentivo per le banche a detenere riserve presso di essa (vengono pagate di meno) e aumenta l'incentivo nell'intermediazione finanziaria. Se invece vuole attuare una politica monetaria restrittiva, aumenta il tasso pagato sulle riserve in eccesso: ciò aumenta l'incentivo per le banche a detenere riserve presso la FED (vengono pagate di più) e riduce l'incentivo nell'intermediazione finanziaria.

Quanto conta questo cambiamento? Tanto. Il vecchio modo di condurre la politica monetaria comportava costi immediati, quindi la FED sarebbe stata costretta a ridimensionarsi rapidamente. Ora il legame tra politica monetaria espansiva e risultati indesiderabili, come l'aumento dell'inflazione, è molto più debole: la FED può stampare denaro, acquistare qualsiasi asset desideri e quindi impedire che tali acquisti abbiano conseguenze macroeconomiche indesiderabili pagando interessi sulle riserve in eccesso. Ciò significa che la FED ora ha un grado molto più elevato di libertà nell'allocazione preferenziale del credito (es. come accaduto per i MBS), senza contare che ha concesso prestiti di emergenza a banche ammanicate a livello politico senza alcun riguardo per la loro solvibilità effettiva.

Il tallone d'Achille? Ha continuato ad abusare di questo potere soprattutto nell'ultimo anno, dove ha concesso prestiti diretti ad organizzazioni non finanziarie, grandi società e governi locali. Sebbene l'entità di queste scelte non sia ancora grande, è stato stabilito un pericoloso precedente: in caso di turbolenze sul mercato, la FED può fornire liquidità ma anche allocare credito. 

In altre parole, ha smesso di attuare esclusivamente la politica monetaria, sforando nella politica fiscale. E qual è stato il risultato? Nonostante la maggiore presa di controllo che in teoria avrebbe dovuto fornire un benessere relativo all'economia in generale, e uno assoluto ai clientes della pianificazione centrale, l'ambiente economico si sta atrofizzando ancora di più rispetto a prima. La crescita economica continua ad essere latitante, poiché l'allocazione scadente del credito viene assegnata dalla politica, non dal sistema profitto/perdite. La FED diventerà un agente meno efficace nel "combattere" le recessioni e correrà sempre più il rischio di perdere il controllo, fenomeno ormai palese se guardiamo al caos nel mercato dei pronti contro termine; e questo riguarda anche il sistema bancario centrale in generale, dato che il problema è che il nuovo quadro operativo offre troppe opportunità per funzionari pubblici e burocrati di immischiarsi in affari che esulano dalle loro competenze.


CARENZE

Più l'energia di una società è "investita" da funzionari pubblici e burocrati (piuttosto che da investitori privati con una motivazione di profitto), minore è il rendimento. È più probabile che gli "investimenti" statali siano trasferimenti del welfare sotto mentite spoglie, o peggio cattedrali nel deserto. In entrambi i casi, il rendimento reale è in genere inferiore allo zero. Ricordate, quando le persone possono lavorare, risparmiare, investire ed innovare senza interferenze, prosperano; ma quando sono manipolate, detenute, ingannate od ostacolate nei loro progetti, la società diventa più povera. Atrofizzazione economica e conseguente zombificazione sono il risultato. La spesa pubblica rappresenta un indicatore approssimativo di quale percentuale della popolazione consuma la ricchezza reale e, in generale, più zombi ci sono minore è la ricchezza della società.

Fonte: spesa pubblica USA in percentuale del PIL

Inutile dire che, sebbene le chiusure dell'ultimo anno abbiano senza dubbio contribuito ulteriormente a mandare nel caos le supply chain globali, il loro abbattimento parte da lontano ed è incarnato dal moltiplicarsi degli zombi all'interno dell'ambiente economico. Le carenze che vediamo oggi in vari settori industriali (componenti per auto, materie prime, chip e altri) sono fondamentalmente figlie della misallocation emersa sulla scia della trasformazione del settore bancario centrale in un market maker uber alles. Malgrado ci siano previsioni che vedono la fine di queste carenze tra la fine di quest'anno e il prossimo, la causa di ciò rimane ancora in piedi e pronta a raddoppiare i propri sforzi per mantenere a galla il suo sistema di clientes. Anche perché i processi di mercato avvengono lentamente e con un certo lag di tempo rispetto alle distorsioni che li danno origine, ma una volta innescati sono inesorabili ed agiscono come una slavina. I lockdown sono stati semplicemente il colpo di grazia. L'economia è uno strumento accordato all'unisono, invece i burocrati potrebbero pensare che sia una semplice interruttore che si può accendere/spegnere.

E questo, ovviamente, porterà ad una spirale inflazionistica dei prezzi auto-rinforzante. Molti investitori hanno abbassato la guardia riguardo l'inflazione, soprattutto perché il credo popolare è che il sistema bancario centrale ce l'abbia sotto controllo. Ma come abbiamo visto nella sezione precedente, la politica monetaria della Federal Reserve, in particolar modo, sostiene intenzionalmente la politica fiscale e sostiene livelli di indebitamento del governo federale senza precedenti. Il risultato è stato un'esplosione di M2, cosa che ha incrementato il rischio d'inflazione. Questa espansione fiscale non farà altro che aggravare la sfiducia nella solidità della politica fiscale statunitense e, di conseguenza, nel dollaro USA.

Più nello specifico, il costo dei prodotti alimentari è salito complessivamente del 2,4% nell'ultimo anno e il rialzo dei prezzi della carne al dettaglio è stato molto più marcato. Rispetto ad aprile 2020 i prezzi della carne di maiale sono aumentati dell'11%, i prezzi della pancetta sono aumentati del 16,3% e quelli della carne bovina sono aumentati del 4,8%. I prezzi del pollame sono superiori dell'11% rispetto allo scorso anno. Il prezzo delle alette di pollo, che hanno raggiunto il record di $2,92 per libbra, è superiore del 180% rispetto all'inizio del 2020. Dopo aver toccato i minimi storici nel 2020, il prezzo medio di un gallone di benzina negli Stati Uniti è salito sopra i $3 per la prima volta sin dal 2014. Poi ci sono i prezzi delle case, i quali sono aumentati mediamente del 33,9% su base annua.

Il prezzo del legname è aumentato del 377% nell'ultimo anno, aggiungendo fino a $36.000 al prezzo di una casa di nuova costruzione. Anche i prezzi al dettaglio per l'elettronica hanno iniziato a salire, alimentati dal prezzo dei televisori a grande schermo, che sono il 30% più costosi rispetto allo scorso anno. I prezzi delle auto usate e dei camion sono aumentati del 10% solo il mese scorso e del 21% negli ultimi 12 mesi. Il prezzo del noleggio di un'auto è aumentato del 16,2% il mese scorso. L'inflazione è sempre un fenomeno monetario e questa volta non è diverso. Ciò che le banche centrali definiscono "effetti transitori" non sono i veri motori delle pressioni inflazionistiche: l'iniezione di migliaia di miliardi di liquidità ha fatto sì che più denaro inseguisse meno beni e l'aumento dell'inflazione reale percepita dai cittadini è molto più grande dell'IPC ufficiale.

Per anni i prezzi al consumo sono stati tenuti bassi grazie all'importazione di merci da Paesi con manodopera a basso costo, e sebbene ciò abbia avuto in costo in termini di perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero, non racconta tutta la storia. Infatti il problema più grande dei numeri ufficiali riguardo l'inflazione dei prezzi è che sono viziati a livello politico e sono il risultato dei cambiamenti effettuati negli anni '90, quando si è modificata la natura dell'IPC. Questi cambiamenti sono stati promossi sotto la copertura di teorie accademiche e la presunta tesi che l'IPC sovrastimasse l'inflazione. Le dichiarazioni di Greenspan alimentarono molte discussioni, ma la popolazione in generale vi prestò poca o nessuna attenzione. In verità, gli "aggiustamenti" all'inflazione ufficiale facevano parte di uno sforzo per ridurre il deficit federale senza che il Congresso danneggiasse la previdenza sociale. L'impatto di quelle modifiche ridussero il livello ufficiale dell'inflazione annuale IPC di circa sette punti percentuali, il che significa che non ci sono dubbi sulla sottovalutazione dell'inflazione. La questione importante è che senza questi cambiamenti, gli assegni della previdenza sociale sarebbero molti di più di quelli che sono oggi.

Possiamo discutere dei numerosi modi in cui l'aumento del costo di beni e servizi nell'IPC ufficiale viene mascherato (es. medie discutibili, tasse escluse e sottostimando il peso di alcuni beni nel paniere, ecc.) ma il cuore del problema rimane uno: i pianificatori centrali devono giustificare la stampa di più soldi e la scusa che non c'è inflazione è perfetta. Quando quest'ultima aumenta, dicono che è transitoria; quando continua a salire incolpano le aziende e gli imprenditori, presentandosi come la soluzione con i famigerati "controlli sui prezzi". Anni fa, quando l'America stava sperimentando gli anni della "Grande Inflazione", nessuno l'aveva considerata un grosso problema fino a quando non è arrivata a due cifre. Oggi l'errore si ripete. Manipolare i dati per abbassare artificialmente il tasso ufficiale d'inflazione alimenta l'illusione della stabilità economica, permettendo a politici e banche centrali di vendere l'idea che l'inflazione non è e non diventerà un problema. Queste false informazioni vengono quindi utilizzate dagli individui per pianificare e prendere decisioni riguardanti i loro investimenti e le esigenze di pensionamento. 

È solo l'inizio, c'è molto di più in arrivo, specialmente con un sistema bancario centrale deciso a voler continuare a stampare.


SOVRABBONDANZE

Ma se da un lato abbiamo una pletora gorgogliante di carenza, dall'altro non mancano le sovrabbondanze. Quali sono? Investimenti inutili ed improduttivi, aziende zombi, denaro a pioggia e disuguaglianza artificiale indotta dalle politiche monetarie. Una ricerca di Deutsche Bank stima che quasi un quinto delle società statunitensi quotate in borsa sono ora degli zombi rispetto al 10% del 2013. Un altro passaggio è decisamente illuminante:

Quando l'economia opera al di sotto del potenziale e le forze che la riportano a tal potenziale sono assenti o deboli, i costi per uccidere le aziende zombi sono enormi. Uccidere uno zombi cancella immediatamente il reddito che i suoi lavoratori devono spendere in beni e servizi in tutta l'economia. Questo calo della spesa trascina il PIL verso il basso, al di sotto di ciò che l'azienda zombi produceva attraverso un effetto moltiplicatore keynesiano.

Nel settembre 2020 la BRI ha analizzato 14 economie avanzate, scoprendo che negli ultimi tre decenni il numero di società zombi è passato dal 4% (fine anni '80) al 15% nel 2017. Ma come si è arrivati a tal punto? Se i tassi d'interesse non fossero stati abbassati artificialmente e gli stati non avessero cercato di proteggere le aziende e le industrie privilegiate, esse sarebbero stata sostituite molto tempo fa, lasciando il posto a concorrenti nuovi, innovativi ed efficienti. Il sistema attuale sta causando un basso tasso di crescita del reddito reale impedendo che l'aumento dei tassi d'interesse possa allocare il credito verso il suo uso più prezioso. 

Uno studio del 2019 ha rilevato che il 21% delle piccole e medie imprese giapponesi erano zombie, nonostante vent'anni di politica statale per rianimarle. Nonostante il QQE e la generosità fiscale, i venti contrari di una popolazione che invecchia, i bassi livelli di migrazione interna ed un boom finanziario alimentato da un tasso di cambio artificialmente debole, hanno costretto il Giappone a sopportare due decenni di stagnazione. I problemi economici di quel boom di investimenti eccessivi, alimentati da tassi d'interesse artificialmente bassi, non sono stati risolti ma spostati, dal settore privato a quello pubblico. Sebbene la Federal Reserve Bank di San Francisco ritenga che lo stimolo fiscale possa portare risultati migliori della ZIRP, il PIL giapponese suggerisce che, sin dal 1995, la crescita economica è rimasta anemica nonostante il sostanziale stimolo fiscale.

Le politiche adottate da molte economie avanzate, prima e dopo l'emergenza sanitaria, seguono il copione giapponese e, come ho avuto modo di dire in altri pezzi, esso è il paziente zero. Se un cocktail di stimoli monetari e fiscali non ha funzionato per il Giappone, perché dovrebbe funzionare per gli altri? Naturalmente il modo più veloce per ridurre la disoccupazione nel breve periodo è mantenere gli zombi in vita, ma ciò che non si vede in mezzo alla presunta ripresa di oggi è il danno a lungo termine inflitto alla crescita sostenibile dell'economia reale. La nipponizzazione dell'Europa e degli Stati Uniti è inevitabile. La presunta ripresa a cui stiamo assistendo oggi è costruita sulle fondamenta fatiscenti dei malinvestment seriali risultanti dai precedenti tentativi di evitare il dolore economico proveniente da una correzione degli errori economici del passato. Fino a quando i mercati non si saranno liberati degli zombi, la crescita economica rimarrà sub-ottimale. E questo ci porta a considerare un altro punto in merito alle sovrabbondanze, perché man mano che gli zombi consumano ricchezza reale essa viene sottratta a quelle realtà che avrebbero potuto utilizzarla al meglio e in modo efficiente. Infatti non potendo entrare in possesso degli input produttivi e del capitale necessario, anche la loro capacità di spesa viene intaccata; in questo modo la società ci perde due volte, perché non solo non si crea un circolo virtuoso di spesa e premiazione di quegli imprenditori più capaci e abili, ma si impedisce l'emersione di realtà che avrebbero potuto migliorare gli standard di vita di tutti. Inutile dire che è questo il risultato velenoso e più dannoso dell'Effetto Cantillon.

La disuguaglianza di ricchezza è una caratteristica naturale di un'economia di mercato. Le risorse di capitale (animate ed inanimate) sono eterogenee, quindi i redditi varieranno in base alle diverse produttività di questi input. Tramite il sistema profitti/perdite, però, le risorse non vengono sprecate sistematicamente ed i desideri e le esigenze dei consumatori sono soddisfatti nella misura più ampia possibile. Queste disuguaglianze sono naturali e salutari. Quando però entra in gioco l'espansione monetaria, essa modifica ed aggrava la disuguaglianza di ricchezza in modo permanente. Le future espansioni monetarie moltiplicheranno questi effetti ed il risultato inevitabile è l'emergere di classi in contrasto e conflitto sociale.


CONCLUSIONE

L'articolo di oggi ha voluto mettere in evidenza cosa accade materialmente quando l'interventismo del sistema bancario centrale diventa preponderante nel corso del tempo, andando infine ad intaccare direttamente, e non più indirettamente, la struttura della produzione e l'allocazione sostenibile delle risorse economiche scarse (animate ed inanimate). La settimana prossima vedremo come questo sia stato giustificato a livello intellettuale: carenza di buone teorie economiche e sovrabbondanza di teorie sballate.

Di conseguenza l'assenza di segnali economici genuini non fa altro che generare caos nell'ambiente economico, facendo emergere carenze di beni/servizi necessari (domanda reale non soddisfatta o rimandata indefinitamente) e sovrabbondanza di beni/servizi inutili (domanda reale nulla). Inutile dire che l'effetto è un impoverimento generale, dapprima silenzioso e all'improvviso devastante. La recente impennata dei prezzi al consumo, quindi, non è un caso: è stata generata dal sistema bancario centrale in generale e, nel caso particolare degli USA, dalla Federal Reserve nella loro crociata per mantenere in piedi un boom insostenibile e supportare i loro clientes a scapito di tutti gli altri.

Hanno influenzato al ribasso i tassi d'interesse rendendo attraente la speculazione immobiliare, ad esempio. Molti degli acquirenti, sulla scia della crisi Lehman, sono stati grandi banche e grandi aziende, visto che hanno potuto prendere in prestito denaro a tassi ridicoli. Sono diventati loro i nuovi padroni di case nel commercio lucrativo buy to rent, oppure potevano venderle nuovamente. Le case oggi sono più grandi, con l'aria condizionata e vari altri comfort ma in termini di prezzo e tempo, stanno diventando di nuovo inaccessibili. Nel 1971, prima che il denaro venisse sganciato definitivamente dalla sua controparte reale, la tipica casa americana costava circa $25.000; oggi costa quindici volte di più. Nel 1971 il lavoratore americano medio guadagnava circa $3,60 l'ora e gli ci sarebbero volute 173 settimane per comprare una casa media. Oggi il salario medio è di circa $25 l'ora e dovrà lavorare 341 settimane per comprarsene una. Lo stesso discorso possiamo farlo per l'automobile, il cui prezzo medio oggi è di circa $40.000. Il lavoratore medio oggi dovrebbe lavorare 40 settimane per potersela permettere, mentre invece nel 1971, quando il prezzo medio era di $2.300, impiegava solo 16 settimane.

E se il costo di cibo, immobili ed automobili aumenta, in termini di tempo necessario per acquistarli, la popolazione in generale non sta diventando più povera?


1 commento:

  1. Ho uno strano senso di dejà-vù. Sembra di rivedere ciò che accadde dal secondo dopoguerra fino al 1971, quando lo zio Sam esportò inflazione all'estero attraverso l'inflazione del dollaro ed i deficit fuori controllo. Ad essere precisi, le politiche di "Guns and butter" di Johnson, e quindi il welfare state e la guerra in Vietnam, vennero pagate dagli stranieri che accettavano dollari in cambio dei loro beni. Principalmente gli europei e infatti Svizzera, Francia e Germania furono le prime tra il 1969 ed il 1970 a richiedere indietro con una certa insistenza il proprio oro "immagazzinato" (forse) a Fort Knox. All'epoca venne giocata la carta "chiusura definitiva della finestra dell'oro", ma oggi che carta è rimasta?

    Negli ultimi 30 anni lo zio Sam è riuscito a prolungare la sua egemonia grazie all'esportazione dell'inflazione interna soprattutto in Cina. Infatti i produttori cinesi hanno tenuto sotto controllo i prezzi al consumo negli Stati Uniti attraverso un tasso di cambio manipolato che supportava costi di manodopera a basso costo. Quei giorni sono finiti. L'aumento dei prezzi delle materie prime per i produttori cinesi sta portando ad un aumento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti: l'aumento dei prezzi delle materie prime per i produttori cinesi sta portando a ritardi negli ordini e carenze di beni di consumo, e queste carenze di beni di consumo stanno portando a prezzi al consumo più elevati negli Stati Uniti.

    La PBOC ha dichiarato che rialzerà il coefficiente di riserva obbligatoria in valuta estera per le istituzioni finanziarie al 7%, rendendo più costoso per le banche detenere dollari. L'obiettivo della PBOC è rallentare il ritmo di apprezzamento dello yuan scoraggiando l'afflusso di dollari. La capacità dei pianificatori centrali degli Stati Uniti di esportare l'inflazione dei prezzi in Cina sta infine crollando. Questa capacità ha mascherato l'effetto di politiche fiscali e monetarie allentate negli USA per diversi decenni, poiché le conseguenze di enormi deficit e di una folle espansione della massa monetaria sono state compensate da beni di consumo a basso costo. Quei giorni sono finiti.

    Il presidente della FED Powell afferma che l'aumento dei prezzi al consumo è transitorio. L'inflazione dei prezzi al consumo imperverserà per almeno un decennio, forse due.

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