mercoledì 1 ottobre 2025

La morte del dollaro è notevolmente esagerata?

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Lance Roberts

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-morte-del-dollaro-e-notevolmente)

La narrazione sulla “morte del dollaro” come valuta di riserva mondiale è praticamente sulla bocca di tutti. Questo accade ogni volta che si deprezza rispetto ad altre valute. Abbiamo già scritto in precedenza delle false affermazioni sulla “morte del dollaro” nel 2023 (si veda qui, qui e qui). Il suo recente calo rispetto ad altre valute rientra ampiamente nella norma storica. In particolare, i cali precedenti erano stati molto più ampi senza l'“allarmismo” degli “esperti di sventura”.

La “morte del dollaro” ricorre spesso nei dibattiti finanziari. Naturalmente questo accade quando aumentano le tensioni geopolitiche, le perturbazioni economiche, o le fluttuazioni del mercato. Certo, ci sono valide preoccupazioni circa il predominio a lungo termine del dollaro, tuttavia l'idea che la sua morte sia imminente, portando a un catastrofico crollo economico, è ampiamente sopravvalutata. Il dollaro rimane la pietra angolare della finanza globale a causa di fattori strutturali, economici e geopolitici che difficilmente cambieranno bruscamente. Di seguito delineo cinque motivi per cui la narrazione sulla morte del dollaro è esagerata.


Cinque motivi per cui la narrazione della morte del dollaro è sopravvalutata 

  1. Mancanza di una valuta alternativa valida – Lo status di riserva del dollaro persiste perché non esiste un rivale credibile. L'euro, che detiene il 20% delle riserve globali rispetto al 58% circa del dollaro (FMI, secondo trimestre 2024), è vincolato dalla frammentazione dei mercati obbligazionari e dalla volatilità politica dell'Eurozona. Nonostante il crescente utilizzo (2-3% delle riserve), il renminbi cinese è limitato dai controlli sui capitali e dalla convertibilità limitata, il che lo rende inadatto allo status di riserva globale. Altre valute, come lo yen giapponese (6%) o quelle più piccole come il dollaro canadese o australiano, non hanno la portata economica o la liquidità necessarie per competere con il dollaro. Senza una valuta all'altezza della profondità e della liquidità dei mercati del dollaro e della fiducia globale, la sua scomparsa rimane improbabile nel breve termine.

  2. Forza dell'economia statunitense – L'economia statunitense, che rappresenta il 26% del PIL mondiale, consolida il predominio del dollaro. La sua ampia e dinamica economia, sostenuta dallo Stato di diritto e da solidi mercati dei capitali, posiziona il dollaro come un rifugio sicuro, in particolare durante periodi di instabilità mondiale. Mentre i critici sottolineano l'aumento del debito statunitense ($35.000 miliardi, circa il 120% del PIL), lo status di riserva del dollaro consente di indebitarsi a tassi più bassi, sostenendo i deficit senza crisi immediate. Rispetto ad altre economie – la lenta crescita del Giappone, i mercati ristretti della Cina, o la frammentazione dell'Europa – gli Stati Uniti offrono stabilità, rendendo improbabile la scomparsa del dollaro nel futuro prossimo.

  3. Effetti di rete e inerzia finanziaria mondiale – Gli effetti di rete perpetuano il predominio del dollaro: il suo utilizzo diffuso ne accresce il valore. Costituisce circa l'88% delle transazioni valutarie globali (dati SWIFT) e circa il 60% della fatturazione internazionale del debito e del commercio. La transizione a un'altra valuta richiederebbe un ampio coordinamento tra banche centrali, stati e mercati, con conseguenti costi e rischi significativi. Le transizioni monetarie storiche, come quella dalla sterlina al dollaro, hanno attraversato decenni e hanno richiesto importanti cambiamenti geopolitici, oggi assenti. Questa inerzia rende la scomparsa del dollaro una prospettiva remota.

  4. Portata limitata degli sforzi di de-dollarizzazione – Sebbene Paesi come Cina, Russia e i BRICS sostengano il commercio in valute locali (ad esempio, il renminbi cinese rappresenta il 56% del suo commercio bilaterale), questi sforzi hanno un impatto mondiale limitato. La quota di riserve in dollari è diminuita gradualmente (dal 67% al 58% in due decenni), tuttavia ciò riflette la diversificazione, non la scomparsa del dollaro, spesso in valute alleate come il dollaro canadese o australiano. La Cina detiene circa $2.000 miliardi in asset denominati in dollari, a dimostrazione della sua dipendenza. Le mosse geopolitiche, come il passaggio della Russia all'oro o al renminbi, sono limitate dalla piccola scala dei sistemi non basati sul dollaro (ad esempio, il CIPS cinese rispetto allo SWIFT). Questi sforzi frammentati non riescono a innescare la scomparsa del dollaro.

  5. Resilienza a fronte di sfide politiche – I critici sostengono che le politiche statunitensi, come dazi, sanzioni, o azioni della Federal Reserve, indeboliscono la fiducia nel dollaro. Ad esempio, i dazi di Trump nel 2025 hanno causato un calo del dollaro di circa il 9%, alimentando i timori di una sua possibile morte. Tuttavia tali fluttuazioni sono cicliche, non strutturali, con il dollaro ancora robusto rispetto al suo picco del 2011-2022 (in rialzo di circa il 40% rispetto a un paniere di valute). Le sanzioni, come quelle alla Russia nel 2022, non hanno ridotto significativamente le riserve mondiali in dollari, poiché la maggior parte di esse è detenuta da alleati degli Stati Uniti che hanno aderito alle sanzioni. Le linee di swap e il supporto di liquidità della Federal Reserve rafforzano ulteriormente il ruolo del dollaro durante le crisi.

Come si può notare, il dollaro domina la composizione delle transazioni monetarie mondiali.

Tuttavia c'è un motivo per cui il recente calo del dollaro potrebbe essere prossimo alla fine.


Perché il dollaro potrebbe riprendersi con forza

Non è la prima volta che la “morte del dollaro” fa notizia. Nel 2022 le narrazioni sulla “de-dollarizzazione” hanno gonfiato le tesi ribassiste, con tutti che affermavano che la morte del dollaro fosse imminente. Ciononostante quella “frenesia di sventura” ha segnato il minimo del dollaro prima di un robusto rally. Potremmo prepararci per un altro simile per due motivi.

In primo luogo, dal punto di vista tecnico, la vendita del dollaro è diventata piuttosto estrema. Utilizzando i dati settimanali, esso è ora ipervenduto su base del momentum, come lo era all'inizio del 2021 e alla fine del 2018. Queste precedenti condizioni di ipervenduto lo prepararono a un forte rally in controtendenza.

Inoltre tutti, dal “lustrascarpe” al venditore ambulante, stanno vendendo allo scoperto il dollaro. Secondo il sondaggio dei gestori di fondi di BofA, la posizione short contro il dollaro è al livello più alto degli ultimi 20 anni. Pertanto qualsiasi inversione di tendenza del dollaro potrebbe essere sostanziale se questi “short” fossero costretti a invertire le loro posizioni.

La domanda è: cosa deve cambiare per un'inversione di tendenza del dollaro? Questo ci porta alla seconda ragione per cui potrebbe riprendersi: i tagli dei tassi della BCE.

In quanto valuta di riserva, le nazioni straniere detengono riserve in dollari per facilitare gli scambi commerciali. Se è troppo debole, o troppo forte, rispetto a un'altra valuta, può avere un impatto negativo sull'economia di quella nazione. Pertanto quando il dollaro si allontana troppo da un'altra valuta, quel Paese può intervenire per stabilizzare la propria di valuta. Tale intervento si ottiene aumentando, o diminuendo, le riserve in dollari. Può farlo acquistando, o vendendo, titoli del Tesoro statunitensi, oro, o altri asset denominati in dollari. Nella maggior parte dei casi si tratta di titoli del Tesoro statunitensi, o di oro.

La BCE ha tagliato i tassi in modo aggressivo, otto volte nell'ultimo ciclo, mentre la Federal Reserve statunitense ha mantenuto la sua politica monetaria pressoché invariata. Il risultato è una divergenza che si sta sviluppando tra i rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi e, ad esempio, quelli tedeschi.

Ci sono tre motivi principali per cui è fondamentale che gli investitori comprendano questo aspetto.

  1. Rendimenti più elevati attraggono afflussi di capitali – Storicamente l'aumento dei rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi ha attratto investimenti esteri grazie ai rendimenti più elevati rispetto alle obbligazioni di altre principali economie. Ad esempio, i rendimenti dei decennali americani sono saliti dal 3,65% a settembre 2024 al 4,8% all'inizio del 2025; i rendimenti obbligazionari europei (ad esempio, i decennali tedeschi) sono rimasti bassi a causa dell'allentamento monetario della BCE. Questo differenziale di rendimento incentiva gli investitori esteri, comprese le banche centrali e gli investitori istituzionali, ad acquistare titoli del Tesoro americani. Tale acquisto aumenta la domanda di dollari e ne sostiene l'apprezzamento.

  2. I titoli del Tesoro come riserva privilegiata rispetto alle riserve monetarie – Come accennato in precedenza, i titoli del Tesoro statunitensi costituiscono la spina dorsale delle riserve monetarie mondiali. Rendimenti più elevati offrono ai gestori delle riserve rendimenti migliori senza sacrificare la sicurezza, a differenza di asset più rischiosi come azioni o obbligazioni dei mercati emergenti. Ad esempio, la domanda estera di titoli del Tesoro americani è rimasta stabile nonostante i tagli dei tassi della BCE. Questa domanda sostiene il dollaro, poiché le banche centrali devono acquistarlo per acquistare poi titoli del Tesoro americani, rafforzandone lo status di valuta di riserva.

  3. Apprezzamento del dollaro guidato dai differenziali di rendimento – La divergenza nella politica monetaria, la posizione più accomodante della BCE rispetto a quella della FED, ha ampliato il divario dei tassi di interesse, favorendo il dollaro. I rendimenti statunitensi più elevati, in particolare sui decennali (4,4-4,8% all'inizio del 2025), contrastano con i rendimenti europei più bassi, che potrebbero stimolare flussi di capitali verso gli Stati Uniti. La domanda per i rendimenti è in linea con i modelli storici in cui i tassi statunitensi più elevati sostengono il DXY, come si è visto durante il periodo post-elettorale del 2016, quando l'ottimismo fiscale ha spinto i rendimenti e il dollaro al rialzo. Nonostante la volatilità legata ai dazi, il recente apprezzamento del dollaro suggerisce che i differenziali di rendimento siano un supporto chiave.

Il punto cruciale è che questa sarebbe una situazione interessante per stati, fondi comuni di investimento e investitori esteri. Poiché gli afflussi esteri vengono inizialmente utilizzati per catturare rendimenti obbligazionari più elevati, gli investitori beneficiano anche di un duplice vantaggio: guadagni monetari e prezzi obbligazionari più elevati (rendimenti più bassi).

Tuttavia la narrazione della morte del dollaro persiste a causa delle recenti tendenze di disaccoppiamento. I rendimenti sono aumentati con l'indebolimento del dollaro all'inizio del 2025, trainato dalle preoccupazioni fiscali e dall'incertezza sui dazi. Queste recenti preoccupazioni passeranno, ma il ruolo del dollaro come valuta di riserva per il commercio mondiale no.


Affrontare la narrativa della morte del dollaro e le implicazioni economiche

La narrazione della fine del dollaro nasce spesso da preoccupazioni sul debito statunitense, l'inflazione, i dazi, o l'uso geopolitico del dollaro come arma (ad esempio, sanzioni). Questi rischi esistono, ma l'impatto a breve termine viene sopravvalutato. La perdita dello status di riserva potrebbe aumentare i costi di indebitamento degli Stati Uniti, alimentare l'inflazione attraverso importazioni più costose e ridurre l'influenza geopolitica. Tuttavia la portata dell'economia statunitense, la sua forza militare e la sua stabilità istituzionale rendono improbabile la fine del dollaro senza un evento sismico mondiale (ad esempio, la perdita di una guerra importante come quella della Repubblica di Weimar). Nonostante un graduale declino, il dollaro probabilmente rimarrebbe una valuta leader insieme ad altre e non scomparirebbe del tutto.

Questa narrazione viene spesso amplificata su piattaforme e organi di stampa che fanno affidamento su “tesi ribassiste” per ottenere clic e visualizzazioni. Sebbene alcuni post esagerino la “morte del dollaro” per promuovere alternative come l'oro o le crittovalute, queste tesi sono spesso fuorvianti. Economisti come Barry Eichengreen e James Lord di Morgan Stanley sostengono che la morte del dollaro sia “notevolmente esagerata”, citando il suo ruolo radicato e l'assenza di alternative valide, come discusso in precedenza. Certo, l'economia statunitense potrebbe affrontare le sfide di un dollaro più debole, ma un crollo devastante è improbabile grazie alla sua adattabilità e all'integrazione finanziaria globale.

In particolare, come discusso nell'articolo Le narrazioni cambiano, i mercati no, è essenziale guardare oltre le narrazioni per evitare i pregiudizi emotivi che influenzano i risultati dei nostri investimenti. Vale a dire:

Il bisogno di una narrazione è profondamente radicato nella nostra psicologia. Come creature che cercano schemi, bramiamo coerenza e prevedibilità. Il caos scatena l'ansia. Ci sembra pericoloso, incontrollabile e inquietante. Negli investimenti questa ansia è amplificata dall'impatto diretto sulla nostra ricchezza e sulla nostra sicurezza finanziaria. Ritroviamo una parvenza di controllo aggrappandoci alle narrazioni, per quanto tenue. Esse ci dicono perché le cose stanno accadendo e cosa potrebbe succedere dopo, il che placa la nostra naturale paura dell'incertezza.

Gli esseri umani sono programmati per dare priorità alle informazioni negative rispetto a quelle ottimistiche. Da una prospettiva evolutiva, questo pregiudizio è stato essenziale. I nostri antenati hanno imparato a riconoscere le minacce (come i predatori) per sopravvivere.

Questo istinto, noto come “bias della negatività”, influenza il modo in cui elaboriamo le informazioni, comprese le notizie finanziarie e le narrazioni di mercato. Ecco perché  podcast e articoli con un orientamento “ribassista” generano il maggior numero di clic e visualizzazioni.

• La paura è un fattore motivante più forte dell'avidità: mentre la speranza di fare soldi spinge gli investitori, la paura di perderli è più potente.

• Le previsioni ribassiste sembrano più “razionali”: il pessimismo spesso trasmette maggiore sicurezza e prudenza. In periodi di volatilità dei mercati, una previsione ribassista può sembrare più analitica e responsabile.

• I media amplificano i titoli negativi: le testate giornalistiche sanno che la paura vende. Titoli sensazionalistici come “MERCATI IN TURBOLENZA” o “CRASH IN ARRIVO?” generano clic e coinvolgimento.

• Comportamento di gregge e camere di risonanza: gli investitori si affidano a opinioni ribassiste per ottenere conferme quando i mercati sono instabili. Se altri sono cauti o timorosi, questo  rafforza l'idea che una recessione sia imminente. Questo vale anche se i fondamentali sottostanti rimangono solidi. I social media e le notizie finanziarie creano camere di risonanza che amplificano questi timori.

La cosa più importante per gli investitori è che il mercato assorbe tutte le narrazioni negative dei media nel lungo termine. La recente raffica di narrazioni su debiti, deficit, dazi e “morte del dollaro” alimenta il vostro pregiudizio negativo. Tuttavia allargando lo sguardo, gli investitori che si sono tenuti lontani dai mercati finanziari per “evitare la perdita” di potenziali esiti negativi hanno pagato un caro prezzo in termini di riduzione della ricchezza finanziaria.

In altre parole, c'è sempre una “ragione” per non investire. Tuttavia la narrativa attuale cambierà, ma il mercato no.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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