Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/da-marco-aurelio-a-omar-little)
Mentre questo weekend del Ringraziamento volge al termine, la mia gratitudine non si concentra sui soliti luoghi comuni delle feste, ma su qualcosa che è diventato sempre più prezioso nella nostra era artificiale: relazioni autentiche – sia familiari che di amicizia – che si approfondiscono anziché rompersi sotto pressione. Ciò che lega queste relazioni, ho capito, non sono opinioni o circostanze condivise, ma un codice morale condiviso: un impegno incrollabile verso principi che trascendono le sabbie mobili della politica e delle pressioni sociali. Sono particolarmente grato alla mia cerchia ristretta: amici che conosco fin dalle elementari e familiari i cui legami si sono solo rafforzati negli ultimi anni.
Come molti altri che si sono schierati contro la tirannia del COVID, ho visto quelle che credevo essere relazioni solide dissolversi sotto i miei occhi. Come proprietario di un birrificio e allenatore delle squadre sportive dei miei figli, ero profondamente radicato nella mia comunità: un “uomo di mondo” e grazie a ciò gli altri avevano piacere a fare amicizia con me e a chiedermi consiglio. Poi, all'improvviso, le stesse persone che si erano confrontate con me con entusiasmo si sono allontanate non appena mi vedevano arrivare per strada. Reti professionali e contatti di quartiere sono svaniti alla semplice messa in discussione delle narrazioni ufficiali. Reagivano in questo modo perché avevo infranto l'ortodossia, scegliendo di sostenere valori liberali – gli stessi principi che loro affermavano di sostenere – rifiutando obblighi e restrizioni arbitrarie. In questo momento di prova, la differenza tra chi viveva secondo un codice morale coerente e chi si limitava a seguire le correnti sociali è diventata netta. A posteriori, questa selezione sembra più una chiarificazione che una perdita. Mentre le relazioni superficiali si affievolivano, le mie relazioni più profonde – amicizie decennali e legami familiari – non solo resistevano, ma si approfondivano. Queste prove hanno rivelato quali legami fossero autentici e quali semplicemente situazionali. Le amicizie rimaste, ancorate a principi autentici piuttosto che a convenienze sociali, si sono dimostrate infinitamente più preziose della più ampia rete di amicizie occasionali che ho perso.
Ciò che più mi colpisce di queste amicizie durature è come abbiano sfidato la “regola” delle relazioni distrutte dalle divisioni politiche. Come osservò Marco Aurelio: “L'ostacolo all'azione favorisce l'azione. Ciò che si frappone nel mezzo diventa la via”. Pur avendo assunto posizioni opposte nella dialettica su questioni politiche e culturali nel corso dei decenni, ci siamo ritrovati uniti nell'opposizione alle trasgressioni costituzionali e alla crescente tirannia degli ultimi anni: i lockdown, gli obblighi arbitrari e l'erosione sistematica dei diritti fondamentali. Questa unità non è emersa da uno schieramento politico, ma da un codice morale condiviso: un impegno verso i principi fondamentali che trascendono le divisioni partitiche.
In questi momenti di riflessione, mi sono ritrovato a tornare alle Meditazioni di Marco Aurelio, un libro che non aprivo dai tempi del college, finché l'eccellente conversazione tra Joe Rogan e Marc Andreessen non mi ha ispirato a rileggerlo. Marco Aurelio aveva capito che un codice morale personale – un insieme di principi incrollabili – era essenziale per navigare in un mondo di caos e incertezza. Il collegamento è particolarmente azzeccato: come il mio gruppo di amici, la piattaforma di Rogan mette in primo piano il dibattito autentico nella nostra epoca. I critici, soprattutto di sinistra, parlano spesso di aver bisogno del loro “Joe Rogan”, perdendo completamente di vista ciò che rende il suo programma tanto efficace: l'autenticità. Pur essendo storicamente di sinistra, la disponibilità di Rogan a impegnarsi in un confronto in tempo reale con ospiti di ogni ideologia e su un'ampia varietà di argomenti, oltre al suo impegno per la ricerca aperta della verità, hanno paradossalmente portato al suo allontanamento dai circoli liberal tradizionali – proprio come molti di noi che si sono ritrovati ad essere etichettati come apostati per aver mantenuto principi coerenti.
Questo impegno nei confronti di un codice morale incentrato sul dibattito autentico spiega perché organizzazioni come questo blog – pur essendo regolarmente etichettati come di “estrema destra” – siano diventate una piattaforma cruciale per studiosi indipendenti, esperti di politica e ricercatori della verità. Ho potuto constatarlo in prima persona a un recente evento del Brownstone Institute, dove, a differenza della maggior parte delle istituzioni che impongono il conformismo ideologico, pensatori eterogenei si sono impegnati in una genuina esplorazione delle idee senza timore di imposizione dell'ortodossia. Quando ai partecipanti è stato chiesto se si considerassero progressisti politici dieci anni prima, quasi l'80% ha alzato la mano. Si trattava di individui che, come me e i miei amici, abbracciano ancora i valori liberali – libertà di parola, ricerca aperta, dibattito razionale – ciononostante si ritrovano etichettati come di destra o complottisti solo per aver messo in discussione le narrazioni prevalenti. Ciò che unisce questa comunità eterogenea è il riconoscimento condiviso che la realtà che ci viene presentata è in gran parte costruita ad hoc, come già scritto nell'articolo L'industria dell'informazione, e l'impegno a mantenere un discorso autentico in un'epoca di consenso forzato.
Nella serie TV, The Wire, Omar Little, un personaggio complesso che viveva secondo il proprio codice morale pur operando al di fuori della società convenzionale, ha una battuta chiave: “Un uomo deve avere un codice morale”. Pur essendo un rapinatore che prendeva di mira gli spacciatori, la rigida aderenza di Omar ai suoi principi – non fare mai del male ai civili, non mentire mai, non mancare mai alla parola data – lo rendeva più onorevole di molti personaggi presumibilmente “puliti”. La sua incrollabile dedizione a questi principi – anche come gangster che opera al di fuori delle leggi della società – risuona profondamente con la mia esperienza. Come l'impegno di Rogan per il dialogo aperto, come la dedizione del Brownstone Institute alla libera ricerca, come la determinazione di RFK Jr. a denunciare come gli interessi farmaceutici e agricoli abbiano corrotto le nostre istituzioni pubbliche – questi esempi di autentica ricerca della verità rispecchiano ciò che ho riscontrato nella mia cerchia. Sebbene io e i miei amici possiamo avere opinioni diverse in molti ambiti – politico, culturale e sociale – condividiamo un codice morale: l'impegno per la verità rispetto alla comodità, per i principi rispetto al partito, per il discorso autentico rispetto all'approvazione sociale. Questa base comune si è dimostrata più preziosa di qualsiasi accordo superficiale.
In questi tempi di consenso artificiale e controllo sociale, l'importanza di un fondamento autentico diventa ancor più importante. Lo Smith-Mundt Modernization Act del 2012, che ha reso legale la propaganda sui cittadini americani, non ha fatto altro che formalizzare ciò che molti sospettavano da tempo: il tradimento definitivo del codice di condotta del governo nei confronti dei suoi cittadini, l'esplicito permesso di manipolare anziché informare. Questo quadro giuridico ci aiuta a spiegare gran parte di ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, in particolare durante la crisi sanitaria, quando coloro che si proclamavano paladini della giustizia sociale hanno sostenuto linee di politica che creavano nuove forme di segregazione e devastavano le comunità stesse che affermavano di voler proteggere.
Questa disconnessione diventa ancora più evidente nell'ambito delle donazioni benefiche e delle cause sociali, dove il “riciclaggio della virtù” è diventato endemico. L'assenza di un autentico codice morale non è mai stato così evidente come nelle nostre più grandi istituzioni benefiche. Mentre molte di esse svolgono un lavoro cruciale a livello locale, c'è una tendenza inequivocabile tra le grandi ONG verso quella che un amico chiama appropriatamente la “classe filantropica”. Si pensi, ad esempio, alle attività della Clinton Foundation ad Haiti, dove milioni di dollari in fondi di soccorso per il terremoto hanno portato alla creazione di parchi industriali che hanno costretto gli agricoltori a sfollare e a progetti abitativi che non si sono mai concretizzati. Oppure si pensi alla BLM Global Network Foundation, che ha acquistato immobili di lusso mentre le sezioni locali hanno riferito di aver ricevuto un sostegno minimo. Persino le principali ONG ambientaliste spesso collaborano con i maggiori inquinatori del mondo, creando un'illusione di progresso mentre persistono problemi fondamentali.
Questo schema rivela una verità più profonda sulla classe filantropica: molte di queste istituzioni sono diventate puramente estrattive, traendo profitto e persino amplificando i problemi che pretendono di risolvere. Al vertice, si collezionano titoli altisonanti nelle proprie biografie e si mostrano foto di gala di beneficenza, evitando qualsiasi coinvolgimento autentico con i problemi che affermano di affrontare. I social media hanno democratizzato questo show grottesco, permettendo a tutti di partecipare al teatro della virtù – dagli avatar con la bandiera ucraina ai nastri di sensibilizzazione fino agli emoji a sostegno di una causa – creando un'illusione di attivismo priva della sostanza di un'azione o di una comprensione reali. È un sistema completamente privo del codice morale che un tempo guidava l'opera di beneficenza: il legame diretto tra benefattore e beneficiario, il genuino impegno per un cambiamento positivo piuttosto che l'esaltazione personale.
Il potere di un codice morale autentico diventa più evidente in contrasto con queste istituzioni vuote. Mentre organizzazioni e social network si frammentano sotto pressione, sono fortunato che le mie amicizie più strette e i legami familiari siano diventati sempre più forti. Abbiamo avuto accesi dibattiti nel corso degli anni, ma il nostro impegno condiviso per i principi fondamentali – avere un codice morale – ci ha permesso di navigare insieme anche nei momenti più turbolenti. Quando la risposta alla pandemia ha minacciato i diritti costituzionali, quando la pressione sociale ha prevalso sulla coscienza, queste relazioni hanno dimostrato il loro valore nonostante le nostre differenze... anzi, forse grazie a esse.
Mentre affrontiamo questi tempi complessi, la strada da seguire emerge con sorprendente chiarezza. Da Marco Aurelio a Omar Little, la lezione rimane la stessa: un uomo deve avere un codice morale. La crisi di autenticità nel dibattito pubblico, il divario tra valori proclamati e vissuti, e la falsa virtù indicano tutti la stessa soluzione: un ritorno a relazioni autentiche e all'impegno locale. I nostri legami più forti – quelle relazioni autentiche che hanno resistito alle recenti tempeste – ci ricordano che la virtù si manifesta nelle scelte quotidiane e nei costi personali, non in badge digitali o donazioni a distanza.
Sono grato non per le facili comodità del conformismo, ma per coloro che nella mia vita dimostrano una virtù sincera, quella che comporta un costo personale e richiede una convinzione autentica. La risposta non sta in grandi gesti o post virali, ma nella silenziosa dignità di vivere secondo i nostri principi, di interagire con le nostre comunità più vicine e di mantenere il coraggio di pensare in modo indipendente. Come hanno capito sia l'imperatore-filosofo che il guerriero di strada immaginario, ciò che conta non è la grandezza della nostra posizione, ma l'integrità del nostro codice morale. Tornando un'ultima volta a Meditazioni, mi viene in mente l'eterna sfida di Marco Aurelio: “Non perdete più tempo a discutere su cosa dovrebbe essere un brav'uomo. Siatelo”.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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