venerdì 31 ottobre 2025

Nuovo libro in uscita: La rivoluzione di Satoshi



di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/nuovo-libro-in-uscita-la-rivoluzione)

Il mondo aveva assolutamente bisogno di questo libro di Wendy McElroy affinché tutti, e dico tutti, abbiano un quadro generale della rivoluzione monetaria in atto. Ed era esattamente la persona giusta per scriverlo. Il libro, tradotto dal sottoscritto, è disponibile per l'acquisto su Amazon al seguente indirizzo: https://www.amazon.it/dp/B0FYH656JK

Il suo lavoro è intriso della storia della libertà e della lotta contro il controllo autoritario, scrivendo articoli e libri pionieristici sull'intero spettro dell'esperienza umana a riguardo. In quest'ultimo manoscritto, La rivoluzione di Satoshi, ha rivolto la sua attenzione a quella che sono convinto sia una delle innovazioni più importanti della storia: Bitcoin e i servizi correlati a esso. Spiega come, oggi, questa tecnologia preannunci cambiamenti fondamentali, grandi cambiamenti, nel rapporto tra individuo e stato.

Negli ultimi sedici anni abbiamo assistito alla creazione di una nuova architettura monetaria e finanziaria che potrebbe sostituire tutto ciò che è stato conosciuto e utilizzato nel corso della vita di ogni persona vivente.

Abbiamo sperimentato una moneta utile e sicura che funziona in tutto il mondo, non è collegata allo stato e non necessita del sistema bancario. Questo stesso sistema può sostituire tutti i sistemi di pagamento esistenti ed è una creazione puramente del mercato che aggiunge alle tradizionali funzioni contabili e di riserva di valore un'ulteriore caratteristica: un mezzo di pagamento peer-to-peer globale.

Sedici anni fa persino i più grandi teorici sostenevano che tutto ciò non sarebbe potuto accadere... poi, però, è successo.

Abbiamo assistito alla creazione di smart contract in grado di gestire un vasto numero di transazioni, impegni e interazioni umane. Abbiamo persino osservato come questo sistema sia diventato uno strumento per raccogliere capitali e sostituire le tradizionali funzioni di prestito; otto anni fa questa era solo un'ipotesi, poi è diventata una realtà da centinaia di miliardi di dollari con nuove forme di capitale raccolte attraverso la tokenizzazione.

Ci troviamo ora di fronte a un'intera gamma di tecnologie che potrebbero sostituire le valute fiat, i metodi di pagamento tradizionali e perfino i mercati dei capitali, e portare a qualcosa di nuovo.

Forse stareste pensando, mentre leggete, che si tratti solo di utopia, ma il punto è questo: non è più solo teoria. Queste tecnologie esistono già, anche se solo nelle loro fasi iniziali. Ecco perché ci sono tanti bitcoiner là fuori che parlano con entusiasmo del futuro. Lo hanno già sperimentato. E non bisogna andare dall'altra parte del mondo visto che in Italia, ad esempio, è già presenta una nutrita comunità che s'è sviluppata lungo tutto il proverbiale stivale.

Da Rovereto a Fornelli fino a Custonaci, anche l'Italia, come fenomeno puramente dal basso, è stata invasa dalla “rivoluzione di Saotshi”.

Potreste non aver utilizzato mai Bitcoin. E va bene. Nonostante tutti i difetti del sistema attuale, le vecchie strutture svolgono ancora il loro compito... finché non si verifica un qualche evento che ci pone di fronte all'imprevisto. Solo in quel momento emerge una forte ragione per cambiare e la storia umana è costellata da situazioni che prima devono verificarsi sulla “propria pelle” per poter solo poi prendere adeguate contromisure. I pionieri hanno sempre fatto fatica, almeno inizialmente, a veicolare la portata di un cambiamento. Inevitabilmente, però, quest'ultimo è sempre arrivato dapprima lentamente e poi improvvisamente.


LA REGOLAMENTAZIONE NON È TARDATA AD ARRIVARE

C'è un altro fattore che ostacola il passaggio dal vecchio al nuovo. Le normative stanno cercando di forzare la nuova tecnologia a comportarsi come la vecchia. Per acquistare Bitcoin è necessario rispettare le normative “Know-your-customer”, ovvero fornire ogni dettaglio sulla propria persona. Qualsiasi guadagno derivante da oscillazioni di prezzo del nuovo asset deve essere dichiarato e su di esso si devono pagare le tasse. Le aziende che desiderano partecipare alla “rivoluzione di Satoshi” devono registrarsi sugli exchange che sono dei punti di strozzatura tra il vecchio e il nuovo.

Ho visto come queste normative, imposte gradualmente e applicate arbitrariamente, abbiano introdotto un elemento di paura in una tecnologia senza paura, distorcendo il settore e rendendolo meno innovativo e competitivo. Ogni volta che viene svelato e inizia a prendere piede un nuovo utilizzo delle reti distribuite, alcuni pezzi grossi emergono dall'alto per mettere in guardia dal “rispetto delle leggi”, concepite per una tecnologia diversa.

I consumatori sono spaventati e l'esperienza dell'utente finale non è migliorata quanto avrebbe potuto in assenza di enormi costi di conformità. Ho visto come l'incertezza giuridica abbia fatto sì che commercianti e consumatori perdessero l'accesso a una varietà di servizi; ho visto imprenditori sospendere i loro progetti in attesa di un editto amministrativo.

Quanto saremmo più avanti in assenza di questi interventi? È impossibile vedere le innovazioni che non abbiamo sperimentato. Sappiamo solo che le cose sarebbero diverse.


QUANTO ABBIAMO DEVIATO DALLA TABELLA DI MARCIA?

Consideriamo cosa succede quando si ricorre al potere per fermare il progresso di una nuova tecnologia. Funziona davvero nel lungo termine? Per rispondere alla domanda dobbiamo considerare gli aspetti controfattuali.

Immaginate se i governi europei avessero preso misure severe per fermare la stampa. Cosa sarebbe successo se le città di tutto il mondo avessero vietato l'automobile? Quale sarebbe stato il destino delle ferrovie, dell'illuminazione elettrica e degli impianti idraulici se interessi particolari li avessero soppressi per favorire le tecnologie prevalenti?

Possiamo solo fare supposizioni, perché niente di tutto questo è realmente accaduto. È vero che non tutti accolsero con favore la stampa. Gli scribi nei monasteri erano preoccupati per il futuro; alcuni si chiedevano se la fede avesse potuto sopravvivere dato l'accesso pubblico ai testi antichi. La maggior parte delle persone, però, vide l'avvento della stampa come un'innovazione gradita. Lo stesso valeva per la combustione interna, l'illuminazione e gli impianti idraulici. Ci fu innegabile lentezza nella loro adozione, inizialmente, poi, improvvisamente, divennero consuetudine.

Qualcuno crede davvero che queste innovazioni avrebbero potuto essere fermate? Ci sono casi nella storia in cui la concessione di monopoli governativi ha ritardato l'ingresso sul mercato dei concorrenti. È successo con il piroscafo in Inghilterra, con gli aerei negli Stati Uniti e con alcune applicazioni software negli ultimi decenni. Ma questi ritardi sono temporanei; i brevetti scadono e la storia va avanti.

Le normative sono diverse. Gli imprenditori devono innovare attorno a esse. Emergono mercati grigi e neri. Chi si assume rischi deve scontrarsi con le autorità, ma alla fine qualcosa cede. Riflettete, ad esempio, sui posibili esiti se ogni lord e barone in Europa nel XII secolo avesse vietato il ferro di cavallo. Pensate che questo avrebbe fermato l'implementazione di tale tecnologia? Molto improbabile e la ragione è una: le idee sono più potenti degli stati. Alla fine i costi dell'applicazione delle normative superano di gran lunga i benefici per la classe dirigente.


UN MONDO “BITCOINIZZATO”

Alla luce di quanto visto in questi ultimi sedici anni, molte delle imposizioni burocratiche/fiscali sono incompatibili con una tecnologia che è nata e opera in un contesto di perfetta libertà.

Alcune legislature hanno iniziato a comprenderlo. Il Wyoming, la Florida, il Texas, il New Hampshire, il Colorado e l'Arizona, ad esempio, hanno una tassazione minima e addirittura inesistente riguardo Bitcoin e gli scambi in bitcoin. Stati come il Wisconsin vagliano leggi che ritengono un diritto l'autocustodia; stati come il Michigan vagliano leggi che inseriranno Bitcoin nella riserva strategica della loro giurisdizione. Questi sono solo esempi immediati, ce ne sono molti altri che ricadono nello stesso alveo e rappresentano un'apertura in rapida crescita nei confronti di questa nuova tecnologia. A riprova che Bitcoin non ha bisogno di loro, ma sono gli stati ad aver bisogno di Bitcoin. Senza contare poi l'incalzante riserva strategica a livello federale che è in canna ai piani dell'attuale amministrazione Trump.

Cosa vi aspettavate che accadesse? Dieci anni fa se il Congresso avesse fatto la stessa cosa, non sarebbe cambiato molto. La tecnologia non esisteva e non sapevamo davvero se avesse potuto esistere.

Cosa succederebbe se domani tutti gli interventi su questa tecnologia venissero revocati? Niente più penalizzazioni per aver acquistato e venduto bitcoin, creato nuove applicazioni, innovato nuovi sistemi di pagamento e così via. Le aziende potrebbero tokenizzare anziché emettere azioni; potrebbero pagare in bitcoin e tenere la contabilità in bitcoin senza subire sanzioni. Riflettete attentamente: potreste trattenere molti più dei vostri guadagni semplicemente passando a una tecnologia migliore.

Quanto tempo ci vorrà prima che l'ecosistema di Bitcoin sostituisca quasi tutto il resto? Perché è tutto qui, in realtà... è sempre stato tutto qui... è sempre stata solo una questione di tempo.


IL PRESENTE COLLIDE NEL PASSATO

Il mondo finanziario e monetario così come esiste oggi è in realtà tenuto insieme da una forza che ci vincola alle vecchie forme. Questa forza non si limita a imporre limitazioni e inefficienze; ​​mantiene letteralmente in piedi una vasta infrastruttura che altrimenti cesserebbe di dominare o addirittura di esistere, e impedisce l'avvento di un nuovo modo di vivere. E questo nuovo modo di vivere non riguarda solo l'acquisto e la vendita. Il denaro fiat e i mercati dei capitali regolamentati sono così centrali nella nostra vita pubblica che l'avvento di un mondo “Bitcoin-centrico” cambierebbe radicalmente il rapporto tra individuo e stato.

Mantenere in vita un vasto sistema solo con la forza non è sostenibile a lungo termine. Se esiste la tecnologia pronta a prendere il sopravvento e frenata solo da mezzi puramente artificiali, ciò non promette bene per il passato affinché possa essere preservato per sempre. Il futuro non può essere rimandato all'infinito nemmeno dagli stati più potenti del mondo. Alla fine le idee prevalgono.

Wendy McElroy, grazie ai suoi studi storici e al suo approfondimento sull'ecosistema Bitcoin, comprende il potere delle idee. Bitcoin e tutto ciò che vi è correlato sono tra le idee più rivoluzionarie della storia. Dimostra come trasformeranno in meglio la struttura dell'economia, della politica e delle relazioni umane. Per arrivare da qui a lì sarà necessaria la più ampia comprensione possibile di ciò che sta accadendo e la McElroy, con il suo libro La rivoluzione di Satoshi, è la guida che tutti stavamo aspettando.


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giovedì 30 ottobre 2025

Mining di Bitcoin e banane islandesi

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joakim Book

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/mining-di-bitcoin-e-banane-islandesi)

In una sconsiderata strategia di marketing ecologico per il suo Paese, il primo ministro islandese, Katrín Jakobsdóttir, ha dichiarato al Financial Times a fine marzo che la sua isola nel mezzo dell'Atlantico dovrebbe usare la sua abbondante energia non per il mining di Bitcoin ma per... coltivare mais (!).

Elogiando la sovranità alimentare in un mondo costellato da crisi energetiche, catene di approvvigionamento sconquassate e guerre, ha ampliato il suo spunto di discussione sull'attualità affermando che “Bitcoin è un problema mondiale”, che “i data center in Islanda utilizzano una quota significativa della nostra energia verde” e che, secondo un nuovo piano energetico per il futuro, Bitcoin non ne avrebbe avuto alcun ruolo.

Dalle dichiarazioni della signora Jakobsdóttir possiamo imparare molto su commercio, energia, agricoltura, mining di Bitcoin e ostentazione politica, quindi approfondiamo.

Innanzitutto se non avete capito cosa fa Bitcoin, come le macchine per il mining (“ASIC”) proteggono la rete o perché è importante per il mondo, qualsiasi energia consumata dai suoi computer, dalle sue macchine per il mining o dai suoi wallet hardware vi sembrerà uno spreco. Ma questo non è il punto: le democrazie liberali occidentali non allocano l'elettricità in base ai casi d'uso che i loro attuali funzionari pubblici ritengono utili, ma lasciano che i singoli individui paghino per le necessità che loro ritengono preziose. Pensate a tutte quelle abbuffate di Netflix, ai videogiochi o alle decorazioni natalizie, che consumano tutte quantità di elettricità simili a quelle del mining globale di Bitcoin.

In secondo luogo l'elettricità totale utilizzata dai data center in Islanda (solo alcuni di essi fanno mining) è stata di 1.169 GWh nel 2021, circa il 6% del consumo totale del Paese, ovvero poco più del consumo di tutte le famiglie messe insieme. Tale consumo è completamente sminuito dall'elefante energetico nella stanza: l'industria dell'alluminio. Circa due terzi dell'elettricità nazionale (ovvero 12.454 GWh, ovvero 11 volte il consumo totale dei data center, ovvero circa il 20% del consumo energetico totale, quest'ultimo dato include anche il riscaldamento e la benzina) viene utilizzato per trasformare la bauxite importata in alluminio destinato all'esportazione. È un'attività piuttosto redditizia. Le tre fonderie di alluminio del Paese contribuiscono all'economia islandese quasi quanto il settore turistico, molto più noto e pubblicizzato.

È anche per questo che Daníel Jónsson, amministratore delegato di GreenBlocks, un'azienda di mining, ha aperto il suo editoriale sul quotidiano islandese Visir criticando la Jakobsdóttir con la proposta di una centrale idroelettrica in Etiopia. L'energia e l'elettricità inutilizzate sono una calamita per i miner di Bitcoin, poiché prendono l'elettricità che non può essere prontamente utilizzata per altri scopi e la trasformano in una delle risorse più liquide e trasferibili a livello mondiale.

Jónsson osserva che il principio “non è poi così diverso dal percorso intrapreso dall'Islanda negli anni '60, quando [gli islandesi] decisero di costruire centrali elettriche ed esportare elettricità [...] per l'industria dell'alluminio”. Sebbene gli islandesi abbiano molto da dire sugli impianti geotermici e sulle dighe fluviali, è innegabile che il popolo islandese viva bene anche grazie al successo dell'esportazione di elettricità.

Il mining di Bitcoin è solo un altro modo per fare la stessa cosa: trasformare l'energia intrappolata, con pochi usi alternativi, in qualcosa che il resto del mondo desidera avere.

In terzo luogo, il mais?! Davvero?! La mentalità da pianificazione centralizzata coinvolta qui è sorprendente. A 64 gradi nord in un paesaggio aspro con poche superfici pianeggianti o terreni coltivabili come invece negli infiniti campi di mais del Midwest, dove per otto mesi all'anno non cresce altro che ghiacciai e cumuli di neve, dove le risorse naturali più abbondanti sono pesci, cascate e calore geotermico, si vuole coltivare mais?

Certo, proprio come le stampanti di banconote infinite possono permettere a qualsiasi azienda, organizzazione o governo di sopravvivere, l'elettricità infinita può far accadere la maggior parte delle cose. Di conseguenza in Islanda si può coltivare di tutto, compresi i pomodori locali – che invadono i negozi di Reykjavík – e fichi, arance e banane – che crescono invece in una serra gestita da un'università a un'ora dalla città (a quanto pare in Islanda si coltivano banane dagli anni '50, anche se non sono mai diventate commercialmente redditizie poiché la scarsa luce solare, anche integrata con quella artificiale, fa maturare una pianta di banana in circa due anni rispetto ai pochi mesi necessari in Sud America o in Africa).

In quarto luogo il valore economico del commercio. Nel suo libro, The Myth of the Rational Voter, l'economista Bryan Caplan della George Mason University documenta come una delle differenze tra la popolazione e gli economisti sia il grado di esitazione nell'interagire con gli stranieri, in particolare per quanto riguarda il valore del commercio estero. Mentre gli economisti, alla lavagna, iniziano a blaterare di Ricardo o del vantaggio comparato, i cittadini comuni tendono a pensare a localismo, perdita di posti di lavoro e delocalizzazione.

Forse la popolazione di un Paese, affamata di banane, potrebbe essere meglio rifornita coltivandole utilizzando abbondante elettricità locale, anche se il clima e la scarsa insolazione invernale non sono adatti. Oppure si potrebbe ottenere frutta in quantità maggiore, più economica e di migliore qualità acquistando bauxite dall'estero, investendovi due terzi dell'elettricità nazionale, trasportando all'estero l'alluminio risultante e infine facendo tornare altre navi e aerei con banane e pomodori freschi.

I giornalisti del Financial Times hanno aggiunto con naturalezza che “l'Islanda produce la maggior parte dei prodotti animali che consuma, ma solo l'1% dei suoi cereali e il 43% delle sue verdure”, come se queste fossero statistiche in qualche modo rilevanti. Lo stesso si può dire di una città o di una famiglia (“[...] produce solo circa l'1% del suo consumo alimentare e il 5% delle sue verdure, in gran parte dal suo orto estivo”); non hanno alcun significato economico.

Prendiamo ad esempio New York City. Nonostante i numerosi orti comunitari e gli sforzi considerevoli compiuti negli ultimi anni dalle autorità per sostenere i prodotti locali in città, possiamo tranquillamente supporre che solo una miseria del cibo consumato ogni giorno a Manhattan venga coltivata lì. Nessuna persona sana di mente pensa che questo sia un problema. In economie integrate e monetarie con facile accesso ai trasporti e al commercio internazionale, queste cose non contano più.

Il sistema economico è controintuitivo in questo senso: ciò che a un osservatore superficiale può sembrare una follia assoluta, può avere perfettamente senso. È meglio coltivare le mele localmente o farsele spedire dalla Nuova Zelanda? L'Islanda dovrebbe coltivare banane, fichi e mais, o utilizzare l'energia per fornire circa il 2% dell'alluminio mondiale?

Nonostante la “disastrosa” carenza di produzione agricola dell'Islanda, il Paese è ben fornito di cereali e ortaggi tutto l'anno, proprio come agli abitanti di New York non mancano frutta e verdura fresche. L'idea risale ai dibattiti sulle Corn Laws del 1800 e, dopo la vittoria del libero scambio, la Britannia ha esplicitamente fatto affidamento sugli stranieri per il suo sostentamento. Un gran bell'affare.

Utilizzando calcoli economici e profitti/perdite derivanti dal sistema dei prezzi, possiamo trovare la risposta a queste domande: se un'azienda o un'attività realizza un profitto è la conferma che il prodotto è stato valutato positivamente dai consumatori rispetto a ciò che è stato impiegato per realizzarlo.

Ma forse possiamo fare entrambe le cose? Un computer ASIC è poco più di una rumorosa stufa dotata di alcuni processi di hashing, i quali convertono quasi tutta l'elettricità consumata in calore. Se i funzionari pubblici islandesi volessero coltivare più pomodori, banane, o mais utilizzando l'elettricità verde di cui la loro terra è così benedetta, potrebbero semplicemente piazzare qualche ASIC nelle loro serre.

Immaginate: potreste acquistare verdure islandesi coltivate localmente e proteggere la più grande rete monetaria digitale del mondo. Forse la coinbase guadagnata da miner Bitcoin potrebbe pagare uno staff di ricerca proprio su Bitcoin presso l'ufficio del Primo Ministro islandese.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 29 ottobre 2025

Il declino economico della Cina e il suo impatto sugli Stati Uniti

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Lance Roberts

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-declino-economico-della-cina-e)

Pochi sono così schietti e storicamente accurati come il gestore di hedge fund, Kyle Bass, nell'identificare le rotture strutturali dell'economia mondiale. In una recente intervista Bass ha dipinto un quadro fosco, ma eloquente, della situazione economica della Cina:

Stiamo assistendo ai più grandi squilibri macroeconomici che il mondo abbia mai visto e tutti questi squilibri stanno raggiungendo il culmine in Cina.

Sebbene la Cina sia stata a lungo considerata la prossima grande superpotenza economica, la sua recente traiettoria rivela una storia ben diversa, segnata da passi falsi politici, da un marciume finanziario sistemico e da un motore di crescita in rapida erosione.

Anche Bass non ha usato mezzi termini:

L'economia cinese sta precipitando senza freni.

Il deflatore del PIL cinese, la misura più ampia dei prezzi di beni e servizi, continua a scendere mentre l'attività economica va via via scemando.

Per gli investitori di tutto il mondo questa non è solo una preoccupazione regionale; è un evento macroeconomico sismico che avrà ripercussioni sui mercati dei capitali. Le implicazioni sono significative per gli investitori statunitensi, perché quando le economie globali vacillano, soprattutto in una grande e interconnessa come quella cinese, i capitali non solo svaniscono ma si spostano. Questo movimento avrà un impatto significativo sugli asset statunitensi, poiché i flussi si trasferiranno nuovamente in dollari e titoli del Tesoro americani. Questo riposizionamento globale dei capitali non è solo un sintomo di volatilità; riflette una profonda rivalutazione del rischio di fronte al deterioramento della fiducia nel sistema finanziario cinese.


La storia della Cina

Dobbiamo esaminare cosa sta succedendo in Cina per capire perché è importante. Bass ha sottolineato che il nocciolo della questione risiede nel settore immobiliare, il quale rappresenta circa il 30% del PIL cinese. Questa enorme quota dell'attività economica è sottoposta a forti pressioni, con costruttori immobiliari inadempienti, volumi di vendita in calo e prezzi delle case in calo nelle principali città. Tuttavia questo non dovrebbe sorprendere, poiché, dopo la crisi finanziaria, abbiamo scritto più volte della massiccia costruzione di “città fantasma” che erano responsabili della crescita della Cina all'epoca. Tuttavia l'effetto “frusta” di quella massiccia costruzione era inevitabile.

«Si trovano seduti su 60-70 milioni di case vuote. È uno schema Ponzi che sta finalmente crollando.»

~ Kyle Bass

Questa particolare bolla immobiliare, di dimensioni senza precedenti, sta scoppiando. Ciò crea pressioni deflazionistiche e mina il valore delle garanzie a supporto di ampie porzioni del sistema bancario ombra cinese.

Ad aggravare le cose c'è il rifiuto del Partito Comunista Cinese di attuare riforme che porterebbero maggiore trasparenza, disciplina del capitale e correzioni basate sul mercato. Invece di consentire ai mercati di stabilizzarsi, Pechino sta optando per il controllo attraverso restrizioni sui capitali, interventi statali e una maggiore sorveglianza dell'attività finanziaria.

«La Cina sta attraversando una crisi bancaria al rallentatore e il capitale sta facendo tutto il possibile per uscirne.»

~ Kyle Bass

Questa fuga di capitali è inevitabile e, come già detto, avrà un impatto significativo sull'economia e sui mercati finanziari degli Stati Uniti.


Capitale in cerca di un porto sicuro

Questo esodo di capitali nazionali ed esteri rimodellerà il panorama macroeconomico globale. Di recente abbiamo discusso di come la narrazione della “morte del dollaro” fosse ampiamente esagerata. Sebbene l'articolo approfondisca ulteriormente, ci sono cinque ragioni principali per cui il dollaro rimarrà la valuta di riserva mondiale:

  1. Mancanza di una valuta alternativa valida;
  2. Forza dell'economia statunitense;
  3. Effetti di rete e inerzia finanziaria globale;
  4. Portata limitata degli sforzi di de-dollarizzazione;
  5. Resilienza di fronte ai cambiamenti politici.

Ma la cosa più importante è che il dollaro domina la composizione delle transazioni monetarie mondiali.

Il crollo economico della Cina non fa che intensificare la dipendenza del mondo dal dollaro per gli scambi commerciali e per l'accumulo di riserve di asset a sostegno di tali scambi.

In tempi di crisi gli investitori non cercano rendimento, cercano sicurezza. Nonostante gli Stati Uniti continuino a gestire squilibri fiscali e a mantenere elevati livelli di debito, il dollaro e i titoli del Tesoro americani rimangono i principali beni rifugio al mondo. Non esiste un'alternativa con la stessa profondità, liquidità e sicurezza percepita.


Il dollaro è destinato a salire

Con la fuga dei capitali dalla Cina e da altri mercati più rischiosi, il dollaro si rafforza. Non si tratta solo di un concetto teorico; è un andamento osservabile in ogni grande crisi degli ultimi decenni. La crisi finanziaria globale, la crisi del debito dell'Eurozona, la pandemia di COVID-19 e il conflitto tra Russia e Ucraina hanno tutti innescato un forte rialzo del dollaro, in quanto gli investitori cercavano la stabilità percepita del sistema finanziario statunitense.

Il meccanismo è semplice. Quando i capitali globali confluiscono nei dollari, spesso lo fanno direttamente nei titoli del Tesoro statunitensi. Questi ultimi rimangono il mercato del debito sovrano più profondo e liquido al mondo. Come discusso nell'articolo citato in precedenza, le banche centrali del resto del mondo stanno tagliando i tassi a uno dei ritmi più rapidi mai registrati:

La BCE ha tagliato i tassi in modo aggressivo, otto volte nell'ultimo ciclo, mentre la Federal Reserve è rimasta pressoché ferma. Il risultato è una divergenza che si sta sviluppando tra i rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi e, ad esempio, quelli dei Bund tedeschi.

È fondamentale capire perché questo sia così importante per gli investitori.

  1. I rendimenti più elevati attraggono afflussi di capitali;
  2. I titoli del Tesoro americani restano il deposito preferito di riserve estere;
  3. I differenziali di rendimento determinano l'apprezzamento del dollaro.

In altre parole, all'aumentare della domanda dei titoli del Tesoro, i prezzi delle obbligazioni salgono e i rendimenti diminuiscono. Anche quando gli Stati Uniti registrano deficit record ed emettono ingenti quantità di nuovo debito per finanziare la spesa pubblica, la domanda estera può compensare la pressione al ribasso che questa offerta potrebbe altrimenti esercitare sui prezzi.

In un contesto globale stabile, ci si aspetterebbe che l'aumento delle emissioni di titoli del Tesoro spingesse i rendimenti al rialzo. Ma in un mondo in cui la seconda economia più grande è in declino e la fiducia nel suo sistema finanziario sta svanendo, i titoli del Tesoro americani trovano acquirenti non perché offrono rendimenti elevati, ma perché forniscono un ritorno garantito sul capitale. Questa distinzione è fondamentale. Gli investitori non allocano il capitale per la crescita, ma lo riallocano per la conservazione. Questo cambiamento comportamentale ha enormi implicazioni per i mercati.


L'impatto deflazionistico della Cina sugli Stati Uniti

Ha anche conseguenze per l'economia statunitense. Gli Stati Uniti hanno beneficiato enormemente dell'ascesa della Cina negli ultimi 20 anni. Durante tal periodo, gli Stati Uniti, attraverso le loro aziende, hanno potuto “esportare inflazione” e “importare deflazione” grazie alla manodopera a basso costo, alla crescente classe media cinese e alla vorace domanda di materie prime e beni cinesi. Dai macchinari industriali ai marchi di consumo di fascia alta, la Cina è stata un affidabile acquirente marginale per le esportazioni statunitensi e un partner produttivo per le catene di approvvigionamento statunitensi. Con l'indebolimento di questo motore, gli utili delle multinazionali statunitensi saranno sempre più sotto pressione.

Una Cina strutturalmente indebolita si traduce in un calo del commercio globale, una minore domanda di beni e servizi statunitensi e un rallentamento dei flussi di investimento da parte delle multinazionali. L'effetto domino sarà una minore crescita del PIL nominale negli Stati Uniti, anche se i consumi interni rimarranno resilienti. Di conseguenza i mercati inizieranno a scontare un tasso di crescita terminale inferiore per l'economia statunitense, in particolare nei settori esposti alla domanda internazionale.

Inoltre la discesa della Cina in deflazione potrebbe esportare pressioni disinflazionistiche a livello globale. Questo rischio probabilmente aumenterà le probabilità che la FED possa commettere un “errore transitorio”.

Questo legame tra economia e inflazione è evidente dall'Indice Composito Economico, che comprende quasi 100 dati hard e soft. Dopo il picco dell'attività economica post-pandemia, la crescita economica continua a scemare. Dato che l'inflazione è funzione esclusivamente della domanda e dell'offerta economica, non sorprende che continui a rallentare.

Considerando che gli Stati Uniti importano deflazione dalla Cina, il rischio di un impatto disinflazionistico più marcato da parte della Cina sugli Stati Uniti diventerà evidente nei dati economici. Come ha osservato lo stesso Bass:

Non si tratta solo di una recessione ciclica. Si tratta di un passaggio permanente verso una crescita reale pari a zero o negativa.

Questa valutazione ha profonde conseguenze per la Cina e per il modo in cui i decisori politici e gli investitori concepiscono la crescita globale nel prossimo decennio.


Conclusione

In questo contesto i tradizionali driver delle performance di mercato, della crescita degli utili, dell'aumento della produttività e degli investimenti di capitale passeranno in secondo piano rispetto alla stabilità macroeconomica e alla gestione del rischio. Gli investitori dovrebbero spostare la loro analisi da  “Dove posso far crescere il mio capitale?” a “Dove posso proteggerlo?”.

Per ora la risposta è il mercato dei titoli del Tesoro statunitensi. Nonostante i deficit fiscali e l'impasse politica, il capitale preferisce gli Stati Uniti a qualsiasi altra alternativa. Questo dovrebbe dirci qualcosa.

Come abbiamo già scritto molte volte:

Al capitale non interessa l'ideologia: interessa la fiducia, la liquidità e lo stato di diritto.

Quando la fiducia in una potenza economica importante come la Cina svanisce, i flussi di capitali che ne derivano non camminano, ma corrono.

Gli investitori farebbero bene a prestare attenzione. Il cambiamento in atto non è temporaneo, riflette un profondo riassetto della leadership economica globale e della tolleranza al rischio. Sebbene gli Stati Uniti si trovino ad affrontare numerose sfide strutturali, per ora restano la camicia più pulita in un mucchio di panni sporchi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 28 ottobre 2025

Per ragioni di sicurezza nazionale, c'è bisogno di uranio estratto in America

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Ivan Maldonado

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/per-ragioni-di-sicurezza-nazionale)

Forse è ancora troppo presto per celebrare la rinascita dell'energia nucleare negli Stati Uniti, ma si sta verificando un'impennata di attività che dovrebbe portare alla diffusione di una nuova generazione di centrali nucleari avanzate e piccoli reattori modulari.

Ciò è particolarmente vero per i principali consumatori di energia industriale, tra cui ora rientrano anche i data center, dove esiste un forte incentivo economico a utilizzare maggiormente l'energia nucleare al posto del gas naturale e delle energie rinnovabili intermittenti.

In Illinois Meta ha di recente firmato un accordo a lungo termine per l'acquisto di energia nucleare dalla centrale nucleare di Constellation a Clinton, l'ultimo di una serie di accordi tra le grandi aziende tecnologiche e l'industria nucleare. Constellation ha anche dichiarato che avrebbe riavviato l'Unità Uno di Three Mile Island in Pennsylvania e venduto l'energia a Microsoft nell'ambito di un accordo ventennale. Anche Google ha accettato di finanziare lo sviluppo di piccoli reattori modulari, o SMR, in tre nuovi siti nucleari in Oregon. TVA prevede di costruire SMR nel suo sito di Clinch River e Kairos Power ha un progetto per un reattore avanzato a sali fusi. Inoltre Amazon, Google e Meta hanno firmato a marzo un impegno che prevede di triplicare l'energia nucleare a livello mondiale entro il 2050.

Aggiungere l'energia nucleare alla nostra lista di opzioni energetiche ha senso perché è l'unico modo per generare grandi quantità di elettricità a zero emissioni in modo affidabile per data center, veicoli elettrici e industrie alimentati dall'intelligenza artificiale. Ma la crescente domanda di elettricità e di energia nucleare evidenzia una questione seria: chi fornirà le enormi quantità di uranio necessarie per alimentare le centrali nucleari?

Attualmente il 95% dell'uranio utilizzato negli impianti nucleari statunitensi viene importato da altri Paesi, con la Russia e gli ex-stati sovietici che inondano il mercato mondiale e spingono gli altri fuori dal mercato. Anche la Cina sta rapidamente espandendo la sua influenza nella catena di approvvigionamento globale dell'uranio, ma la dipendenza americana dalle importazioni di uranio non è dovuta alla mancanza di risorse interne.

Infatti a metà degli anni '70 gli Stati Uniti erano l'unico fornitore di uranio arricchito in Occidente e gli affari prosperavano. Da allora i prezzi artificialmente bassi – e l'antagonismo politico nei confronti della produzione nazionale – hanno costretto i clienti statunitensi a cedere il passo alla concorrenza estera. Attualmente negli Stati Uniti sono operative solo cinque miniere di uranio, contro le diverse decine degli anni '70 e le 20 nel 2009.

Una crisi dell'uranio potrebbe non essere imminente, ma le implicazioni a lungo termine dell'acquisto di uranio estero a basso costo anziché dalle compagnie minerarie statunitensi sono preoccupanti, in particolare per la difesa nazionale, inclusa la flotta di portaerei e sottomarini nucleari della Marina. Anche la flotta nazionale di 94 centrali nucleari richiede una fornitura affidabile di uranio.

Le industrie americane, compresa la nostra base industriale della difesa, sono attualmente sottoposte a un'enorme pressione a causa delle restrizioni cinesi sulle esportazioni di commodity, comprese le terre rare. Sappiamo fin troppo bene che l'era dell'eccessiva dipendenza dalle importazioni di commodity deve finire. Questa è una vulnerabilità economica, energetica e di sicurezza nazionale che è diventata insostenibile.

Dato il rischio di un'interruzione delle importazioni di uranio, o di un'impennata del prezzo dello stesso,  c'è bisogno di una politica governativa per contrastare la minaccia alla sicurezza nazionale e all'economia americana. Il presidente Trump ha di recente affermato che l'amministrazione elaborerà raccomandazioni per rilanciare ed espandere la produzione di uranio statunitense. Questo è un buon primo passo, ma dobbiamo far coincidere le intenzioni con i fatti.

La dipendenza americana dalle commodity importate, in particolare da Paesi avversari, rappresenta una grave minaccia per la sicurezza nazionale. E causerà seri problemi a settori chiave della economia americana se non si interviene al più presto per incrementare la produzione interna. Per queste ragioni gli Stati Uniti si trovano ora ad affrontare una sfida monumentale: aumentare la produzione di uranio, diversificare le catene di approvvigionamento per proteggere la sicurezza nazionale e farlo in modo sostenibile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 27 ottobre 2025

Il costo nascosto dell'istruzione gratuita in Europa

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Lika Kobeshavidze

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-costo-nascosto-dellistruzione)

Il modello universitario europeo è spesso visto come un trionfo della società moderna. Senza tasse universitarie esorbitanti, con un debito studentesco minimo e la promessa di pari accesso, sembra la soluzione ideale. In Paesi come Germania e Francia gli studenti pagano solo una piccola quota amministrativa, in genere tra i $200 e i $500 all'anno, rispetto ai costi di iscrizione esorbitanti degli Stati Uniti o del Regno Unito. Molti ricevono anche aiuti finanziari sotto forma di borse di studio che non devono essere rimborsate, o prestiti a basso interesse in base alle necessità.

Ma dietro le promesse di equità e opportunità si nasconde un sistema che troppo spesso è rigido, sovraffollato e poco stimolante.

Nonostante l'accessibilità, la realtà di doversi orientare in queste istituzioni può far sentire gli studenti come se fossero solo un numero in una gigantesca macchina burocratica.

Quando l'istruzione è accessibile a tutti, le università si riempiono. Le aule sono sovraffollate e il contatto personale con i professori diventa raro. In molti Paesi europei è normale frequentare le lezioni con centinaia di altri studenti. C'è poco spazio per discussioni, feedback, o persino domande.

Ti siedi, prendi appunti, vieni promosso o bocciato. Sembra più una catena di montaggio che un luogo di apprendimento. E i numeri spiegano il perché. Nel 2022 l'Unione Europea contava 18,8 milioni di studenti, circa il 7% della sua popolazione totale, iscritti all'istruzione terziaria. Negli Stati Uniti circa  19,1 milioni di persone si sono iscritte all'università durante l'anno accademico 2024-25. Oltre a cifre di iscrizione simili, sia l'UE che gli Stati Uniti hanno reso l'istruzione superiore ampiamente accessibile. Nell'UE, dove le tasse universitarie sono spesso infime o fortemente sovvenzionate, l'istruzione superiore viene ampliata per accogliere la maggioranza. Nel 2022 il 44% dei cittadini dell'UE di età compresa tra 25 e 34 anni aveva completato un corso di laurea, rispetto al 50% negli Stati Uniti.

I due sistemi differiscono nella struttura. Ciò che li distingue non è il numero di studenti, ma il modo in cui viene erogata l'istruzione. Le università europee tendono a basarsi su lezioni di grandi dimensioni, percorsi di studio rigidi e una limitata competizione istituzionale. Il risultato è un modello costruito sulla fredda efficienza piuttosto che sull'individualismo. Le istituzioni statunitensi, al contrario, operano in un ambiente competitivo e decentralizzato, con una gamma più ampia di strutture accademiche, inclusi college più piccoli e una progettazione dei programmi più flessibile.

Quando l'istruzione superiore è dimensionata per servire quasi tutti, come in gran parte d'Europa, si rischia di barattare la profondità con la capacità di elaborazione e la personalizzazione con la comodità amministrativa. Alla fin fine funziona lo stesso, ma a costo di trattare l'istruzione meno come un percorso e più come un processo burocratico.

A causa di questa scala il sistema si basa fortemente sulla standardizzazione. I programmi sono progettati per soddisfare le esigenze della maggioranza, il che significa che spesso non lasciano spazio a chi pensa o impara in modo diverso. Questa rigidità non inizia all'ingresso dell'università. In Paesi come Germania e Francia gli studenti vengono indirizzati verso percorsi accademici, o professionali, già a partire dagli 11 o 12 anni. Se non si viene inseriti nel percorso giusto in quel momento, le possibilità di accedere all'università in seguito possono ridursi drasticamente. Di conseguenza quando gli studenti accedono all'istruzione superiore sono già stati incanalati in un sistema che limita la crescita personale, la sperimentazione e le seconde possibilità.

Questa rigidità produce qualcosa di più profondo della semplice frustrazione. Crea una cultura del conformismo. Ci si aspetta che gli studenti seguano il percorso ufficiale, finiscano in tempo e non facciano troppo rumore. Fallire o impiegare più tempo per laurearsi è visto come una debolezza, anche se il processo di tentativi ed errori è essenziale per un apprendimento autentico. L'idea di esplorare diverse discipline o di fermarsi a riflettere è raro che sia incoraggiata. Il successo si misura in base all'efficienza con cui si completa il programma, non in base a quanto si scopre su sé stessi o sul mondo.

Di conseguenza la creatività si perde. Gli studenti che vogliono correre rischi, provare cose nuove, o porre domande scomode finiscono per trovare scarso supporto. I professori spesso non hanno tempo per fare da mentore ai singoli studenti. Gli studenti hanno una scelta limitata su cosa studiare, o come affrontarlo. In questo sistema l'obiettivo non è ispirare, ma produrre.

Ora confrontate tutto questo con sistemi in cui la competizione e la scelta sono più centrali. Negli Stati Uniti gli studenti possono scegliere liberamente il proprio percorso di studi, cambiare indirizzo, o persino prendersi del tempo libero senza penalità. Nel Regno Unito le università competono per accaparrarsi gli studenti, spingendole a offrire programmi più innovativi e un insegnamento migliore. Questi modelli sono tutt'altro che perfetti, soprattutto in termini di costi, ma spesso offrono più spazio alla crescita personale, al pensiero indipendente e alla libertà accademica.

Non si tratta di un invito a ripristinare tasse universitarie elevate. L'istruzione dovrebbe essere accessibile, ma l'accessibilità da sola non garantisce la qualità. Il modello europeo spesso rinuncia alla flessibilità in favore dell'accesso; è costruito per servire tutti allo stesso modo, il che significa che fatica a servire bene chiunque.

Non è sempre stato così. Con l'apertura delle università europee al grande pubblico nel XX secolo, l'esigenza di efficienza portò a strutture rigide e programmi di studio standardizzati. Quello che un tempo era un sistema per pochi privilegiati divenne una catena di montaggio per milioni di persone. Per contestualizzare il concetto per i lettori americani: la maggior parte degli studenti europei paga meno di $500 all'anno in tasse universitarie. A titolo di confronto, mentre le università statunitensi hanno una media di oltre $38.000 all'anno, la maggior parte degli studenti americani frequenta istituti più accessibili, con tasse universitarie statali che si aggirano in media sui $10.000 in quelle pubbliche e sui $3.000 nei community college.

Prendiamo ad esempio la Svezia. Molti studenti non iniziano l'università prima dei vent'anni, in parte perché il sistema offre pochi incentivi a iniziare prima. Una volta iscritti, i percorsi accademici sono stretti e cambiare direzione è difficile.

In Italia gli studenti spesso rimangono all'università per molti anni. Non perché siano eccessivamente curiosi o appassionati, ma perché il sistema è obsoleto e lento. I tassi di abbandono sono alti e le lauree hanno scarso peso nel mercato del lavoro.

E in Francia alcune delle scuole più prestigiose non fanno affatto parte del sistema universitario pubblico. Le Grandes Écoles sono a pagamento, più selettive e offrono un'istruzione più personalizzata. Ironia della sorte sono considerate migliori proprio perché non seguono il modello “libero per tutti”.

La verità è che la vera libertà educativa significa molto più che eliminare le tasse universitarie. Significa permettere agli studenti di esplorare, fallire, cambiare e trovare la propria strada. Significa incoraggiare l'innovazione e premiare la curiosità. E sì, significa permettere ai sistemi di competere ed evolversi.

Il sistema educativo europeo è motivo di orgoglio, ma quest'ultimo non dovrebbe impedire le riforme. Dobbiamo porci domande più difficili: stiamo costruendo istituzioni che siano davvero al servizio degli studenti, o stiamo semplicemente creando macchine che trattano tutti allo stesso modo?

Se l'istruzione deve preparare le persone al futuro, allora dobbiamo assicurarci che i nostri sistemi siano sufficientemente flessibili da crescere con essi. Quando si forzano tutti a conformarsi allo stesso schema, si rischia di distruggere proprio ciò che rende l'istruzione potente: la capacità di pensare in modo diverso.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 24 ottobre 2025

Il mondo dietro di voi

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-mondo-dietro-di-voi)

Come si suol dire, “a furor di popolo” quello di oggi sarà una sorta di pezzo riepilogativo di quanto successo finora nel panorama geopolitico ed economico. Andremo a vagliare il contesto reale, quello che a livello generalistico è contorno mentre invece è la vera sostanza di quanto accade sotto i nostri occhi. Capiremo soprattutto come l'incompetenza, in verità, è meno diffusa di quanto si possa credere nelle aule della politica, abilmente mascherata dalla malizia sottostante. La vendita alla popolazione osservante dell'incompetenza delle figure sotto i riflettori è un attenuante di gran lunga più digeribile rispetto alla piena consapevolezza delle loro azioni. In questo modo si scambiano anche “tenenti”, “colonnelli” e “generali” per i veri governanti. Ogni strato in piena vista compie azioni che fanno riferimento a uno strato superiore costituito da altri individui che conoscono le informazioni dello strato inferiore più le loro e così via fino a salire fino in cima a questa catena di comando dove la “cupola mafiosa” fatta di famiglie e interessi antichi, molto antichi, tirano le stringhe delle marionette. Ovviamente non hanno tutte le informazioni del mondo, impossibile per un semplice essere umano, ciò che hanno invece è l'esperienza della storia e la capacità di influenzare pesantemente l'ambiente al di sotto del loro raggio d'azione. E come in ogni cupola mafiosa che si rispetti, ci sono alleanze e tradimenti, interessi circostanziali ed esistenziali. Nessuno è amico di nessun altro, ma la coincidenza d'intenti quella sì che investe di una patina superficiale di amicizia la fugacità di una alleanza.

Se immaginate il caos, vi sbagliate. Esiste un “codice di condotta” e come in qualsiasi gioco esistono delle regole. Certo, possono essere stiracchiate fino alla quasi rottura, ma non possono essere infrante. Il sopraccitato codice è il Diritto marittimo, il quale regola e imposta le relazioni tra gli “uomini” sulla “terra”. Per quanto la Legge naturale dovrebbe essere il faro guida al di sotto del quale tutti dovrebbero sottostare, artifici semantici e capovolgimenti giuridico/religiosi hanno portato al di sopra della stessa il Diritto marittimo. In questo senso la cupola mafiosa risponde certamente a una sorta di “diritto” e regole, ma non sono le stesse cui è sottoposta la gente comune (la formula la “Legge è uguale per tutti” è la legge del più forte, coniata per la prima volta in quella che fu la Battaglia di Milo). La scena della riunione tra le varie bande criminali nel film, Il Padrino, è utile in questo senso per capire meglio quanto detto finora.

È qualcosa di nuovo? No. Vi basta osservare qualsiasi chiesa, ad esempio, e noterete che gli affreschi a sfondo religioso saranno caratterizzati anche da stemmi di casate nobiliari. La propaganda dell'epoca la potremmo definire, sostituita oggi dall'intrattenimento di massa, ciononostante la storia è una cronologia di battaglie, alleanze e tradimenti di famiglie che si sono godute il privilegio di poter “gestire” le persone (inconsapevoli) al di sotto di esse. L'Unione Europea, per fare un esempio contemporaneo, è una tecnocrazia oligarchica dove famiglie di potere (come quella della Von der Leyen) usano un impianto tecnocratico per governare. La guida occulta che sto descrivendo avviene tramite il cosiddetto “sottobosco statale”, lo Stato profondo, e questo si riverbera sugli apparati amministrativi “alla luce del sole” che subiscono pesantemente questa influenza. È una saldatura che permette a suddette famiglie di insinuare i propri sodali e, come in uno schema piramidale, così riesce a sostenersi nel tempo e proiettare maggiore potere.

L'epoca storica moderna non permette più l'imposizione del potere politico tramite quello economico, bensì tramite la tecnocrazia. “Lo dice la scienza” è l'eggregora per eccellenza che, come un grimaldello, apre le coscienze della maggior parte delle persone ed esse diventano disponibili (acconsentono) a sottostare alla direzionalità impostata dall'alto. In tutta Europa, al giorno d'oggi, la politica è stata sostituita dalla tecnica e la magistratura è un braccio armato di quest'ultima. In questo mondo fatto di famiglie/fazioni/bande mafiose e retto da tecnocrati facenti funzione, la popolazione è convinta che tutto sia fatto di tecnica e pensa altresì che le varie “macroaree” (economia, geopolitica, politica estera, ecc.) siano fatte di decisioni tecniche. Lasciare tutto nelle mani dei tecnici, affidarsi ai tecnici che applicano i principi studiati, delegare: la ricetta perfetta per l'assenza di contestazioni o indagini.

L'era moderna della geopolitica è indubbiamente iniziata con la Brexit. Ripensate al giugno del 2016: Trump stava correndo contro la Clinton per la presidenza degli USA e le piazze inglesi erano infervorate da gente come Farage che spingevano per un voto contro l'UE. Alla luce di quanto detto finora, è chiaro come il giorno che anche quest'ultimo non era affatto mosso da scopi individuali e questo a sua volta significa che il movimento di chi voleva lasciare l'UE non era affatto “populista”. Stiamo parlando di quegli oligarchi, quell'aristocrazia inglese, che gravitano intorno alla City di Londra e che hanno “tradito” la Thatcher e venduto l'Inghilterra all'Unione Europea (cfr. The Rotten Heart of Europe). C'è stata la Brexit perché Trump non era quello che doveva vincere la carica di presidente e, col senno di poi, essa s'è dimostrata una lotta su chi avrebbe dovuto controllare le istituzioni post-Seconda guerra mondiale dopo il sacco completo degli Stati Uniti.

La vittoria della Clinton avrebbe dovuto impantanare ancora di più il Paese e permettere alle fazioni globaliste all'estero di prenderne il controllo. Così sarebbe stata una faida su chi avrebbe esercitato il diritto di sedere a “capotavola” ed essere il decisore più influente: l'aristocrazia inglese, i vecchi neoconservatori inglesi, i vecchi membri dell'Impero inglese, o i globalisti continentali (olandesi/tedeschi/francesi). Tony Blair e Jacob Rees-Mogg non “giocano” nella stessa squadra; per quanto siano entrambi globalisti il primo fa riferimento all'UE, ad esempio. Così come Obama... e così come Farage fa riferimento al vecchio conglomerato dell'Impero inglese nella City di Londra. Quest'ultima gente è “l'eredità” di coloro che ci hanno dato la Dichiarazione di Balfour, tanto per far capire i legami. Detto in termini più sintetici, le fazioni e le famiglie che costellano il mondo della geopolitica, della politica e della finanza si preparavano a banchettare sul cadavere degli Stati Uniti e spolpare ciò che ne rimaneva. A quest'ora, infatti, l'UE, l'ONU, l'FMI e la BRI avrebbero dovuto essere i riferimenti cardine del “nuovo mondo”. A tal proposito, cosa pensate che sia la recente linea di swap in dollari con l'Argentina se non l'applicazione della Dottrina Monroe da parte degli Stati Uniti e lo sganciamento della nazione dai prestiti FMI/Banca mondiale?

Quindi la Brexit era il classico “coltello nella schiena” piantato dagli inglesi nella schiena dell'UE. Si sarebbero alleati con la “nuova” America e avrebbero pienamente riconquistato la colonia fuggita. Sin da allora si è trattato di una lotta ai vertici della cupola mafiosa che governa le persone e chiunque prevalga alla fine non equivale alla “salvezza” della popolazione in generale. Nella migliore delle ipotesi si tratta di una qualità di vita lievemente migliore. La maggior parte delle persone cadrà vittima della divisione tra presunti buoni e cattivi, schierandosi con i primi. Non esistono né i primi, né i secondi; esistono solo opportunità per la gente comune di trarre vantaggio da lotte al vertice come questa, se non altro per non finire schiacciata come formiche da giganti che si prendono a randellate sulla testa. Schierarsi significa perire.

Cos'è successo nel novembre del 2016 poi? Donald Trump è stato eletto e non doveva accadere. Queste due cose hanno richiesto una revisione dei piani in corsa, dato che il tabellone di gioco non era più quello che si credeva dovesse essere. Inutile dire che l'errore è spesso il figlio dell'improvvisazione.

E qui facciamo un passo indietro introducendo nell'analisi la componente economica. Partiamo dal LIBOR.


LIBOR ED EURODOLLARI

Questo è un tema ancora oscuro per la maggior parte delle persone. Addirittura c'è chi crede erroneamente che l'eurodollaro sia il tasso di cambio tra euro e dollaro. Prima del mio ultimo libro, Il Grande Default, c'era scarsa narrativa in italiano a riguardo; dopo di esso, però, non ci sono scusanti. Il background storico di questo mercato l'ho dato in una recente serie che potete recuperare qui, quindi adesso mi limiterò ad affermare che gli eurodollari sono essenzialmente dollari offshore detenuti da banche estere. Come accaduto con l'oro, possedere una cosa passivamente non è redditizio quindi nel corso del tempo si sono studiati modi per rendere queste riserve “attive”. Il problema con i prestiti, ovviamente, era che non esisteva un tasso d'interesse di riferimento in grado di determinare l'ammontare che poteva essere richiesto all'atto di elargizione del credito. Non esistendo un tasso di riferimento che coordinasse il sistema bancario mondiale, permettendo alle singole banche in una nazione di prestare dollari a un'altra di un'altra nazione, emerse una necessità che non tardò a essere soddisfatta.

Così come venne creato il gold fix a Londra per intermediare a livello internazionale i contratti sintetici legati al metallo giallo, nel 1968 una banca greca fece sapere che avrebbe prestato le sue riserve in dollari a un tasso d'interesse tra il 4.5% e il 5%. Il precedente crea il caso e nel 1984 la storia arrivò a mostrare 18 banche della City di Londra che, alla fine della giornata, si riunivano in teleconferenza per determinare il prezzo a cui sarebbero stati concessi i prestiti in dollari tra di esse. A cascata questo avrebbe permesso di adottare un tale riferimento per mutui, titoli garantiti da ipoteca, ecc. Nel mondo di oggi, dove i computer imperversano e le comunicazioni digitali sono più veloci, sarebbe stato meno macchinoso il processo, allora, invece, ci si doveva accontentare di un “giro di telefonate”. E fu così che il LIBOR (London Interbank Offered Rate) sarebbe stato preso come modello mondiale per i dollari circolanti all'estero.

L'anno successivo, il 1985, gli Accordi del Plaza resetteranno le valute fiat dopo lo scisma dall'oro del 1971 e le collegarono alla determinazione del LIBOR. Per allora il sottobosco dei prestiti in dollari al di fuori degli Stati Uniti era andato già fuori controllo e fu esattamente ciò che portò alla crisi economica degli anni '70, la quale non fu risolta da Volcker ma dall'introduzione del LIBOR. La Francia di De Gaulle diede solo una spintarella al sistema finché venisse riformato lungo questi binari e il mio sospetto è che ci fosse un accordo sottobanco con gli inglesi per premere sull'acceleratore: nonostante l'odio tra i due Paesi, esso fu scavalcato dal desiderio di ottenere pasti gratis tramite finanziamenti in dollari offshore a riserva frazionaria e la possibilità di riconquistare la colonia sfuggita al loro controllo. Ricordiamoci che la Francia lavorò insieme all'Inghilterra per fomentare la guerra civile americana.

Il LIBOR, quindi, divenne il tasso d'interesse a cui sarebbero stati indicizzati tutti i debiti mondiali denominati in dollari, inclusi anche quelli negli Stati Uniti. Per esempio, quando una banca doveva impostare l'interesse da far pagare a un qualsiasi mutuatario, gli chiedeva il tasso del LIBOR + n (dove n era un qualsiasi numero che permetteva all'istituto di credito di guadagnare dal prestito). Lo stesso accadeva con le carte di credito. Quando si prendevano questi due fatti insieme, ovvero il LIBOR che indicizzava tutti i debiti del mondo e il mercato dei dollari offshore che era di ordini di grandezza più grande di quello interno, la Federal Reserve non era affatto l'istituto che determinava la politica monetaria americana.

Facciamo un altro passo avanti adesso. L'economia degli Stati Uniti è di gran lunga la più forte del mondo, dato che può mandare dollari fuori e far entrare beni (Dilemma di Triffin), di conseguenza può permettersi un costo del capitale più alto rispetto al resto del mondo. I mercati esteri, nonostante le loro riserve in dollari, sono molto più suscettibili a una variazione del tasso di riferimento americano (Federal fund rate). Per dirla in altro modo, l'economia americana è più dinamica e capace di assorbire un costo del capitale più elevato per la fabbricazione dello stesso prodotto che potrebbe essere fabbricato in Vietnam. Se, ad esempio, uno volesse costruire una casa in Vietnam ciò sarebbe accessibile a un tasso Fed Fund del 3%; se uno volesse fare la stessa cosa negli USA, ciò sarebbe ancora accessibile al 5,5%. Perché? Perché l'economia statunitense è migliore, più profittevole e più efficiente. Gli americani sono in grado di usare il capitale a loro disposizione in modo più efficiente rispetto ai vietnamiti. Questo è un vantaggio non indifferente quando, ad esempio, la FED, facendo ricorso al suo keynesismo, afferma di dover “rialzare” i tassi d'interesse per “raffreddare” la creazione di credito nell'economia.

Gli Austriaci hanno sempre avuto ragione a criticare la FED perché capitolava “troppo in fretta” nel suo ciclo di rialzo dei tassi e tornava a tagliarli. Con le informazioni che avete a disposizione adesso e la mia ricerca in tal direzione, cari lettori, adesso sapete il perché: non perché la FED fosse stupida o incapace, bensì a causa del LIBOR. Per 40 anni questa giostra ha continuato a girare: la FED vedeva “surriscaldarsi” l'economia americana a causa di un'enorme espansione dei mercati dell'eurodollaro, quei dollari tornavano in patria, svalutavano il biglietto verde ed essa rialzava i tassi d'interesse. Ma qui arrivavano i guai: il Vietnam, come nell'esempio precedente, non poteva gestire tassi d'interesse al 7%, solo al 3%, e i debiti iniziavano ad “andare a male”. Il LIBOR, di conseguenza, esplodeva al rialzo ben al di sopra del Fed fund rate americano, dato che c'era un fuggi-fuggi per accaparrarsi il denaro con cui servire il debito. In particolare esplodevano i tassi sul front-end della curva del LIBOR (la domanda di dollari era più impellente nel breve termine ovviamente) e, superando quelli sul back-end, essi segnalavano inversione e quindi pericolo di recessione.

Le economie meno efficienti, quindi, affrontavano lo spauracchio dell'inadempienza, cosa che accadde, ad esempio, con Long-Term Capital Management quando andò in default a causa della crisi che dapprima scoppiò in Thailandia e poi si diffuse in Russia. La leva finanziaria, infatti, è un'arma a doppio taglio; può dare soddisfazioni, ma piramidarci sopra progetti a lungo termine significa esporsi a un volo da un burrone assicurato. Il LIBOR e la riserva frazionaria nel mercato degli eurodollari alimentavano la sconsideratezza e l'azzardo morale perché si supponeva che sarebbe stato un sistema sempre a disposizione del resto del mondo. Certo, ci sarebbero stati agnelli sacrificali qua e là ogni tanto (es. crisi argentina, crisi asiatica, bolla dotcom, LTCM, ecc.), però poi si sarebbe acceduto alla stessa fonte che aveva causato la crisi per inondare la stessa di dollari e prenotarsi per il giro di giostra successivo.

Il meccanismo era sempre lo stesso: necessità di dollari, prestiti nei mercati pronti contro termine per raccattare qualsiasi finanziamento rapido possibile, esplosione al rialzo del LIBOR. Ma cosa succedeva negli Stati Uniti? Esplodevano al rialzo anche i tassi variabili dei mutui, ma non dell'ammontare equivalente al rialzo dei Fud fund (diciamo da 2% al 5%) bensì di quello del LIBOR (diciamo dal 2% al 9%). D'improvviso le carte di credito passavano da tassi al 12% a tassi al 21%, ad esempio, e così anche per i tassi per i prestiti automobilistici, i mutui immobiliari, il credito revolving, ecc. Cosa succedeva all'economia americana quindi? Iniziava a rallentare ben prima che gli investimenti improduttivi del precedente ciclo potessero essere eliminati, come recita correttamente la teoria Austriaca del ciclo economico, e la FED era costretta a tagliare i tassi ben prima che tale processo potesse concludersi efficacemente. In sintesi, era la City di Londra a controllare l'economia e il sistema bancario americani.

Mentre la stampa generalista veicolava l'idea che la FED fosse gestita da incompetenti, gli Austriaci fungevano da cassa di risonanza e amplificavano il messaggio fraudolento: “End the FED”! Obiettivo legittimo, ma perché non “End the BOE” la fonte primaria di tutti i mali economici? A causa del loro ego: il (presunto) riconoscimento a livello mainstream li ha accecati e ha gonfiato il loro orgoglio, facendoli trincerare nella teoria e abiurando la pratica di ciò accade nella realtà. La teoria è valida, e anche una guida per obiettivi di lungo termine, ma nel frattempo viviamo il presente e i fatti che lo costellano non andranno via chiudendo semplicemente gli occhi di fronte a essi.

Nel 2022, però, tutto questo è cambiato. Per capirlo, riprendiamo la storia dove l'avevamo lasciata quando Trump è stato eletto presidente nel 2017. La prima cosa che fa è nominare un nuovo presidente alla Federal Rserve: Jerome Powell. Janet Yellen stava per lasciare la carica e si rifiutava di rialzare i tassi quando ce n'era bisogno, Wall Street quindi consegna nelle mani di Trump il nome di Powell. Sì, Wall Street, perché non dimentichiamoci delle fazioni di cui abbiamo parlato all'inizio di questo saggio: una di queste negli USA è quella facente riferimento ai cosiddetti New York Boys, ovvero quel gruppo di pressione rappresentato dal sistema bancario commerciale americano la cui capillarizzazione sul territorio è ben radicata. Powell è stato per anni un membro del FOMC e uno di quelli che, sin dall'epoca Bernanke, è stato un fermo sostenitore della necessità di rialzare i tassi e fermo critico dell'obiettivo d'inflazione al 2%. Come seconda mossa, Trump sposta John Williams dalla FED di Atlanta alla FED di New York. Per chi non avesse contezza di come è strutturata la Federal Reserve, esiste la sede principale a Washington DC e poi le 12 Federal Reserve regionali. Quella di Atlanta non ha tanto potere, quella di New York invece organizza l'overnight repo desk (mercato dei prestiti rapidi, linee di swap in dollari, ecc.) e le altre strutture della branca principale.

Perché è importante Williams nella nostra storia? Perché è l'architetto del SOFR (Security Overnight Financing Rate), un tasso interbancario tra la Federal Reserve e le banche americane che comprano dollari nel mercato pronti contro termine americano. Quel che è importante assimilare è che la domanda di denaro nel breve termine viene gestita egregiamente e lo scompenso tra domanda/offerta di denaro viene gestito esclusivamente dal mercato pronti contro termine americano. Se, ad esempio, una banca deve pagare dividendi o stipendi domani, ma ha solo titoli del Tesoro americani e poca liquidità dato che avrebbe ricevuto una grossa somma due settimane dopo, essa può rivolgersi a una sua controparte e farsi prestare dollari ponendo come garanzia i titoli a sua disposizione. Il contratto pronti contro termine è il privilegio di usare dollari di altri, o liquidità di altri, per un breve lasso di tempo in cambio di un interesse pattuito tra le parti.

Quindi il SOFR è una tasso a cui vengono indicizzati i debiti interni degli Stati Uniti e nel momento in cui gli americani richiederanno un finanziamento o un mutuo verrà caricato loro come interesse SOFR + n, non più LIBOR + n. Ma ecco il punto: il SOFR non è dipendente dall'opinione di 18 banche nella City di Londra. Se in passato l'impostazione del LIBOR per i dollari offshore influenzava pesantemente i mercati americani, e quindi le condizioni economiche estere, soprattutto quelle di Europa e Inghilterra, influenzavano pesantemente i mercati americani, ora questi ultimi rispondono esclusivamente alle condizioni economiche interne tramite il SOFR. Sono le differenze più piccole a fare la vera differenza: ora i mercati del dollaro interni controllano il prezzo del dollaro a livello internazionale. Questo mi porta a concludere che gli USA hanno dichiarato la loro, vera e propria, indipendenza dall'Europa quando Powell è diventato presidente della Federal Reserve e John Williams ha avviato i lavori per implementare il SOFR al posto del LIBOR. A fronte di un periodo di test della durata di 4 anni, sarebbe diventato attivo il primo gennaio 2022.

Si capisce che Powell è un alfiere dei NY Boys, la fazione opposta a quella della cricca di Davos/inglese/olandese, quando nel 2021 l'amministrazione Biden ritarda/ostacola la sua rielezione a presidente per oltre 6 mesi e lui stesso viene accusato di insider trading. Quest'ultimo era un tentativo raffazzonato dell'UE di contrastare la stretta monetaria ombra della Federal Reserve che stava iniziando a prosciugare il mercato degli eurodollari: a giugno di quell'anno Powell aveva rialzato di 5 punti base il reverse repo facility della FED. L'obiettivo quindi era quello di liberarsi di Powell, visto che dal lato politico/fiscale l'amministrazione Biden era corrotta, e riguadagnare il controllo anche sulla politica monetaria insediando la Brainard. Infatti fu quest'ultima che fece trapelare ad Axios e Politico i trading sull'indice S&P 500 che apparentemente incriminavano la condotta di Powell e Clarida. Saltò fuori poi che addirittura tali trade passavano sotto la sua firma... a dir poco imbarazzante. La presidenza della FED fu promessa alla Brainard da Obama. L'attacco riuscì ad affondare tre dei membri più fedeli a Powell nell'FOMC (Clarida, Rosengren e Kaplan), ma non lui stesso. Alla fine, come ci si poteva aspettare, tutto si risolse in una bolla di sapone. Ciononostante l'FOMC dovette affrontare lo stesso l'attacco sferrato dalla cricca di Davos per mezzo dell'amministrazione Biden, e lo fece dichiarando Powell presidente fino a riconferma o scelta di un sostituto. Questa indecisione, riconferma o no, è durata 4 mesi, tempo in cui l'amministrazione Biden smosse mari e monti per impedire la continuazione di Powell a guida della FED... fino a quando il Senato non lo riconfermò (non sarebbe potuto passare nessun altro).

La prima cosa che fece una volta riconfermato fu rialzare i tassi a marzo 2022. Voleva farlo già a Jackson Hole l'anno precedente ma non poteva, dato che vennero votati il Build Back Better e l'Infrastructure Bill i quali avevano lo scopo di incatenare le mani della FED con $8.000 miliardi in nuova spesa da monetizzare; col favore del SOFR, entrato ufficialmente in vigore il primo gennaio 2022, il suo compito fu semplificato. Nell'esatto momento in cui Powell ha spinto sull'acceleratore nel drenaggio del mercato degli eurodollari, tutti i profeti di sventura sono stati smentiti... per loro anche solo l'arrivo all'1% avrebbe significato recessione automatica. Non avevano idea di cosa fosse stato architettato dai NY Boys per salvare i loro interessi: infatti i rialzi sono andati avanti, addirittura nel bel mezzo di una crisi bancaria quando nel 2023 sono saltate in aria 3 banche del circuito FED di San Francisco! Ulteriore conferma, questa, che la tesi finora descritta qui riguardo il LIBOR è corretta e che la FED, come pronosticato dal sottoscritto, poteva addirittura arrivare al 6% coi Fed Fund e non sarebbe stata scatenata alcuna recessione. In soli 4 mesi la FED è riuscita a drenare da M0 mondiale $2.000 miliardi!

E questo senza che il mercato dei titoli di stato americani diventasse bidless, come invece accaduto nel marzo 2020. All'epoca il SOFR era ancora in fase di test e praticamente illiquido, quindi un qualsiasi attacco nei suoi confronti sarebbe stato vittorioso. E così fu. Powell fu ricattato costretto a tornare a zero coi tassi di riferimento e inondare i mercati, interni ed esteri, di liquidità in dollari a basso costo.


CONCLUSIONE

Gli esseri umani hanno le stesse pulsioni ataviche alla fin fine: vivere al massimo col minimo sforzo quando si presenta l'opportunità. Ciò non è diverso quando si parla di fazioni e famiglie al vertice della piramide sociale. Anzi, vale ancora di più. I contribuenti sono il collaterale col quale avanzare le proprie richiesta al tavolo delle decisioni, ma potere e ricchezze nascono dalle spoglie dei pari che riescono a sottomettere. Gli inglesi, la City di Londra, s'è dimostrato l'Impero più longevo e influente nel corso della storia, usando come proxy gli Stati Uniti la cui indipendenza non è stata una realtà sino al 2022 quando è entrato in vigore il SOFR e il LIBOR, insieme all'influenza finanziaria proveniente da Londra, è stato sostituito. Infatti gli stessi USA sono stati vittime del sovvertimento dall'interno che ha caratterizzato da sempre il modus operandi degli inglesi:

  1. Ottenere l'accesso alle risorse naturali come garanzia;
  2. Trasformare tale garanzia in un asset 20 volte superiore attraverso la finanziarizzazione;
  3. Aumentare il valore degli asset e creare una crisi economica;
  4. Ottenere un salvataggio diventando troppo grandi per fallire, a livello sistemico;
  5. Impoverire e indebitare quattro generazioni di cittadini per ripagare un salvataggio che è 3-5 volte superiore al valore degli asset finanziarizzati.

Un caso eclatante di come scorrono i fiumi di dollari offshore e come si perda la loro traccia (leverage) nel momento in cui passano tramite il sistema bancario ombra, è la biblioteca di Obama di recente costruzione. È così che l'eurodollaro ha funzionato per decenni ed è così che Bruxelles e City di Londra si sono sostenuti a scapito degli USA. I soldi dei contribuenti americani venivano sottoposti a leva e gonfiati tramite l'eurodollaro. I finanziamenti alle ONG erano pressoché infiniti. La “golden power” e la Guarda nazionale applicati adesso da Trump sono propedeutici alla guerra contro la cricca di Davos. È così che ad esempio Putin ha messo in riga gli oligarchi e scacciato l'influenza delle ONG. La stessa cosa ha fatto la Georgia. La stessa cosa non ha potuto farla l'Ucraina dato che la politica estera degli USA, nel 2022, era ancora appaltata a Londra e Bruxelles. L'ascendente di Washington su Tbilisi, ad esempio, era una propaggine dell'impero inglese. Ecco perché i disordini recenti nella nazione sfoggiando bandiere europee e sfilate di politici europei. Con il prosciugamento del mercato degli eurodollari e la riorganizzazione di Washington lontano dalle influenze geopolitiche estere, nonché la pulizia di quelle aree nel mondo in cui gli inglesi avevano ascendente, viene smantellata una piovra sotterranea vecchia di decenni.

Inizia a bussare al proverbiale “dominio pubblico” la selva di ONG che nel corso del tempo ha funzionato da veicolo di riciclaggio di denaro nel sottobosco finanziario e finanziamento occulto di intere nazioni (principalmente UE e UK). Smantellare questa piovra tentacolare, che aveva come nutrimento il mercato degli eurodollari controllato a Londra e come cinghia di trasmissione il settore bancario ombra americano abilitato da traditori nel Congresso che hanno approvato leggi criminali come la Dodd-Frank, sarà arduo ma il processo sta andando avanti piuttosto bene. Per chi ha letto il mio libro, Il Grande Default, tutto questo non è niente di nuovo.


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